venerdì 30 agosto 2024

La settimana bianca a Moena. Ottava parte.

Argomento

 

La pazzia delle donne e degli uomini.

 

 

 

Finita la cena, ci alzammo per avviarci verso le camere. Salimmo

in silenzio le rampe comuni, finché arrivammo dove le strade

nostre si dividevano:"Hic locus est, partis ubi se via findit in

ambas"1 , pensai. Lì ci fermammo in silenzio. Aspettavo che

 

dicesse qualche parola di congedo come "buona notte".

Ed ecco che invece mi chiese:"Vuoi che facciamo l'amore?"

"Io sì – feci, dubbiosamente ma non spisacevolmente stupito –, e tu?"

La fanciulla balzana, invece di rispondere si mise a fissarmi in

silenzio. "Le orecchie, quantunque non sia una cavalla né una gatta, sono

aguzze ", pensai, evitando di muovermi, come si deve fare con gli

 

animali bizzarri. Non volevo decidere io; ero quasi sicuro che se

mi fossi incamminato da una parte o dall'altra, ella si sarebbe

sdegnata; forse mi avrebbe dato un morso o un graffio.

Nessuno dei due si spostava. Dopo un tempo non breve,

Ifigenia disse:"Viemmi vicino: ho tanto bisogno di te,

Gianni.". Mi avvicinai senza arrivare a toccarla. Mi abbracciò lei,

poi mi baciò. Non trovò opposizione né una partecipazione

totale. “Molte sono le persone inquietanti-pensavo- ma nessuna ha mai trasmesso tanto squilibrio alla mia vita|”

Quindi affermò:"Il mondo è tanto cattivo, ma io ti amo davvero!".

Pensai allo stereotipato “grazie davvero” delle persone ordinarie, per lo più ingrate..

Poi scostò il suo volto dal mio e riprese a fissarmi.

"Facciamo finta di niente", pensai. A questo punto però sembrava

auspicare e aspettare una proposta.

Azzardai:"Vieni cocca, andiamo in camera mia".

Non rispose; continuava a puntarmi con un’espressione diventata canina. Allora, con cautela, le presi la

mano sinistra e sussurrai:"Vieni tesoro, andiamo". Poi cominciai a

guidarla, a tirarla pianino pianino, facendo piccoli passi. Cercavo

di comportarmi con fermezza, ma anche con tutti i riguardi di cui

hanno bisogno tali creature che devono sempre fare scene o scenate..

 

Ho imparato dalla coetanea Stefania. Una volta, nei primi anni

settanta, quando non sapevo trattarla, diede in escandescenze in

piazza Garibaldi, l'ombelico di Padova, soltanto perché le avevo

detto che I diavoli, un film di Ken Russel, mi era piaciuto.

"Sei un comunista e un brutto maiale!" gridò nell'agorà affollata, alle sette

di sera. Poi mi colpì con un ombrello, in mezzo alla testa,

facendomi male. Quindi fuggì, lasciandomi semi intontito in

 

1 Virgilio, Eneide, VI, 540.  Questo è un luogo dove la via si scinde in due.


 

 

 

mezzo alla gente esterrefatta.

Un’altra volta  Stefania mi aggredì davanti a Ifigenia dicendo che ero il professore più sporco e cattivo della provincia di Padova.

Poi se ne andò sbattendo la porta

 Ifigenia scoppiò a

ridere per la commedia cui aveva assistito, come se tali follie

non fossero state un pericolo serio anche per noi due.

"Hai fatto finta di niente mentre la pazza infuriava, vero?", mi

domandò. Le spiegai che con i matti bisogna mostrare una calma

forte e sicura di sé. Ebbene questa necessità si presentava di nuovo

a Moena, la sera dell'otto marzo del 1981, quando nella mia compagna

vedevo covare una furia tempestosa, e facevo di tutto per evitare

uno scontro. Pensavo che non fosse utile

chiederle

un chiarimento dei suoi stati d'animo, poiché

probabilmente non ne aveva coscienza; del resto se pure l'avesse

avuta non avrebbe saputo spiegarla, e anche se l' avesse saputo,


 

 

 

non lo avrebbe fatto, siccome non si fidava di me. Nemmeno di se

stessa si fidava la disgraziata. Comunque facemmo l'amore tre

volte, e abbastanza di gusto. Io l'avrei iterato ancora, poiché

trovavo in qualche modo eccitante quell'intermittenza mentale,

quel barbaglio  lampeggiante della coscienza; ma la

ragazza impazzì di nuovo, e questa volta troppo per

proseguire.

Dopo il terzo orgasmo sembrava allegra e compiaciuta; io già

molto contento di quel risultato, quasi stropicciandomi le mani

dalla contentezza, andai nel bagno a lavarmi, per continuare a

battere il ferro caldo come si dice, ma quando, tre minuti più tardi,

tornai nella stanza da letto, quella piangeva a dirotto.

Le domandai:"Cosa c'è tesoro?". Non rispose. Le chiesi se potessi

aiutarla. Disse che nessuno poteva fare nulla per lei, infelice,

svuotata, forse anche malata nel corpo.

"Ho capito: allora vestiamoci subito; ti accompagno in camera,

così ti riposi", dissi con tono pacato, guardandola negli occhi

senza ironia né incertezza. Con le donne in crisi è necessario

comportarsi così; gli uomini che invece di prendere le briglie del

cavallo pazzo si lasciano calpestare da quella bestia, oppure montano in furia, si

meritano le zoccolate che ricevono in faccia.

Credo che quanti e quante si lasciano trattare male dall’amante più di una volta ne siano complici. Ci metto pure me stesso. Se avessi una figlia intelligente colta e carina, la lepida moretta di cui sento la mancanza, le direi: “ al primo sgarbo che ti viene fatto, allontanati dicendo: questo riservalo ai tuoi simili: io non lo sopporto, non mi garba né punto né poco”. Credo che il destino non mi abbia dato una figlia perché l’avrei amata fin troppo, più di tutte le altre mie consanguinèe, più di ogni altra creatura al mondo. E’ andata bene così. Ancora una volta Amor Fati.

 

Ifigenia saliva i gradini con passi di enorme stanchezza.

Sembrava che andasse a morire. La salutai, poi tornai in camera

mia, contento di dormire da solo.

Ho cercato di dare l’impronta dell’eternamente umano a dei fatti personali, come faccio sempre del resto.

Ifigenia come certi personaggi del mito, Eracle per esempio, era una figura ambigua che raccoglieva significati anche contrastanti: la ragazza romantica, la cinica arrivista, la donna dissoluta e sfrontata, la giovane timorata e altri ancora ma non voglio procedere con questa enumeratio caotica.

Quella sera andai a dormire pensando che  ero venuto a Moena con uno spettro agghindato in tante maniere piuttosto che in compagnia di una donna reale, in carne e ossa. Ifigenia era tutta esteriorità, una noce variopinta fuori come un arcobaleno  e vuota dentro, priva di ogni sostanza .

Provai compassione di lei ma sapevo di non potere aiutarla. Me ne aveva tolte  le forze e la voglia

 

Pesaro 30 agosto 2024 ore 10, 39 giovanni ghiselli

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