venerdì 30 agosto 2024

La settimana bianca a Moena. Nona parte.


 

Argomenti

La casetta di legno in mezzo alla neve e alla luce. Illusione di estate e di amor.e

 I tre opliti giganti. Le mutande appese a un filo .Come la nostra vita mortale

 

 

Lunedì nove marzo c'era un gran sole, caldo, luminoso, sicuro. Ci

trovammo a colazione pieni di buonumore. Durante la notte avevo

deciso che da lei non dovevo aspettarmi più di quanto voleva

darmi: poco oramai, che però avrei utilizzato al meglio per la mia

opera prossima a cominciare. Anche Ifigenia probabilmente

aveva pensato di prendere da me quanto poteva, senza fare storie e

lagne prive di qualsiasi costrutto. Così armonizzati e contenti

come possono esserlo due amanti ex innamorati che hanno deciso

di sfruttarsi a vicenda, salimmo con la funivia al rifugio Le cune

dove

ci fermammo ad abbronzarci, quasi in silenzio. Sul

mezzogiorno, per cambiare posizione e visuale, scendemmo in un

rifugio più basso e riparato, dove era più forte il calore della fiamma

celeste che dona e nutre la vita. Appena scesi dalla seggiovia, ci

togliemmo le giacche a vento e arrotolammo le maniche delle


 

 

 

camicie. L'umore diveniva sempre più allegro. A un tratto notai

una costruzione di legno in mezzo alla neve: distava circa un

chilometro in direzione di Bellamonte e tutt’intorno per ampio

tratto non si vedevano orme. Doveva essere disabitata.

Dissi:"Creatura, guarda quel piccolo rifugio  in mezzo alla luce: quel casinetto è nostro.

 Andiamo ad abbronzarci anche i corpi. Là mi dirai di sì". Mi atteggiavo a Dongiovanni.  Desideravo

 

fare l'amore all'aria aperta, tra il sole e la neve che lo potenziava,

ma conservavo parte della cautela che mi ero imposta la sera

prima. Però Ifigenia mi fece capire che potevo, anzi dovevo

essere franco.

" Certo che sì – disse – andiamoci e facciamo l'amore!".

"Come ai bei tempi-pensai-. Stai a vedere che questa è rinsavita, e

mi ama di nuovo!". Le feci un sorriso di riconoscenza, poi ci

incamminammo semiabbracciati. Qua e là affondavamo  fino alle

ginocchia e oltre, in qualche buco pieno di acqua per il disgelo.

Prendevamo tutto con allegria.

"Poi ci spogliamo e ci asciughiamo ai raggi caldi, corroborati da

questo biancore" facevo.

E lei:"Sì, e facciamo il massimo".

"Sul serio è ridiventata simpatica la mia creatura"

pensavo.

Eravamo eccitati e felici. Finalmente giungemmo alla baita. Era

proprio isolata. Salimmo sulla terrazza non alta che la cingeva,

afferrandone il bordo e tirandoci su. Poi scavalcammo il parapetto

e ci stendemmo sul lato volto a sud ovest, verso il passo Rolle. Si

vedevano soltanto le montagne innevate e la cascata di luce che le

faceva brillare. Rimanemmo fermi e silenziosi per alcuni minuti,

osservando il paesaggio. Sembrava un pomeriggio di luglio: il

cielo era così luminoso e l'aria tanto calda che non

rabbrividivo

all'idea di spogliarmi per fare l'amore con una ragazza di cui non

mi fidavo. Alcune grosse mosche iridate volavano ronzando

intorno a noi  senza posa. Davanti agli occhi avevamo le pale di

San Martino, bianche, lontane, e illuminate così ardentemente da

 


 

 

 

sembrare tre opliti giganti levatisi al sole con le armature candide

per riverberarne i dardi di fuoco. I lati settentrionali, i fianchi

destri degli smisurati guerrieri, dall'ombra che eternamente li

copre, mandavano bagliori azzurrini, gradevolmente freschi in

quella illusione d'estate.

Ci spogliammo entrambi, del tutto. Stendemmo i vestiti a far da

giaciglio, ma le mutande le appesi ad un filo teso sopra le nostre

teste con delle mollette; per poterle prendere subito in caso di

necessità, le mie e quelle della mia giovane amante, odorose del sesso

suo, della carne viva, stillante" fragranza e rugiada" . Quando

 

eravamo a Bologna, nel grande letto, e dovevamo alzarci in fretta

e furia poiché il tempo del suo permesso era quasi scaduto, talvolta non

riuscivamo a scovarle che dopo lunghe ricerche. A dire il vero

mentre ficcavo la testa gonfia di sangue sotto il letto, e allungavo

una mano, affannato, respirando la polvere del pavimento,

pensavo in dialetto pesarese: "Se quest è un accident, che dio ne

manda cent ".

Negli ultimi tempi avevo ripreso l'abitudine, imparata dalla grande

madre, la serena Elena, di metterle sotto il cuscino, ma anche

da lì talora sparivano, diabolicamente. Le care, profumate mutande

delle mie  amanti. Quando ripenso alle mie donne e al tempo

migliore con ciascuna di loro, come quando ricordo i giovani cui

ho insegnato ad amare la vita, non credo che il vivere mio sia stato

soltanto il sogno di un'ombra , né una tragedia totale, né un

 

fallimento completo. Una bella opportunità è stata la vita per me,

ed io non l'ho sprecata, anzi.

Così, stesi su quella terrazza di legno, scaldati e abbronzati dal

sole di primavera, compenetrati a vicenda, riversi e fusi l'uno

nell'altro, sorvolati da mosche ronzanti canzoncine primaverili, ci

scambiammo piacere illudendoci di avere ritrovato il tempo felice

di quando eravamo innamorati e avevamo sempre voglia di unirci:

in pizzeria, al cinema, sulla spiaggia di Pesaro nel luglio del 1979,

quando prendevamo un moscone e lo remavamo velocemente, a

turno, finché si giungeva al largo, lontani da ogni presenza umana;

 


.

 

 

 

allora, sul fondo ligneo della piccola imbarcazione, abbacinati dal

sole, sorvolati da bianche farfalle disperse sulla grande pianura

d'acqua azzurra e salata, ci toglievamo i costumi, li mettevamo

sopra il sedile più alto e facevamo l'amore tante volte da arrivare a

sentire la gioia dionisiaca della fusione con la luce, con il mare,

con l'intero universo che ci sorrideva. Allora i preti maligni, le zie

pretificate, la madre furente, il padre vacante, i colleghi bigotti e

furfanti, i presidi tangheri, erano confutati, messi a tacere,

sconfitti.

Pesaro 30 agosto 2024 ore 11, 35 giovanni ghiselli

p. s

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