domenica 25 agosto 2024

Annibale III parte La leggenda di Elissa- Didone in Timeo, Nevio, Virgilio.


Il re di Tiro Muttone aveva lasciato morendo due figli, Pigmalione che gli succedette nel regno, ed Elissa, vergine d'insigne bellezza che andò sposa allo zio Sicherba (Sicheo), sacerdote di Eracle, possessore di ricchezze favolose. Avido di queste, Pigmalione mette a morte Sicherba, ma non gli vien fatto d'impadronirsi de' suoi tesori accuratamente nascosti.  Elissa, ingannato il fratello mediante l'astuzia, riesce ad imbarcarsi con rematori e popolo, recando seco i "sacra" di Eracle del marito e le sue ricchezze. Approdata in Cipro, prende in sua compagnia la sacerdotessa di Giunone con la famiglia, e rapisce ottanta di quelle vergini che secondo un vecchio uso cipriota erano scese sulla sponda del mare per ottemperare prima delle nozze al rito della prostituzione sacra. Poi, giunta in Africa, ottiene dagli indigeni, -guadagnati, con la lustra (finzione con cui si vuole far credere di essere ricchi e importanti) di scambi commerciali, all'amicizia degli emigranti- il dono di tanto terreno quanto potesse coprirsene con una pelle bovina; e tagliando la pelle in minutissime liste, acquista con tale artifizio quel luogo cui rimase il nome di Byrsa, che in greco significa appunto pelle. – buvrsa-h~- hJ Incoraggiati dal favore dei Libi e dai consigli e dai doni dei consanguinei Uticensi, i fuggiaschi tirii deliberarono ormai di erigere una città. Ma, iniziati appena i lavori, rinvengono una protome ( protomhv, testa senza corpo) di bue. Onde, saputo essere quello presagio che la città sarebbe stata prospera, ma serva, si trasferiscono in altro luogo, dove, rinvenendo una testa di cavallo, ne traggono auspicio che la colonia sarebbe potente e guerriera.

Frattanto Iarba, re d'una vicina tribù libica, chiede con minaccia di guerra la mano d'Elissa. E la regina, vedendo di non poterne schivare le nozze, dopo avere invocato ripetutamente i mani di Sicherba e offerto copiosi sacrifizi funebri, fatta erigere col pretesto di questi sacrifizi una pira innanzi alla sua reggia, vi si precipita e muore tra le fiamme, ovvero vi sale e si uccide con la spada. Dopo di che essa, che per le sue peregrinazioni ebbe il nome di Didone, venne onorata- mentre Cartagine fu libera- come dea”[1].

Il mito etimologico elleno dà a Byrsa il significato greco di pelle (buvrsa) ma in fenicio significa oppidum. “E mito etiologico d’origine greca sembra pur quello che collega la prostituzione sacra di Cartagine col rito affine di Cipro” (p. 20). La favola della testa di cavallo è ricavata dalle monete di Cartagine dove “una protome equina giace ai piedi di una palma che raffigura i Poeni (Foivnike~).

“E' questa leggenda ricca d'elementi greci. Il nome della rocca di Cartagine Byrsa vuol dire, sembra, fortezza, oppidum; certo nulla ha a fare col significato della parola greca byrsa; e il racconto che muove da quel significato non è se un mito etimologico ellenico. E mito etiologico d'origine greca sembra pur quello che collega la prostituzione sacra di Cartagine col rito affine di Cipro…E v'ha pure contaminazione evidente nella morte di spada d'Elissa: dove alla morte sacrificale per fuoco si sovrappone una forma, più comune e più conforme al sentimento greco, di suicidio. Più antico peraltro e più istruttivo è il rimanente della leggenda: la persona anzitutto d'Elissa, 'Allisat', la "Gioconda", che sembra una ipostasi della dea di Cartagine, Tanit[2]; l’antichità dei “sacra” cartaginesi di Eracle, cioè di Melqart, per cui uno dei culti principalissimi della colonia si voleva, non a torto è da credere, procedente dalla madre patria nel modo più diretto; l'intervento di Iarba, forse una divinità libica; il pianto di Elissa pel marito, in cui certo si rispecchia, come nel pianto d'Iside per Osiride o d'Afrodite per Adone, la triste e desolata vedovanza della natura nell'atto che le muoiano in seno durante il verno i germi vitali…Poi la lunga rivalità con Roma indusse nella leggenda, trasformandola, nuova vita"[3].

La leggenda, continua De Sanctis, si arricchì della storia d'amore di Enea e Didone, un "romanzo d'amore immaginato genialmente da un poeta guerriero[4] che dagli esemplari alessandrini aveva appreso a pregiare la novella erotica e a vivificare d'intuizioni umane il mito, e dalle battaglie, cui aveva partecipato, della prima punica attingeva, non l'odio feroce per Cartagine che ispirarono alle generazioni più giovani le vicende della seconda, ma la fede nei destini di Roma e il rispetto cavalleresco per la sua degna rivale…E le tracce di Nevio seguì poi, rivestendo la nuova favola d'alta poesia, Vergilio; se pure all'abbandono di Elissa per parte d' Enea non seppe neanch'egli trovare una motivazione così umana e chiara come quella che trova Omero dell'abbandono di Calipso e di Circe per parte d'Odisseo. Omero gli aveva fornito lo spunto cantando, d'Odisseo, l'incontro con le dee amorose e lusinghiere e gli aveva insegnato a sovrapporre l'intervento divino liberatore, che compie e che risolve, alle contingenze e alle passioni umane, da cui rampolla per forza intrinseca la catastrofe. Ma non riuscì Virgilio di sostituire con passioni altrettanto umane e vive l'amore alla patria, il ricordo della famiglia, il sentimento del dovere verso i compagni, per cui Odisseo aveva già vinto virtualmente le lusinghe delle due dee incantatrici quando ne conseguì dall'aiuto degli dèi la vittoria attuale. Il mero capriccio del destino costringe Enea ad abbandonare la terra dove aveva trovato ospitalità ed amore, e a quel capriccio l'eroe sacrifica con fredda spietatezza i suoi sentimenti.

Gli è che la figura d'Enea, diventata troppo ieratica e rigida nell'entrare tra le figure schematiche della leggenda romana, non comportava quei contrasti di passioni che, dando alla luce uno sfondo cupo d'ombra, giustificano ad esempio in Euripide, artisticamente se non moralmente, il ripudio di Medea per parte di Iasone.

Ma in Elissa invece il poeta gentile che aveva formato il gusto sulla letteratura erotica ellenistica…foggiò una immagine viva di donna innamorata e dimentica, per l'amore, di ogni cosa; assai, appunto per questo, lontana dalle maliarde omeriche, il cui segreto spirituale di dee è impenetrabile ad occhio umano, e non degna, per questo, d'essere tradita dall'uomo e dal destino. Con ciò, mentre nelle imprecazioni della moritura Vergilio faceva presentire l'impeto e l'odio di Annibale e nella tragica sorte di lei quella della sua città, era artisticamente giustificato il suicidio di Didone che il mito narrava e il mito stesso, delineato con una delicatezza di sentimento pari alla finezza della espressione, si trasformava in un dramma in un dramma immortale d'amore e di morte, in cui era adombrato il dramma della lotta tra Roma e Cartagine"[5].

 

Didone in Virgilio

Ne V canto dell’Odissea Odisseo trattenuto da Calipso piange ejpei; oujkevti h{ndane  nuvmfh (v. 133). Circe, quando vede Odisseo sguainare la spada, gli dice: “riponila e facciamo l’amore, affinché, dopo esserci uniti nel letto, possiamo fidarci l’uno dell’altro. Invece Enea lascia Didone per la grandezza di Augusto. Il dramma di amore e morte dell’infēlix Dido deve prefigurare la lotta tra Romani e Cartaginesi. Come nell’Antigone di Sofocle, vicino a Didone (dux femina facti, I, 64) c’è una figura più scialba, Anna, “la graziosa”.

Didone morendo prefigura la storia di di Annibale:"exoriare [6] aliquis nostris ex ossibus ultor,/ qui face Dardanios ferroque sequare colonos,/nunc, olim, quocumque dabunt se tempora vires " (IV, vv. 625-627),  tu sorgi  dalle mie ossa, e sii un  vendicatore che segua col fuoco e col ferro i coloni Dardani, ora, in avvenire, in qualunque momento si offriranno le forze.

Questa donna fallita in amore, nel momento di morire, auspica la grande guerra antiromana di quello che sarà il più nobile fallito del mondo antico, secondo una definizione di G. De Sanctis. Quindi, sempre nell'auspicio di Didone, "la lotta mortale si amplia in un quadro grandioso, che coinvolge gli uomini, la storia, la natura. Il quadro è solennemente semplificato dalla concisione espressiva, di gusto, si direbbe, tacitiano[7]".

Ovidio fa di Enea un seduttore al pari di Teseo e Giasone. Altro che pius!

. "Tra gli amanti infedeli è menzionato Enea, che causò la morte di Didone; e tuttavia egli “famam pietatis habet” (Ars  III 39): giocosa polemica con Virgilio che aveva giustificato il suo pio eroe"[8]. Nel proemio dell'Eneide[9] in effetti Virgilio domanda con meraviglia:"Musa, mihi causas memora, quo numine laeso,/quidve dolens regina deum tot volvere casus/insignem pietate virum, tot adire labores/impulerit. Tantaene animis caelestibus irae?" (vv, 8-11), o Musa, dimmi le ragioni, per quale offesa volontà divina, o di che cosa dolendosi la regina degli dèi abbia spinto un uomo insigne per la devozione a passare per tante peripezie, ad affrontare tante fatiche. Così grandi sono le ire nell'animo dei celesti?

 Ebbene Ovidio trova la ragione delle grandi ire divine:  dopo avere affermato che gli uomini ingannano spesso, più spesso delle tenere fanciulle (saepe viri fallunt, tenerae non saepe puellae, Ars, III, 31) il poeta  aggiunge Enea al duetto dei seduttori  perfidi,  il fallax Iaso  (Ars, III, 33) e Teseo[10]: "et famam pietatis habet, tamen hospes et ensem[11]/praebuit et causam mortis, Elissa, tuae" (Ars, III, 39-40), ha la nomèa di uomo pio, tuttavia da ospite ti offrì la spada e il motivo della morte tua, Elissa.

Ovidio dunque smaschera Enea e il vate che lo celebra come antenato di Augusto.

agostol  24 ore 18, 54.

 

Pesaro 25 agosto 2024 ore 9, 38 giovanni ghiselli

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[1] Tim. fr. 23. Iustin. XVIII 4-6. In De Sanctis pp. 19-20.

[2] Meno sicura è l'interpretazione del nome Didone, che, probabilmente per equivoco, Servio spiega come virago (Aen. IV, 36, 674) e forse solo a causa dei sacrifizi umani in uso a Cartagine e altri scrittori tardi con ajndrofovno".  Planh'ti"  (l'errante) invece interpreta l' Etym. Magnum s. v. attenendosi a Timeo.

[3] G. De Sanctis, Storia dei Romani, vol. III parte prima, pp. 21-22.

[4] L'incontro di Enea e Didone era già nel Bellum Poenicum di Nevio (270ca-201ca a. C.). Il Bellum poenicum  in saturni canta la prima guerra punica. Non mancano digressioni sul passato, anche mitico, di Roma e sulle vicende che portarono alla sua fondazione.

[5] G. De Sanctis, Storia dei Romani, vol. III parte prima, pp. 23-24.

[6]=exoriaris : forma arcaica della seconda persona del congiuntivo presente, come sequare =sequaris .

[7]A. La Penna-C. Grassi, op. cit., p. 499.

[8] A. La Penna, Fra teatro, poesia e politica romana , p. 189.

[9] Scritta fra il 29 e il 19 a. C.

[10] Tanto perfido questo che, se fosse dipeso da lui, Arianna avrebbe nutrito gli uccelli marini (Ars, III, 35-36). La Fedra di Seneca entrando in scena, afferma che la fedeltà di Teseo è quella di sempre: “stupra et illicitos toros/Acheronte in imo quaerit Hippolyti pater” (vv. 97-98), cerca adulterii e letti illegittimi il padre di Ippolito. Interessante è la versione dell’Odissea (11, 324-325) : Artemide uccise Arianna in Dia in seguito alle accuse di Dioniso abbandonato per Teseo che comunque rimane il seduttore principe.

[11] Spada lasciata da Enea ( Eneide, IV, 507) e impiegata quale dono funesto (non hos quaesitum munus in usus., Eneide,  IV, 647,  dono richiesto non per questo uso. 

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