giovedì 29 agosto 2024

La settimana bianca a Moena nel marzo del 1981. Prima parte.


 Argomenti della prima parte

Le sciate

riflessive sull'Alpe di Lusia e di Pampeago. Il rimpianto dell'estate

di Elena

La telefonata mancata e

recuperata.

 

Il primo marzo, mentre sciavo sulle nevi del Lusia, pensavo a

Ifigenia con gratitudine. Quella ragazza mi aveva spinto ad

agire per diventare migliore secondo il corpo e secondo la mente.

Mi aveva indotto a scalare montagne, a correre i 5000 metri in 18

minuti e venticinque secondi, mi aveva aiutato a vincere gare

davvero olimpiche con gli altri e con me stesso, mi aveva

invogliato a migliorare per essere preferito da lei ad altri pretendenti.

Perciò dovevo scrollarmi di dosso la rovinosa educazione della

pretaglia sedicente cristiana che già aveva distrutto Ludwig II di

Baviera, trasformando il suo ardente desiderio di baci in un deleterio

senso di colpa; e dovevo fidarmi dell'amore di lei che negli ultimi

giorni oltretutto mi aveva teso una mano. La crisi che stavo

attraversando non era una cosa solo cattiva, poiché mi faceva

riflettere; però oramai era tempo di uscirne per vivere meglio.

All'ora di cena le telefonai riferendo questi pensieri. Sembrava

disposta bene anche lei.

Il due marzo andai sull' alpe di Pampeago, sopra Predazzo. Il sole

non c'era e tirava un vento gelato. Avevo cambiato disposizione

mentale, e non in meglio. Quando non abbiamo affetti sicuri, né

un forte autocompiacimento, né un equilibrio saldo, il tempo

atmosferico influisce assai sull'anima debole e vacillante.

Il freddo mi gela e imbruttisce anche l’anima.

Sul mezzogiorno, non potendone più dell'aria oscura e gelata,

entrai in un rifugio di latta e di legno, riscaldato con una stufa.

Quando mi fui seduto con una bottiglia di birra, una radio diffuse

il canto di Elena nobile e antico

biancovestita :"Summertime,

when the living is easy ".

Rividi il suo volto ridente nella notte d'estate sotto gli alberi strani

tra le cui foglie biancheggiava la luna e comparivano or sì or no le

stelle, vaghe e luminose come occhi di ragazze timide eppure

contente di un vago avvenire meraviglioso.

Dalla memoria, nel cuore

gocciava il ricordo di quei giorni lontani. Per converso pensai che

Ifigenia era stanca di me, io ero nauseato di lei, e il nostro

rapporto era corrotto quanto un baccanale perverso.

Con Elena era una gioia vederci, andare a zonzo ogni giorno, era

una scoperta parlare delle nostre vite e culture, lontane e diverse;

ed era anche possibile lasciarsi andare, sia pure con garbo: giocare

come bambini, senza sfiducia né sospetti. Poi era estate, i dì

scivolavano lisci, dolci, senza dolore, verso tramonti purpurei,

pieni di voli ; eravamo in vacanza, tra amici, Fulvio su tutti, e

ci godevamo la vita. Negli ultimi mesi invece, dovevo misurare

ogni parola, siccome Ifigenia era pronta a criticarmi, a

deridermi, per sospetto che io volessi fare altrettanto con lei.

Confrontando le due situazioni distanti tra loro dieci anni nel

tempo e ancor più nel mio cuore, piansi di nostalgia e mi chiesi

quando sarebbe rinata una situazione ricca di affetti e di

avvenimenti lieti. Pensavo alla guerra perenne che avevo dovuto

combattere contro avversità dolorose spinto dal desiderio della

felicità che poteva essere solo una donna degna di me, del mio stampo. Avevo

ottenuto qualche successo parziale, anche tre o quattro trionfi, ma

la vittoria definitiva mi era sfuggita sempre. Però non avevo fatto

del male a nessuno, e alcuni progressi c'erano stati.

Non ero fallito del tutto, non ero ingrassato né diventato cattivo.

Finita l'antica canzone, uscii dal rifugio un poco ebbro di birra. Il

vento si era addolcito. Guardai il cielo che si rischiarava sopra le

montagne, umide per il disgelo e luccicanti nelle piante bagnate, prossime a

germogliare. Rimasi fermo a osservare, finché provai un

sentimento di riconoscenza per la natura, per tutte le creature che

mi avevano accolto con simpatia, e per la vita stessa che non mi

aveva mai rinnegato del tutto.

Alle otto di sera, quando le telefonai, però Ifigenia non era in

casa. Il fratello disse che forse era andata alla scuola di recitazione.

Poiché la mia

chiamata era prestabilita e concordata, fui preso da un'angoscia

soffocante. Salivo a stento la scala di legno dell'albergo per

arrivare in camera, chiudermi dentro e buttarmi tramortito sul letto.

Barcollavo con il corpo e con lo spirito: come uno spastico non

riuscivo ad armonizzare i movimenti somatici né a dominare le

convulsioni continue della mente ferita.

Rimasi dieci minuti disteso a domandarmi perché quella ragazza

indefinibile mi avesse lasciato: doveva averne trovato uno che le

conveniva di più; però in un caso del genere, dopo due

anni e mezzo che si sta con un uomo, si prende tempo, ci si pensa,

se ne parla con lui, prima di andare con un altro: non si butta via in

poche ore una relazione lunga e non del tutto immonda come la

nostra. In effetti sarebbe finita in tale maniera. Non era questo lo

schianto finale, era solo un singhiozzo che lo prefigurava: la sera del due marzo,

presentivo e presoffrivo la notte compresa tra il dodici e il tredici

giugno.

Appena ebbi recuperate le forze, per evitare che mi scoppiasse la

testa, decisi di uscire e camminare sotto le stelle che vedono tutto.

Quando fui in fondo alle scale però, come dio volle, il portiere

disse che mi aveva cercato una signorina, Ifigenia, e aveva

lasciato detto di chiamarla a casa, appena fossi tornato. Corsi in

cabina con i venti gettoni che mi portavo in tasca sempre, come

quando ero rinchiuso in caserma e nell'ospedale militare.

Afferrai l'apparecchio, feci il numero con mano tremante. Rispose

lei.

"Ciao tesoro, scusa il ritardo, ma sono tornata a vedere Ludwig

per sentirmi in qualche maniera vicina a te. Dopo, ho fatto una

corsa bestiale per arrivare in tempo: l'autobus non arrivava mai.

Scusami".

"Prego, prego-risposi-però mi sono preso paura che ti fosse

successo qualcosa".

"Mi è successo che senza di te la mia vita è incompleta, e io non

funziono bene. Io ti amo tanto".

"Anche io". Nonostante l'aria chiusa della cabina, il petto mi si era

aperto e riempito di salute, di forza, di gioia.

"Adesso vado a fare due passi sotto le stelle per ringraziarle e pensare a te con riconoscenza per

quanto mi hai detto: sono proprio felice".

Uscii nella notte illune, raggiante di gioia. Ringraziavo gli dei e

il mio destino di non avermi privato troppo per tempo di una

donna siffatta.

Pesaro 29 agosto 2024 ore 9, 35 giovanni ghiselli

p. s.

Statistiche del blog

All time1614451

Today102

Yesterday352

This month10058

Last month11384

 

 

 

 

Nessun commento:

Posta un commento

Ifigenia LV, LVI, LVII.

Ifigenia LV. Civita di Bagnoregio.   Berlino est. Ifigenia e Cornelia.   Rimasi a Pesaro fino al 29 dicembre leggendo i miei autori, a...