lunedì 5 agosto 2024

Il mutare dei costumi. Guerra santa di Alessandro e guerre maledette da diversi autori .

 

 

 

Curzio Rufo Libro VI.

Inizia con la battaglia di Megalopoli (in Arcadia, 331 o 330) combattuta da Antipatro il reggente di Macedonia contro il re Agide III  e i suoi  Spartani aiutati da Achei ed Elei. Curzio indugia sulla  morte gloriosa di Agide, mentre Arriano è reticente.

Curzio racconta che Agide eminebat spiccava non armorum modo et corporis specie, sed etiam magnitudine animi, quo uno vinci non potuit (6, 1, 3) e solo in questa cosa non potè essere vinto. Agide morì da eroe: moribundus in arma procubuit (15).

  “Il re ferito si difese sino alla fine, mostrando un coraggio degno di Leonida”  (Bosworth, p. 217).

 

L’invidia di Alessandro. I vizi di Al.

Antipatro vinse ma temeva l’invidia di Al. (invidiam…metuebat, 6, 1, 17). Al. non nascondeva la propria irritazione suae demptum gloriae existĭmans quicquid cessisset alienae (6, 1, 18) che fosse stato sottratto alla sua gloria tutto quanto fosse passato a un altro.

 

L’invidia dei Cesari.

Quanto allo fqovno", Tacito attribuisce più di una volta l' invidia ai suoi Cesari mancando di obiettività epica verso il nemico interno, come nota Mazzarino.

Tiberio (14-37) temeva dai migliori un pericolo per sè, dai peggiori disonore per lo Stato (ex optimis periculum sibi, a pessimis dedĕcus publicum metuebat , Annales , I, 80), e Domiziano 81-96 invidiava e odiava Agricola per i suoi successi in Britannia:"Id sibi maxime formidolosum, privati hominis nomen supra principem attolli " ( Agricola[1] , 39), gli faceva paura soprattutto il fatto che il nome di un suddito fosse messo al di sopra di quello del principe.

 

 Al.  intanto si dava ai piaceri: “quem arma Persarum non fregerant, vitia vicerunt” (6, 2, 1). In questa frase si sente si sente la mentalità romana.

I vizi erano tempestiva convivia, banchetti prolungati, perpōtandi pervigilandique insana dulcedo, il piacere malsano di gozzovigliare e vegliare tutta la notte, ludique, et greges paelĭcum (6, 2, 2) e intrattenimenti e stuoli di cortigiane. Tutte le sue abitudini erano scivolate in un costume straniero omnia in externum lapsa morem che egli imitò, quasi potiorem suo, come se fosse preferibile a quello macedone, e offese i suoi compatrioti ut a plerisque amicorum pro hoste haberetur al punto che da gran parte dei suoi amici veniva considerato quale un nemico.

Al. aveva spinto in peregrina et devictarum gentium mala nei vizi stranieri  di genti sconfitte i  Macedoni tenaces disciplinae suae solitosque parco ac parabili victu  ad implenda naturae desideria defungi   (3) legati alla propria disciplina se abituati a un tenore di vita parco e procurabile a soddisfare a completamente i bisogni naturali

I mores antiqui rischiano di diventare  minoritari quando si oppongono a quelli nuovi  e crescenti. Costumi dissoluti e viziosi piacciono alla feccia.

Quindi le congiure contro la vita del re corrivo al nuovo, poi le collere e i sospetti di Al.

Infine i banchetti dove le prigioniere ricevevano l’ordine di cantare un carme rozzo e sgradevole per orecchie straniere.

captivae iubebantur suo ritu canere inconditum et abhorrens peregrinis auribus carmen. ( Curzio, 6, 2, 5)

Una di queste, bella e fine, fu notata da Alessandro: mostrava, deiectis oculis, e con un atteggiamento riservato, di essere  nobiliorem quam ut inter convivales ludos deberet ostendi  (6) per doversi esibire tra gli intrattenimenti conviviali.

In effetti apparteneva alla famiglia reale e A. la liberò: “in animo regis tenues reliquiae pristini moris haerebant” (6, 2, 8), rimanevano attaccate deboli tracce del mos nobile. Quindi il capo macedone separò i prigionieri nobili dagli ignobili.

Poi si giunse nella capitale della Partia, Ecatompilo fondata dai Greci (a est del Caspio). I soldati volevano tornare indietro, e A. parlò.

VI 3. Disse tempore opus est,  (6, 3, 6) ci vuole del tempo, perché i barbari si civilizzino. Fruges quoque maturitatem, stato tempore, expectant (7) anche le messi hanno bisogno di tempo per maturare.  I vinti sono tot gentesnon sacris, non moribus, non commercio linguae nobiscum cohaerentes (8). Costumi religione e lingua: la carta d’identità di un popolo. I nemici vinti Vestris armis continentur, non suis moribuscum feris bestiis res est (8).

Rimangono molti nemici a est : dobbiamo eliminarli : come i medici non lasciano nulla che possa nuocere al corpo, « sic nos quicquid obstat imperio recidāmus » (11). E’ la teoria degli Stati canaglia. Poi attacca l’infame fellone Besso: punirlo sarà far capire ai Persiani vos pia bella suscipere (6, 3, 18) che intraprendete guerre sante.

 

Excursus sulle guerre maledette

 

Nella letteratura antica d’altra parte non mancano le maledizioni della guerra.

Omero

Già nell'Iliade Zeus  dice ad Ares:"e[cqisto" dev moiv ejssi qew'n oi}   [Olumpon e[cousin (V, 890), tu per me sei il più odioso tra gli dei che abitano l'Olimpo.

 

Eschilo

 Nel primo Stasimo dei  Sette a Tebe di Eschilo il Coro dissacra il dio della guerra: Ares  è un domatore di popoli che  infuriando soffia con violenza e contamina la pietà "mainovmeno" d j ejpipnei' laodavma"-miaivnwn eujsevbeian"(vv. 343-344).

Nell'Agamennone[2] Ares viene definito "oJ crusamoibo;" d j  [Arh" swmavtwn" (v.437), il cambiavalute dei corpi, nel senso che la guerra distrugge le vite e arricchisce gli speculatori.

Secondo Gaetano De Sanctis, Eschilo con questa tragedia ha voluto mettere in guardia gli Ateniesi"contro le guerre ingiuste, pericolose e lontane, onde tornano, anziché i cittadini partiti per combattere, le urne recanti le loro ceneri. La lista dei caduti della tribù Eretteide mostra quale eco dovesse avere nei cuori tale monito durante quella campagna d'Egitto (anni 459-454) in cui fu impegnato il fiore delle forze ateniesi"[3].

 

Visconti

In maniera analoga il tenente Mahler, il disertore austriaco amante della contessa adultera, del film Senso di Visconti  pone questa domanda retorica:"Cos'è la guerra se non un comodo metodo per obbligare gli uomini a pensare e ad agire nel modo più conveniente a chi li comanda?".

 

Sofocle

 Il coro (di marinai di Salamina) dell’Aiace di Sofocle depreca la guerra e chi ha mostrato ai Greci la presenza universale di Ares dalle armi odiose: prima sarebbe dovuto sprofondare nel grande etere o nell’Ade (vv. 1192-1195).

E’ un rifiuto indiretto di Omero educatore, almeno quale lo vede Eschilo personaggio delle Rane di Aristofane: il divino poeta, afferma il tragediografo, insegnò cose utili: schieramenti di eserciti, valore guerresco e armamenti di eroi. (v. 1035).

 

Nell'Edipo re  Ares viene deprecato dal religiosissimo autore come "il dio disonorato tra gli dei" ( ajpovtimon ejn qeoi'" qeovn, v.215). Il dio è dissacrato poichè la guerra del Peloponneso dopo la morte di Pericle veniva condotta dal becero e sanguinario Cleone senza rispetto dell'etica eroica e senza riguardo per l'umanità: Tucidide  nel dialogo senza didascalie del V libro fa dire dagli Ateniesi  ai Meli di non volgersi a quel senso dell' onore (aijscuvnhn, 111, 3) che procura grandi rovine agli uomini.

La sofferenza delle donne per le guerre degli uomini è compianta dal Coro di vecchi Tebani nella Parodo dell' Edipo re dove la peste allude anche alla guerra: "La città muore senza tenere più conto di questi[4]/e progenie prive di pietà-nhleva de; gevneqla- giacciono a terra portatrici di morte senza compassione,/ e  intanto le spose e anche le madri canute/di qua e di là, presso la sponda dell'altare/gemono supplici/per le pene luttuose"( vv. 179-185).

 

Empedocle[5] di Agrigento nel Poema lustrale   narra che gli uomini della primitiva età felice non avevano Ares come dio né il Tumulto della battaglia:"oujdev ti" h\n keivnoisin  [Are" qeo;" oujde; Kudoimov""(fr. 119, 1).

 

 Tre commedie pacifiste di Aristofane

 

Diceopoli, Il protagonista degli Acarnesi del 425 di Aristofane, che dichiara guerra alla guerra, promette: "io non accoglierò mai in casa Povlemo" (v. 977), la personificazione del conflitto, visto come " un uomo ubriaco[6] (pavroino" aJnhvr, v. 981) il quale "ha operato tutti i mali e sconvolgeva, e rovinava"(983) e, pur invitato a bere nella coppa dell'amicizia, "bruciava ancora di più con il fuoco i pali delle viti/e rovesciava a forza il nostro vino fuori dalle vigne"(986-987).

 Il pacifista Diceopoli si fa portavoce dei contadini, esasperati poiché gli opliti spartani nella fase archidamica della guerra (431-421) ogni anno distruggevano  i raccolti dell’Attica.

  Respinto Polemos, arriva la Pace connessa alla festa, all'amore e alla bellezza dell'arte: infatti è compagna della bella Cipride e delle Cariti amabili (v. 989). Quindi giunge l'inviato di un marito, un paraninfo che offre a Diceopoli le carni del banchetto di nozze per avere una coppa di pace:" i[na mh; stratevouit j ajlla; kinoivh mevnwn" (Acarnesi, v. 1052), al fine di non andare in guerra ma rimanere in casa a fare l'amore. Diceopoli, che ha sofferto l'incomprensione dei concittadini, non si commuove per lo sposo, ma si adopera per la sposa: la donna non si merita di soffrire per la guerra (v. 1062).

La guerra sarebbe scoppiata in seguito a ratti di prostitute in un bordello di Megera e per ritorsione da parte dei Megaresi in uno ateniese gestito da Aspasia

 

Nella seconda commedia pacifista di Aristofane (Pace del 421) la Festa che segue alla pace  odora di frutta, di conviti, del grembo di donne che corrono verso la campagna (kovlpou gunaikw'n diatrecousw'n eij" ajgrovn, v. 536) e di tante altre cose buone.

In questa commedia si racconta che gli dèi[7] si sono allontanati dagli uomini per non vederli sempre combattere e li hanno abbandonati a Polemo il quale ha gettato la Pace in un antro profondo (v. 223). Intanto però il pestello (aJletrivbano" , v. 269) degli Ateniesi, il cuoiaio (oJ bursopwvlh" , v. 270) che sconvolgeva l'Ellade, è morto. Così pure Brasida, il pestello dei Lacedemoni. La pace accresce le possibilità di vita secondo Trigeo, il vecchio contadino ateniese: essa consente di navigare, rimanere dove si è, fare l'amore, dormire, andare a vedere le feste, banchettare, giocare al cottabo, e gridare iù iù (vv. 341-345). Vogliono le guerre i fabbricanti di lance e i mercanti di scudi per i loro guadagni (vv. 447-448). Alla fine questi riceveranno le pernacchie mentre i contadini potranno tornare al lavoro dei campi richiamando alla memoria l'antica vita che la Pace largiva : i pani di frutta secca, i fichi e i mirti, il dolce mosto, le viole accanto al pozzo e le olive di cui si ha desiderio. La pace per i contadini significava la zuppa d'orzo verde e la salvezza (ci'dra kai; swthriva, v. 595) sicché le vigne e i teneri fichi, e quante altre piante vi sono, rideranno liete accogliendola.

Segue nell'agone un'eziologia della guerra meno ridicola di quella presentata negli Acarnesi : Pericle, spaventato dalle accuse intentate a Fidia, per non seguire la stessa sorte, mise a fuoco la città e provocò tanto fumo che tutti i Greci lacrimavano.

 Alla pace ritrovata conseguono progetti e preparativi di feste a base di scorpacciate di cibo e orge sessuali: Teoria ha un culo da festa quinquennale e va molto bene; la focaccia è cotta, la torta col sesamo è impastata e tutto il resto è pronto:"tou' pevou" de; dei' " (v. 870), manca solo il bischero. Quindi Trigeo cita due esametri omerici[8]:"è privo di legami sociali, di leggi, di focolare quello che/ama la guerra civile agghiacciante (Pace, vv. 1097-1098).

 Ogni guerra del resto è una guerra civile. Nella II Parabasi  il Coro di contadini proclama la sua gioia per la libertà dagli impegni bellici e la possibilità che la pace offre di stare vicino al fuoco a bere con i compagni, arrostire ceci, mettere ghiande al fuoco e sbaciucchiare la serva tracia mentre la moglie si lava. Poi quando arriva l'estate con la dolce canzone della cicala[9] Trigeo gode nel vedere maturare viti precoci e mangiare i fichi dicendo "w|rai fivlai" (v. 1168), che bella stagione! Di questo gode il contadino invece di essere arruolato ancor prima dei cittadini, e di dover obbedire a un capitano vigliacco. Alla festa finale arriva un mercante di falci che ha ripreso la sua attività ed è grato a Trigeo, mentre il mercante di armi è addolorato. Il cimiero, che lui vende, può servire al massimo per pulire la tavola, e la corazza per cacarci dentro. Le lance segate in due potranno fare da pali di viti. Infine c'è la festa di nozze fra Trigeo e Opora (il raccolto): lui ce l'ha grande e grosso, lei  ha la fica dolce (Pace, vv.1350-1351).  

 

Nella Lisistrata del 411 sono le donne ateniesi , spartane, tebane e corinzie che riescono a imporre la pace ai loro maschi belligeranti attraverso lo sciopero del sesso.

 

 

Anche Euripide, che pure aizza spesso l'odio ateniese contro Spartani e Spartane, attribuisce a Poseidone una condanna delle devastazioni belliche nel prologo delle Troiane :"mw'ro" de; qnhtw'n o{sti" ejkporqei' povlei", -naou;" te tuvmbou" q  j, iJera; tw'n kekmhkovtwn,-ejrhmivvva/ dou;" aujto;" w[leq ' u{steron"(v. 95-97), è stolto tra i mortali chi distrugge le città, gettando nella desolazione templi e tombe, sacri asili dei morti; tanto poi egli stesso deve morire.

 

Nell'Elena (vv. 37-40) e nell'Oreste (vv. 1640-1642) il tragediografo afferma che la guerra è un mezzo voluto dagli dèi per alleggerire il mondo oberato dalla massa troppo numerosa dei mortali.

 

 Mi sembra  opportuno ricordare tali giudizi sull'assurdità della guerra che viene imposta  agli uomini comuni, non dagli dèi ma dai palazzi del potere, affinché i poveri servano a interessi che sicuramente non sono i loro.

 "Sì sì, lei non era qui". Dice di Elena la Cassandra  di Christa Wolf. E aggiunge:"Il re d'Egitto l'aveva tolta a Paride, quello stupido ragazzo. Lo sapevano tutti nel palazzo, perché io no? E ora? Come ne usciamo, senza perdere la faccia. Padre, dissi, con un fervore col quale non gli parlai mai più. Una guerra condotta per un fantasma, può solo essere perduta"[10].

 

Ora passiamo in rassegna alcuni autori latini. 

 Virgilio nella prima Georgica  (v.511) depreca "Mars impius " che al tempo della guerra civile infuria dovunque, come nell'età del ferro.

 

Orazio   chiama il dio Marte torvus in Carmina I, 28, 17 e cruentus in II, 14, 13.

 

Tibullo [11] attribuisce la colpa della guerra al vizio dell'oro:" Quis fuit horrendos primus qui protulit enses? /Quam ferus et vere ferreus ille fuit!// Tum caedes hominum generi, tum proelia nata,/tum brevior dirae mortis aperta via est.// An nihil ille miser meruit; nos ad mala nostra/vertimus, in saevas quod dedit ille feras?//Divitis hoc vitium est auri, nec bella fuerunt,/faginus adstabat cum scyphus ante dapes " (I, 10, 1-8), Chi per primo ha tirato fuori le orrende spade? Oh quanto feroce e davvero ferreo[12] fu quello! Allora la strage nacque per il genere umano, allora la guerra, allora più breve si è aperta la via della morte tremenda. Oppure quel disgraziato non ebbe colpa; ma noi volgemmo a nostro danno quello che egli ci diede contro le belve feroci?

 Questa è  colpa del ricco oro, e non c'erano guerre quando una coppa di faggio stava davanti alle vivande.  Era già l'età del business .

 

Tacito

Splendida condanna dell'imperialismo dei Romani e delle loro guerre di rapina e sterminio pronuncia Calgaco, il capo dei Caledoni ribelli nell'Agricola di Tacito:"Auferre trucidare rapere falsis nominibus imperium, atque ubi solitudinem faciunt, pacem appellant "  (30), rubare, massacrare, rapire con nome falso chiamano impero e dove fanno il deserto lo chiamano pace.

 

 Fine dell’excursus

 

 Pesaro 5 agosto 2024 ore 18, 24 giovanni ghiselli

 

p. s

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[1] Del 98 d. C.

[2] Del 458 a. C.

[3] Storia dei Greci , II vol., p.91 marzol

[4] Dei cadaveri.

[5] Fiorito intorno alla metà del V secolo.

[6] Cfr. le grandi bevute di Alessandro.

[7] Disgustati, come ha detto di recente il Pontefice.

[8] Da Iliade 9, 63-64.

[9] Questa non dà segni ambigui come la rondine.

[10]C. Wolf, Cassandra , p. 85.

[11]  Nato a Gabii o a Pedum , nel Lazio rurale fra il 55 e il 50 a. C., morto tra il 19 e il 18 a. C. Sotto il suo nome ci è giunto il Corpus tibullianum , tre libri di elegie. Sono sicuramente e autenticamente tibulliani i primi due che cantano l'amore per due donne, Delia e Nemesi. Il terzo libro che gli umanisti divisero in due parti è un' antologia di vari autori, compreso Tibullo. Quintiliano lo definisce tersus atque elegans maxime…auctor  (Institutio oratoria , X, 93), l'autore più elegante e raffinato, nel campo dell'elegia dove i latini possono sfidare i Greci.

[12]  Cfr. Erodoto:" ejpi; kakw'/ ajnqrwvpou sivdhro" ajneuvrhtai" (I, 68, 4), il ferro è stato inventato per la rovina dell'uomo

 

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