domenica 25 agosto 2024

Viaggio in Grecia agosto 1981 IX. L’offerta respinta.

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Sicché decisi di parlare senza maschera e senza ironia, per fare la pace.

Andai nel bagno per mettermi le lenti a contatto quasi fossero un abbigliamento elegante. Comunque costituivano uno dei momenti della mia cosmesi dopo la bicicletta, le corse a piedi, l’abbronzatura, la doccia  e la frugalità.

 Quindi tornai a sedermi sulla cuccia della cabina, chiusi il quaderno che avevo lasciato aperto  e dissi: “Il nostro rapporto è fallito, Ifigenia, c’è poco da fare. Ma non è una tragedia: non c’è stato un bambino e dopo questo pellegrinaggio possiamo smettere di frequentarci, se vuoi”.

“Come potrei non volerlo ?”, fece, rispondendo con una domanda retorica.

Il gioco di scacchi ricominciava ma non desistetti dalla volontà di fare chiarezza.

“Il fatto più grave cui è difficile trovare rimedio è che in noi due,  c’è della stanchezza. Abbiamo nell’anima qualche cosa di tetro, di malato, che ci sottrae energie, ci ha tolto del tutto ogni letizia dal petto, expulit ex omni pectore laeitias[1].

Stavo ricominciando a citare, a recitare anche io. Era più forte di noi, zingari teatrali di formazione classica. Lei più dionisiaca, io incline piuttosto all’apollineo.

“Tu mi hai lasciato, almeno quale “fidanzata”, da tempo: se la causa del nervosismo e dello squilibro che ci fa cadere nell’insensata volgarità del litigio fosse stato il nostro rapporto, saremmo sereni oramai.

Del resto se il frequentarci solo sporadicamente e senza vincolo alcuno ci avesse reso felici, ora non saremmo chiusi a beccarci con tanto spargimento di sangue in questa angusta cabina.

Ricordati che la settimana scorsa ci siamo cercati a vicenda e quando ci siamo trovati abbiamo detto: “mi manchi” con parole reciproche.

Dunque non è vero che in nostro discidium o divortium ci renda felici. Io senza te non lo sono mai stato.

Tu non abitavi nella periferia delle mie gioie, anzi con te ho visto tutti i termini della beatitudine mia[2].  

Né d’altra parte lo stare insieme ci piace, come si vede benissimo qui. Secondo me c’è qualche cosa di malato in entrambi, e il morbo non dipende dal nostro rapporto, bensì lo contagia. Che cosa può essere?

Pensiamoci, Ifigenia, parliamone senza questionare”

“ Va bene, ci penserò, ma non voglio parlarne con te”

“Per quale ragione vuoi pensare da sola a un problema, un ostacolo alla felicità che riguarda anche me?”

“Perché non mi fido di te: tu non hai più l’autorità morale, l’autorevolezza per darmi consigli”.

“Ho capito”, conclusi.

 

Non potevo dialogare con una persona che mi rifiutava. Uscìi dalla stretta cabina pensando: “mi rivedrai a Patrasso o sull’ombelico del mondo”.

Salìi sul ponte. Navigavamo già tra i sacri monti dell’Ellade. Cercavo di non pensare più a niente. Presto però mi raggiunse colei e sedette vicina, cupa e senza guardarmi tuttavia. Nemmeno quei monti tutti pieni di dèi guardava. Il ponte di poppa era  pieno di gente seduta o distesa a prendere il sole. Ifigenia guardava se la guardavano, oppure fissava lo sguardo sulla propria ombra. A un tratto interruppe il silenzio e osservò che il luccichìo del sole sul mare sembrava una danza di lucciole sotto la luna.

Imitava il mio metodo inteso a trovare le somiglianze. Forse voleva riprendere il dialogo.

Ma la feci aspettare

Pensai che traesse impressioni maggiori dalle notti lunari che dai giorni solari.

Mi vennero in mente alcuni suoi strilli isterici, raccapriccianti, quando vedeva spuntare la luna su tacita selva, a Moena, o dalla distesa marina di Pesaro. Le lucciole piacevano anche a me quando ero bambino: le vedevo negli orti pesaresi, ma a Bologna non le avevo mai viste. Pensai a Pasolini. Un maestro che mi mancava. “Per fortuna le farfalle volano ancora” mi dissi. Ifigenia si alzò. Camminava leggera in mezzo a un carnaio di corpi distesi sul sordido ponte della nave ferrigna. Sembrava una farfalla discesa nell’orribile barca del demonio Caronte per portare ai dannati l’estrema visione della bellezza terrena.

“Se si avvicina troppo alle perdute genti destinate all’inferno-pensai-questa farfalla nera rischia di bruciarsi le ali, di precipitare anche lei nel lago gelato dell’odio, tra le ombre dolenti dai visi cagnazzi, a battere i denti come tante cicogne imprigionate dal ghiaccio”.

Pesaro 25 agosto 2024 ore 11, 15 giovanni ghiselli

p. s.

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[1] Catullo, 76, 22.

[2] Queste due espressioni iperboliche e ricercate risentono la prima del Giulio Cesare di Shakespeare (II, 1, 285-286), la seconda della Vita nuova di Dante (I, 1). Questo è manierismo, anche un po’ Kitsch direte voi. Non posso negarlo.

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