venerdì 30 agosto 2024

La settimana bianca a Moena. Decima e ultima parte.


 

Argomenti

L'uccello di fuoco. Il litigioso viaggio del ritorno a Bologna.

 

 

 

 

Il 9 marzo del 1981 in mezzo a quei monti antropomorfi vicini al

disgelo riuscimmo a fonderci ancora una volta con  panica

ebbrezza. In ogni muscolo ci fremeva una vita inimitabile. In quei momenti capivamo che quando non si godeva dell’amore, della salute e della gioventù eravamo in balìa di pregiudizi contrari alla felicità. Nessuna consolazione metafisica ci avrebbe compensato della rinuncia a questa gioia terrena.

 

Allorché fummo sazi di baci e carezze, ci rivestimmo. Il sole

intanto si era avvicinato alle montagne: molto più lunghe e fredde

cadevano le ombre dai dossi rotondi e dalle rocce appuntite.

Bisognava tornare verso la funivia prima che chiudessero le

piste e fermassero gli impianti, lasciandoci in mezzo alla neve

tutta la notte, quando sarebbe stato non piacevole bello e festoso,

ma raccapricciante, forse anche letale rimanere distesi sotto il

cielo, sia pure abbracciati e vestiti, guardando le stelle.

Eravamo ancora contenti, anzi quasi felici. Ifigenia disse che

l'amore fatto all'aperto era un segno di ritrovata intesa dopo due

anni di smarrimento e confusione. Mentre tornavamo in paese con

l'ultima corsa, tanto che la cabina pullulava di inservienti rubizzi e

giulivi, osservavo il sole declinare tra le rupi aguzze: sembrava

uno splendido uccello di fuoco calato sul nido di pietra dove aveva

appoggiato gli artigli, mentre raccoglieva le ali e piegava il collo,

arrotondando la forma dalle piume vermiglie.

 

 

Pensai a quante preghiere1 gli avevo rivolto dovunque l'avessi visto

andare a dormire, quando si annidava tra i monti dopo un volo in

 

Nota

1 “Nulla sensibile in tutto lo mondo è più degno di farsi essemplo di Dio che’l

sole. Lo sole tutte le cose col suo calore unifica” (Dante, Convivio, III, 12).


 

 

 

mezzo alla luce da lui stesso diffusa, o si tuffava come pesce nel mare, oppure si

stendeva, come un vagabondo, in un giaciglio di foglie tra gli

alberi delle colline, o scendeva su grandi pianure, in mezzo a

corone di rondini e di nubi purpuree. Dovunque gli avevo rivolto

preghiere, sempre

esaudite

se buone, poi

gli

avevo reso

ringraziamenti pieni di riconoscenza amorosa, e lo feci anche quel

giorno di marzo, poiché con la sua fiamma amorosa aveva

ravvivato la fiaccola nostra, già vacillante, languida e vicina a

morire. Ero riconoscente pure all’amante tornata docile e amorosa, siccome aveva

assecondato i progetti del dio che da noi si aspettava le cose

egregie cui ci aveva predestinati da sempre. Io  avrei scritto un

capolavoro, lei sarebbe diventata una grande attrice e ci saremmo

amati per sempre. Glielo dissi e le feci piacere. Così, confidando

in destini buoni, tornammo alla Campagnola e cenammo.

 

Ma poco più tardi, viaggiando verso Bologna, l'accordo tra i

demoni nostri si ruppe, senza una causa precisa; forse perché uno

dei due non è buono, oppure perché sono cattivi entrambi, in

maniera diversa per giunta; fatto sta che litigammo di nuovo, e i

benefici di quel pomeriggio fatato andarono in fumo. Guidando

pensavo alle prossime lezioni nella quarta ginnasio, non tanto intensamente

 invero; quindi, per necessaria compensazione, meditavo

sull'opera letteraria che avrei iniziato presto: un dramma, o un

romanzo  con due amanti tragicamente travagliati e ostacolati da

iniquità sociali, nevrosi e contraddizioni personali, ma alla fine

trionfanti nel sole dell'Amore e della Giustizia. Mi compiacevo di

tale disegno e di tanto ottimismo. Bisognava però trovare le forme

e antivedere l'esito della nostra esperienza: in quale modo

avremmo dovuto stimolarci noi due per arrivare allo scopo

grandioso di spingere un popolo intero al bello morale? La buona

ifigenia sonnecchiava

sebbene

non fosse

tardi. Di sua

iniziativa non diceva parola, e, quando le domandavo qualcosa,

rispondeva, or sì or no, a monosillabi.  Non si lasciava svegliare non si faceva coinvolgere, non mi voleva aiutare.

Alla lunga mi diede fastidio,

e un poco alla volta i sentimenti amorosi si dileguarono. Mi venne

in mente un altro viaggio, fatto in tempi meno malsani: allora la

ragazza mi aveva raccontato che sua madre,

durante le ore di guida del marito sui lunghi percorsi autostradali,

invece di aiutarlo a vincere il sonno nemico parlando con lui,

dormiva, o fingeva di farlo, poiché voleva essere lasciata in pace. La ragazza seguiva il modello materno.


 

 

 

. La stessa scappatoia prendeva mia madre quando vedeva

mio padre, vago di ciance, protendere un braccio in gesto

elocutorio. Al pensiero che l’infelicità parentale si ripetesse tra

noi, mi venne l'angoscia. Volli provare se questa fosse scaturita

solo dagli antichi dolori miei, o se avesse una causa nella realtà

che stavo vivendo. Domandai a bassa voce:"Dormi tesoro?"

"No-rispose con aria stanchissima e pigra-, ma ho tanto sonno".

"Ho sonno anche io-ribattei, quasi polemicamente-, ci facciamo

compagnia per un poco?".

"No: ho troppo sonno. Ti prego, lasciami dormire". Non le chiesi

altro; avevo già provato a me stesso che la pena mia era stata

causata dal solito suo atteggiamento parassitario: se eravamo

entrambi assonnati, non capivo perché io dovessi tenermi sveglio da solo e lei, più giovane e fresca di me, potesse

dormire, o fingere di dormire. La bella fanciulla, la necessaria

Musa, davanti a me si toglieva ancora le mutande odorose, grazie

a Dio, però con me non voleva parlare più, poiché non mi amava.

Questo pensiero, dopo le radiose speranze del pomeriggio, mi

rodeva di nuovo.

"E' il suo egoismo colossale a guastarmi l'umore, a

darmi l'angoscia, a corrompere ogni gioia mia che non condivide,

come non vuole collaborare a niente di serio e impegnativo".

Ero pieno di risentimento. Alla stazione Affi, lago di Garda sud ,

mi fermai per un caffé, senza invitarla. Quando fui tornato ed ebbi

ripreso a guidare, Ifigenia doveva avere capito qualche cosa

del mio stato d'animo, preoccupandosene, per sé naturalmente;

fatto sta che alzò la testa e mi chiese:"Allora di cosa vuoi che

parliamo?"

"Del mio capolavoro", dissi con tono secco e astioso. Poi tacqui.

Ma dopo qualche secondo, siccome la Musa nemica non sembrava

intenzionata a fare altre domande, aggiunsi una provocazione che

era anche una mezza dichiarazione di guerra.

"Voglio scrivere un'opera d'arte sulla nostra storia; così quando

sarà finita del tutto ne resterà il ricordo".

A questo punto la ragazza si svegliò completamente e domandò

irritata:" Ebbene?  Che cosa posso fare per te?".

Allora io, per bilanciare i toni della conversazione che speravo

continuasse almeno fino a Mantova est, con voce addolcita

risposi:"tu potresti leggere gli appunti che ho preso in questi ultimi mesi,


 

 

 

non sono molti, e sottolinearne, magari commentarne le parti

degne di entrare, rielaborate, nel nostro capolavoro". Speravo in

una risposta conciliante, invece avevo  scatenato anche il

risentimento suo, e il demone funesto della nostra competizione

cattiva. Infatti rispose:"Se avrò tempo, li leggerò dopo gli esami.

Fino a tutto luglio non posso: devo pensare ai compiti verso me

stessa, prima di assecondare la tua volontà di successo".

"Senti come ha imparato la parte della Nora di Ibsen ", pensai.

 

"Ho capito", risposi, e non le rivolsi più la parola. Mi ripugnava il

parassitismo, il recitare evidente e continuo, la volontà di

sfruttamento di quel rospo velenoso rivestito del corpo di Venere.

Da me aveva appreso e preso tutto quanto le era stato possibile, e

in cambio non voleva darmi più niente. Eppure anche dai suoi

rifiuti potevo imparare, almeno finché la sofferenza del precipitare

indietro non fosse diventata nient’altro che distruttiva .

Allora mi sarei fatto lasciare e avrei cominciato a scrivere.

Arrivati a Bologna, la scaricai davanti al cancello, senza aiutarla a

portare i bagagli davanti alla porta del suo appartamento: la salutai

freddamente dall'automobile. Imparare soffrendo, sì; ma farsi

calpestare, no, nemmeno dall'aurea Afrodite.

 La odiavo. Tornai a

casa mia dove sentii di essere del tutto solo nel mondo.

 

Pesaro 30 agosto 2024 ore 17, 59 giovanni ghiselli.

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p. s.

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