giovedì 29 agosto 2024

Settimana bianca a Moena Settima parte.


 

La giornata della donna. La provocazion.e  Il colpo inferto sulla ferita

dell'anima. Il burrone interiore. Il cavallo nero. La cena

 

La mattina mi svegliai di pessimo umore. Il sole non c'era. Pensai

subito male. "Ieri ho dovuto pregarla perché non mi lasciasse

subito, oggi stesso, otto marzo, giornata della donna. L'ho

convinta solo del fatto che troppo presto non le conviene. L'ho


 

 

 

indotta a pensare che se mi pianta prima dell'esame di recitazione,

rischia la bocciatura. Mi ha concesso tre, quattro

mesi di proroga dunque, la brava ragazza che per capodanno volle

brindare all'eternità del nostro amore!  Ma se crede di

sfruttarmi, di succhiare il mio sangue senza darmi in cambio

niente, o nient'altro che i suoi baci da Giuda, si sbaglia! Le

succhierò l'anima ! La provocherò, la spingerò a manifestare le sue

zone estreme: le sublimi e le infime, le oscene e le sante, per

metterle nella mia storia e renderla più interessante. Te la faccio

vedere io l'otto marzo, la giornata della donna! Tu sei una

femmina dissoluta! Come l'amante del regista interpretata da Sandra Milo

in Otto e mezzo di Fellini: "Ci vuole un trucco più da porca! Fai la

faccia da porca! Cammina molleggiando sui fianconi!".

Dopo due anni e mezzo che mi sfrutti impudicamente, che mi hai

isolato per mungermi con mia consunzione quasi totale, adesso ti

accorgi che c'è poco altro da spremere e vuoi macellarmi  per cercartene

uno più utile, più funzionale alla tua agognata carriera da istriona.

Ma io non sono

una mucca imbecille nec maxima taurus/victima [1]: saprò capovolgere contro di te la tua

intenzione malvagia. Ti provocherò, ti punzecchierò, ti squarcerò

fino a farti rovesciare tutto il cattivo umore che hai dentro. E su quella

sanie, sul tuo dorso di belva costruirò una storia d'amore

rappresentativa di questa età malvagia e superba, nemica della

virtù”

 

 

Lo sbudellamento davanti al fuoco mi aveva riempito l'anima di

tali sentimenti cattivi e pensieri ridicoli. Ci incontrammo nella sala

della colazione. Per provocarla subito, le feci notare che la

cameriera era bella, bellissima, una meraviglia di donna, un vero gioiello.

Reagì soltanto con un"non mi piace", simulando indifferenza.

Salimmo al rifugio Le cune , sperando che il sole rompesse le

nubi, ma non eravamo degni della sua presenza lieta, e rimase

nascosto fino a sera. Eravamo cattivi e meschini. A metà

giornata ci sedemmo su una panchina di ferro posta non lontana

dal ciglio di una voragine aperta verso la visione della Marmolada. Eravamo

cupi e imbronciati. Parlavamo di nuovo della nostra situazione

infelice aggirandoci attorno ai soliti temi: perversioni, tradimenti,

emozioni cattive, e così via. Cercavo di farle dire qualche pensiero

nuovo, onde annotarlo  tra gli appunti del capolavoro da scrivere; ma

quella eludeva le domande, replicando con i luoghi comuni che

avevamo codificato insieme negli ultimi tempi a proposito del

nostro connubio desolato e corrotto.

Ad un tratto per scuoterla  volli colpirla in una sua

debolezza essenziale, una zona critica e dolorosa dell'anima, una

piaga che, appena sfiorata, la faceva dubitare perfino della propria

identità. Dissi soltanto:"Ifigenia, sei più bella, giovane e

affascinante adesso di quando ti ho conosciuta". Una provocazione che fece cadere

 la maschera di indifferenza con cui si era protetta

fin a quel momento:  mi guardò con un'espressione di terrore e di odio, poi

disse:"Io non cerco nessuna consolazione del fatto che non sono

tanto giovane quanto le fanciulle delle quali senti bisogno tu per

eccitare i tuoi nervi stremati". Quindi si alzò e si avvicinò al ciglio

del precipizio. Provai compassione della sua debolezza e mi alzai

per andare ad accarezzarla, a dirle che se soltanto mi avesse

trattato bene, non avrei desiderato altro. Ma non potei farlo. Prima che

arrivassi a toccarla, Ifigenia scappò e si rintanò nel rifugio.

Rimasi fermo. Poi la seguii adagio. La raggiunsi. Piangeva. Le

domandai perché.

"Ho creduto che tu volessi ammazzarmi buttandomi giù", rispose.

La guardai costernato. Non potevo spiegarle più niente. Dissi

soltanto:"Ma va' ". Per tutto il giorno non riacquistò la ragione. Il

precipizio l'aveva dentro di sé la ragazza. Era in bilico sul proprio

inconscio, un baratro terrificante , ed era in balia del cavallo

nero, contorto e massiccio, peloso fino alle orecchie, come quello

maligno della biga platonica .


 

 

 

Ifigenia aveva

un'angoscia cieca e regressiva. L'avevo

scatenata

con un' osservazione tutt'altro che atroce, eppure

insopportabile per la insicurezza. Fino a sera non fu

possibile dirle una sola

parola senza insospettirla e farla

piagnucolare, o addirittura ferirla e vederla infuriata. Come Dio

volle, arrivò l'ora di cena. Per fortuna la cameriera della colazione

non c'era. Oltretutto in effetti non era un granché. Io non avevo più

alcuna voglia di vedere la mia compagna in quello stato pieno di

furia o di lagna: mi faceva pena e mi dava fastidio. Il problema

principale era se, dopo mangiato, era meglio chiederle di fare

l'amore con estrema cautela, o non proporglielo affatto.

Mentre la guardavo con sguardo che voleva essere mite, mi

sembrò che se avessi fatto una proposta erotica, probabilmente

avrei provocato un'altra reazione di dolore o di intolleranza.

“Come osi, dopo quanto hai detto? Senza contare quello che

avresti fatto se non fossi fuggita  in tempo da quel precipizio! Appena in

tempo!”-

"No, no – pensai –, è meglio stare zitti!".

Parlava lei traendo profondi sospiri dal'imo petto. Diceva che tra

noi due infelicissimi, si erano alzate barriere di incomprensione

alte e fredde più degli algidi monti che incoronano la valle di

Fassa.

Era molto più commediante e barocca del solito. Sfoderava pose e

accenti melodrammatici inconsueti pure per lei, avida di esibire se

stessa. Sentivo che qualche cosa non funzionava nel suo cervello,

e le rispondevo in maniera generica, come faccio con Stefania, la

vecchia amica demente, quando ha le crisi nervose:"Eh sì,

purtroppo sì. Sembra anche a me.  Del resto tutto può essere".

Dicevo che se tra noi non andava bene come una volta, la colpa

non era sua né mia: era tutta  del fato. "La divinità infatti è

invidiosa e turbolenta-citavo-, l'uomo soltanto vicissitudine , e ciò

 

che proviene dal cielo non è consentito stornarlo". Non volevo più

litigare né discutere con lei che per quel giorno, secondo le mie

previsioni, non avrebbe riacquistato il controllo del cavallo

spudorato e demente  che la trascinava indietro verso un passato

doloroso e spaventoso.

Pesaro 29 agosto 2024 ore 18, 20 giovanni ghiselli.

p. s

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[1] Cfr. Virgilio, Georgiche, II,146-147

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