martedì 27 agosto 2024

Viaggio in Grecia agosto 1981 XXIV. Pensieri in previsione dell’umido equinozio.

 

Il giorno seguente mi svegliai piuttosto tardi, tanto che Ifigenia, tutt’altro che mattiniera, era già uscita dalla cabina. 

Trovatomi solo in quella cabina grande quanto un armadio, presi con calma gli appunti che avrei usato per il capolavoro dovuto  all’umanità. Volevo diventare un magister non solo  di lettere classiche ma anche dell’eros, sia di quello serio, sia di quello giocoso, un filosofo dell’amore insomma.

Sarete voi lettori a dirmi se vi ho insegnato qualcosa di utile con il mio sermo amatorius.

In questo caso penserete Ioannes magister erat.

Ma ora procediamo con il traghetto verso le amate sponde dell’Italia. Assolto il compito dello scrivano, mi feci bello cosmetizzandomi come sono solito: mi lavai i capelli e indossai le lenti a contatto; il resto l’avrebbe fatto il sole riflesso per giunta dall’acqua salsa del mare solcata e messa in movimento dalla nave. Mi sarei riempito  di raggi e di flutti, di chiarori e di gorghi.

Quindi con la coscienza tranquilla perché avevo fatto quanto dovevo a me stesso e all’inquieta compagna di viaggio, andai a cercarla sul ponte.

Era seduta vicino alla prua e leggeva Siddharta. Io non avevo libri. Per me era piuttosto tempus cogitandi et  scribendi. Di fatti mi diedi a riflettere sui mesi compresi tra i due viaggi nell’Ellade con Ifigenia: l’anno precedente in automobile, dopo Debrecen, questa seconda volta in bicicletta. Avere tale opportunità offertami dall’immersione nella lettura della comes non mi  dispiacque. Pensavo che leggere è necessario ma talora è, paradossalmente, una scappatoia dal pensare alle cose fatte, o non fatte, o persino malfatte.

Sicché in certe circostanze non avere niente da leggere può essere un’occasione per fare i conti con il proprio passato e con il destino.

Che cosa avevo fatto di buono nell’esperienza amorosa con quella giovane donna? Quali mete avevo raggiunto? Avevo ripassato e imparato bene quanto Elena  mi aveva suggerito quando dieci anni prima mi disse: “io non sono materia”. Allora quella frase educò; con Ifigenia mi ero piuttosto diseducato, poiché nel rapporto con l’amante italiana la materia preponderava schiacciando lo spirito. Il sesso prevaleva su tutto.

Ora sentivo la mancanza e il bisogno di una donna colta, intelligente, buona e generosa. Non ero rimasto tra gli uomini proni e obbedienti, quali bestie, alle pretese imperiose del ventre sfacciato.

Come ero potuto uscire da quel gregge se tra le Finlandesi e Ifigenia avevo bramato con cupidità animalesca ogni corpo di femmina umana purché non fosse disfatto dai capelli ai talloni?

Ifigenia con la sua bella carne aveva saziato la mia ingordigia di carne, perciò a 36 anni suonati potevo desiderare la bellezza dell’anima. Ero passato dai tellurici incapaci di evolversi, ab inferis exsistere, al gruppo ristretto degli aspiranti alla luce.

Ifigenia mi ha aiutato a completare il compito cui mi avevano già avviato, propedeutiche, le tre Finlandesi: con il suo involucro bello, con la sua mediterranea, calda, abbronzata sensualità, l’Italiana ha soddisfatto la mia brama carnale e mi ha dato la possibilità  di alzare la mira alle forme immortali, immutabili, infaticabili  dalle quali la materia riceve quel significato eterno che l’artista rende evidente raffigurandone l’epifania.

“Ora che il nostro amore è finito- pensavo- ora che la mia carne è vicina a essere quasi appassita e nemmeno la tua tarderà a diventare vizza, ora comprendo che tu con la tua bellezza mi hai svelato l’amore celeste che mi ha fatto spuntare le ali per elevarmi fino alla pianura della verità dove si trovano intere, semplici, salde, in puro splendore le forme che non avvizziscono mai. Mi sentivo un poco in colpa per avere usato la venustà di una giovane donna quale strumento, quasi una scala per salire a bellezze superiori, fino alle supreme che avrei dovuto trovare dentro l’anima sua. Ma forse lì non c’erano.

Comunque avrei espiato la  cura insufficiente che mi ero preso di lei con un lungo periodo di solitudine laboriosa e meditativa. Me lo diceva il senso interiore, la pallida luce azzurrina del cielo già  stanco di ardori e il verde del mare  sbiadito sì come moccio

Incombeva l’autunno.

 

Pesaro 27 agosto 2024 ore 17, 10 giovanni ghiselli

p. s

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