martedì 20 agosto 2024

Sofocle discute con Euripide. Ottava parte. Ambiguità del linguaggio e del pensiero. Euripide il Salvatore


 

Euripide.

Alcune tue parole, caro Sofocle, mutano significato come fanno i serpenti con la pelle, secondo il personaggio che le pronuncia.

La stessa parola ha significati diversi nell'intenzione di chi la pronuncia e nell'intendimento di chi l'ascolta:  dette da diversi personaggi, parole scritte con le medesime lettere acquistano significati differenti o perfino opposti, siccome il loro valore semantico non è lo stesso nella lingua religiosa, giuridica, politica, o  comune. Così , per Antigone la parola  novmo" designa il contrario di ciò che Creonte chiama pure lui novmo". Per la fanciulla il termine significa "norma religiosa", “imperativo della coscienza”; per Creonte, "editto promulgato dal capo dello Stato.

E in realtà il campo semantico di novmo" è sufficientemente esteso per comprendere ambedue i sensi e pure altri.

 Come ha scritto bene un critico “Le parole scambiate sullo spazio scenico, anziché stabilire la comunicazione e l'accordo fra i personaggi, sottolineano viceversa l'impermeabilità degli spiriti, il blocco dei caratteri; segnano le barriere che separano i protagonisti, fanno risaltare le linee conflittuali"[1].

Altrettanta ambiguità e impossibilità di intendersi viene teorizzata da Pirandello nei Sei personaggi in cerca d'autore  quando l’attore che fa la parte de padre dice:"Ma se è tutto qui il male! Nelle parole! Abbiamo tutti un mondo di cose; ciascuno un suo mondo di cose! E come possiamo intenderci, signore, se nelle parole ch'io dico metto il senso e il valore delle cose come sono andate dentro di me; mentre chi le ascolta, inevitabilmente le assume col senso e col valore che hanno per sé, del mondo com'egli l'ha dentro! Crediamo d'intenderci; non ci intendiamo mai!".

 

Sofocle

La tua ambiguità non si limita alle parole: arriva a destabilizzare il pensiero, a farlo oscillare turbando la mente del pubblico il quale infatti ti ha punito negandoti il favore concesso a me che attribuisco intendimenti diversi a personaggi diversi ma presento con chiarezza le mie scelte ideali, o , se preferisci, ideologiche. Io propugno sempre la religione, quella delfico apollinea in particolare contro l’ateismo, la sofistica e il razionalismo. Tu metti tutto in discussione e dubiti di tutto.

Ti ricordo alcune parole tue esemplari della tua scepsi radicale: “chi sa se il vivere non sia  essere morti,/ ed essere morti invece laggiù non venga considerato vivere?”. Questo  si legge in due tragedie Frisso e Poliido[2].

Tu metti in discussione perfino l’evidente dicotomia tra l’essere vivi o morti.

 

Euripide

Il fatto è che della vita che viviamo qui trasognati sappiamo poco, della vita dopo la morte proprio niente.

 

Sofocle

Tu sai poco anche degli dèi e dubiti di loro o li critichi fino alla blasfemia.  Hai mostrato quel tramonto degli dèi che io ho denunciato come un male, e purtroppo, a lungo andare, l’hai avuta vinta tu, seppure da vincitore postumo:  la venditrice di ghirlande, nelle Tesmoforiazuse di Aristofane  si lamenta di guadagnare poco da quando Euripide ha convinto la gente, con le sue tragedie, che gli dei non esistono[3].

 

Euripide

 In realtà, dietro alle mie critiche c’è la ricerca di un’immagine divina purificata: così Ifigenia tra i Tauri conclude il suo discorso contro i sacrifici umani   affermando (391) che nessun dio può essere malvagio.

Ti ricordo anche l’espressione lapidaria l’espressione del Bellerofonte “se gli dei fanno qualcosa di vergognoso, allora non sono dei”.

 

Sofocle

Se Apollo non è un dio che bisogno hai di screditarlo bestemmiandolo  e accusandolo di malvagità?

Nella tua Andromaca, Neottolemo, il ragazzo di Achille, mentre  prega il dio viene ferito dagli abitanti di Delfi. Allora domanda:"tivno" m j e{kati kteivnet j eujsebei'" oJdou;" h{konta; poiva" o[llumai pro;" aijtiva";", perché mi uccidete sulla strada della pietà? Per quale colpa muoio?"(vv.1125-1126), ma nessuno dei molti presenti gli rispose; anzi lo uccisero continuando a colpirlo con pietre. Tutto questo è raccontato da un messo che alla fine della rJh'si" (v.1164) accusa Apollo di essere w{sper a[nqrwpo" kakov", come un uomo malvagio, e domanda:"pw'" a]n ou\n ei[h sofov";", come potrebbe essere saggio?

 

Euripide.

L’oracolo di Delfi durante la guerra del Peloponneso spartaneggiava, come poi filippizzò. La mia critica al dio delfico è una risposta politica al fatto che i responsi pitici erano favorevoli ai nostri nemici.

 

Sofocle

Credi che il tragediografo debba fare politica?

 

Euripide

La fa comunque perché scrive per la polis e per  polivtai, i suoi cittadini. L’abbiamo fatta entrambi: nelle nostre ultime tragedie, le mie Baccanti e il tuo Edipo a Colono, quando Atene stava perdendo la guerra del Peloponneso e i Tebani meditavano di radere al suolo la nostra città, noi abbiamo presento Tebe come l’anticittà nido di crimini, orrori e nefandezze. Io anzi ho contribuito a salvare la nostra polis

 Plutarco ha scritto che dopo la battaglia di Egospotami il tebano Erianto propose la distruzione di Atene[4] (Vita di Lisandro, 15)”

   Questa canaglia voleva che venisse rasa al suolo la città e la campagna abbandonata pascolo alle pecore. Ma io, che pure ero già morto da un paio di anni,  salvai Atene: durante un convito un focese cantò alcuni versi della parodo dell’Elettra (167ss. “Figlia di Agamennone, sono giunta nella tua rustica casa”). A sentire questa poesia, i comandanti che avevano condotto la guerra si intenerirono e sembrò troppo crudele distruggere una città così illustre che produceva uomini tanto grandi.

Ti rammento che Tucidide, il creatore della storia politica,  fa dire a Pericle:"movnoi ga;r tovn te mhde;n tw'nde metevconta oujk ajpravgmona, ajll j ajcrei'on nomivzomen" (Storie, II 40, 2), siamo i soli a considerare non pacifico, ma inutile chi non partecipa alla vita politica.

Ricordo un’altra occasione nella quale salvai delle vite ateniesi per significarti come anche la poesia possa e debba essere politica.

Un evento che ho vissuto e mi ha reso felice. Puoi leggerlo nella

Vita di Nicia dove  Plutarco racconta  che alcuni Ateniesi finiti nelle Latomie di Siracusa "kai; di j Eujripivdhn ejswvqhsan" (29, 2), si salvarono anche grazie ad Euripide. Infatti i Greci di Sicilia amavano il tragediografo e desideravano citarlo. Alcuni dei superstiti da quella catastrofe dunque, tornati a casa, vennero ad abbracciarmi affettuosamente e dissero che erano stati affrancati dalla loro schiavitù "ejkdidavxante" o{sa tw'n ejkeivnou poihmavtwn ejmevmnhnto" (29,4) poiché avevano ripetuto  quanto ricordavano dei miei drammi.

In effetti lo studio di Euripide e di autori significativi può avviare tante persone sulla strada dell'emancipazione.

 

Sofocle: Tu sì che sei bravo! D’ora in avanti ti chiamerò Euhripivdh~ Swthvr,  Euripide Salvatore!

 

Pesaro 20 agosto 2024 ore 17, 32 giovanni ghiselli

 

p. s

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Avvertenza: il blog contiene 4 note e il greco non traslitterato.

 

Mi scuso: ho corretto due lapsus digiti del precedente post. Ringrazio il lettore che me li ha segnalati. Fatelo ancora se dovesse capitare di nuovo. Dum doceo, disco. Imparo a stare più attento, a evitare le sviste. Saluti e grazie di nuovo. gianni

 

 

 



[1]        J. P. Vernant, Ambiguità e rovesciamento in Mito e tragedia nell'antica Grecia , pp. 89-90.

[2] Nel Frisso (fr. 833) e nel Poliido (fr. 638) compare tale famosa questione: “tiv" d  j oi\den eij to; zh'n mevn ejsti katqanei'n, --to; katqanei'n de; zh'n kavtw nomivzetai;

[3] Tou;~ a[ndra~ ajnapevpeiken oujk ei\nai qeouv~:-w[st j oujkevt j ejmpolw`men oujd j ej~ h{misu ( Tesmoforiazuse,  vv. 451-452), ha persuaso gli uomini che gli dèi non esistono:- così non vendiamo nemmeno la metà. 

[4] Vita di Lisandro, 15.

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