mercoledì 7 agosto 2024

Alessandro. La caccia. L’orrore della derisione. Gli Sciti e il loro simbolismo. Il realismo invece è greco.


 

La caccia

Frataferne satrapo dell’Ircania  promise obbedienza. Al. si recò nella Bazairain Battrania  dove si diede a cacciare bestie feroci. Qui uccise un leone impedendo a Lisimaco di ammazzarlo prima di lui, come aveva fatto una volta in Siria riportando varie ferite.

 La leggenda secondo la quale Lisimaco fu gettato in pasto a un leone trae origine da questi episodi. Dopo questa ultima caccia i Macedoni decisero che il re non cacciasse più a piedi e senza scorta ( 8, 1, 18).

 La caccia fa parte dell’esercizio alla guerra del principe e dell’eroe. Perciò deve essere rischiosa.

 

Pindaro nella Nemea III racconta che Achille sterminava leoni, abbatteva cinghiali, e Artemide era piena di stupore, e anche Atena guerriera, perché il Pelide senza cani né inganno di reti uccideva i cervi, più forte anche di loro nella corsa (vv. 44-52).

Arriano tra l’altro scrisse un Cinegetico sulle orme di quello senofonteo, accentuando però l’aspetto agonistico- cavalleresco che vieta l’uccisione e perfino la cattura dell’animale cacciato.

 

La caccia rischiosa fa parte anche delle attività dionisiache. Nelle Baccanti di Euripide, Dioniso è chiamato da Agave  cacciatore abile ( oJ Bavkgio~ kunagevta~-sofov~, vv. 1189-1190 ). Sì sì risponde il coro, il nostro signore è cacciatore (oJ ga;r a[nax ajgreuv~ , v. 1192).

 

Poi Al. tornò a Maracanda e assegnò a Clito la provincia di Artabazo che si era dimesso per l’età (8, 1, 19).

 

Giustino racconta che Lisimaco aveva dato per compassione del veleno a Callistene sconciato dalle torture di Al. Allora il re lo fece gettare davanti a un leone. Lisimaco uccise la belva mettendogli in bocca la mano avvolta in un panno e strappandogli la lingua (15, 3, 3sgg.).


 

 

 

Gli Sciti in Arriano (libro IV ).

L’orrore della derisione. Arrivarono gli Sciti d’Asia sul fiume Tanai, il Don, mentre Maracanda era assediata da Spitamene. Intanto A. si apprestava a fondare jAlexavndreia ejscavth. Gli Sciti al di là del fiume lanciavano insolenze barbariche per offendere Al. “barbarikw`~ ejqrasuvnanto” (4, 4, 2). gridando che non avrebbe osato attaccarli. Ad Al. i sacrifici non venivano bene per due volte: c’era pericolo per lui. Tuttavia disse che era meglio affrontare l’estremo pericolo piuttosto che, dopo avere sottomesso quasi tutta l’Asia, gevlwta ei\nai Skuvqai~ , come era stato una volta Dario, il padre di Serse (4, 4, 3). Questi re persiani sono due contromodelli.  Orrore della derisione da parte dell’eroe.

 

  Erodoto nel IV libro racconta che gli Sciti schierati davanti ai Persiani si misero a inseguire una lepre. Allora Dario capì che quegli uomini lo disprezzavano e comprese il significato del dono simbolico che aveva ricevuto : un uccello, un topo, una rana e cinque frecce. Era giusta l’interpretazione di Gobria: se diventati uccelli non volerete in cielo, o topi non andrete sotto terra, o rane non salterete nelle paludi, sarete trafitti da queste frecce (4, 132). :"Mai alcun racconto d'età classica è andato più innanzi sulla via del simbolismo...nel racconto dei doni degli Sciti si passa dal concreto all'astratto...non c'è una semplice rappresentazione, come nei suvmbola monetali; c'è un rapporto fra diversi simboli, l'uno connesso con l'altro. Qui non si tratta di intendere un simbolo, come quando si riconosce un suvmbolon monetale. Si tratta, invece, di intendere il linguaggio di quei simboli nei loro rapporti. Perciò la spiegazione è incerta; e il simbolismo dei doni scitici appare ad Erodoto, per le opposte esegesi di Dario e Gobria, per eccellenza ambiguo...Al limite, potremmo persino confrontarlo con il simbolismo degli indovini"[1].

 Gobria, sentito della lepre, disse che vedeva che quegli uomini si prendevano gioco dei Persiani: “oJrw'n ejmpaivzonta" hJmi'n” (4, 134, 3).

    

 

Il riso dei nemici fa orrore a Medea e ad altri eroi tragici.

“Però c'è una difficoltà sola per me: se sarò presa/mentre passo le porte del palazzo e preparo il colpo,/morendo farò ridere i miei nemici (qanou'sa qhvsw toi'" ejmoi'" ejcqroi'" gevlwn,  Euripide, Medea  (381-383).

“Vedi quello che subisci?  non devi dare motivo di derisione (ouj gevlwta dei' s j ojflei'n)/ai discendenti di Sisifo per queste nozze di Giasone,/tu che sei nata da nobile padre e discendi dal Sole. E poi lo sai:/ oltretutto noi donne siamo per natura assolutamente incapaci di nobili/ imprese, ma le artefici più sapienti di tutti i mali”. Medea, vv. 404- 409

L'orrore di essere derisa è un motivo, che ricorre, ed è tra quelli che scatenano la furia di Medea la quale non sopporta il disonore. Fallire non le dispiacerebbe tanto per il danno costituito dalla propria morte quanto per la beffa subita dai nemici. Il riso come il pianto e il sorriso "non vengono appresi nel corso dell'infanzia ma sono innati. Le culture modulano diversamente le loro espressioni, possono indurre alla loro esibizione o alla loro inibizione, ma l'universalità di ciò che manifesta gioia, piacere, felicità, divertimento, tristezza, dolore, testimonia l'unità affettiva del genere umano. I grandi sentimenti sono in effetti universali: amore, tenerezza, affetto, amicizia, odio, rispetto, disprezzo"[2].

In questo caso Medea è mossa dal risentimento per il disprezzo che legge in quel gevlw" .

 

Nell'Eracle di Euripide,  Megara minacciata di morte con i figli dal tiranno Lico, afferma che morire offrendo occasione di riso ai nemici per lei è un male peggiore della morte ( ejcqoi'sin gevlwn-didovnta", ouJmoi; tou' qanei'n mei'zon kakovn) vv. 285-286).

 

Nell' Aiace di Sofocle il Coro dei Marinai di Salamina dichiara il suo dolore per la degradazione dell'eroe resa evidente e penosa dal fatto che tutti sghignazzano (pavntwn kacazovntwn, v. 198). In questa tragedia il riso dei nemici è un Leitmotiv: poco più avanti (v. 367). lo stesso Telamonio lamenta di avere subito dai nemici l’ u{bri" della derisione

 

  Nell’ Elettra di Sofocle, Oreste è spinto alla vendetta anche dal desiderio di togliere il riso dalla faccia dei nemici con la sua venuta:"gelw'nta" ejcqrou;" pauvsomen th'/ nu'n oJdw'/ " (v. 1295).


 

  Gli Sciti e il loro simbolismo.

All'inizio del lovgo" scitico, Erodoto dichiara che nessuno sa con esattezza (ajtrekevw") cosa ci sia al di là della Scizia poiché non  ha avuto informazioni da alcuno che dicesse di saperne qualcosa come aujtovpth", testimone oculare (IV, 16)

Il popolo scita"può essere caratterizzato, comunque, dal simbolismo", come abbiamo visto "nel racconto erodoteo sui doni scitici a Dario". Ma diamo di nuovo la parola all'autore di Il Pensiero Storico Classico :"attribuite ad un popolo come lo Scita, che tiene un po’ dell'orientale (come noi oggi sappiamo, e come anche Erodoto sapeva: IV 11[3]), e un po’ dell'Europa giovane...quelle maniere simboliche hanno un rilievo tutto particolare. Cosa si può contrapporre ad esse da parte della cultura greca? Tutto un mondo diverso: Erodoto lo sa benissimo. Ma egli sottolinea un punto: la festività orgiastica di tipo ellenico. Egli racconta che lo scita Anacarsi fu ucciso perché, tornato dalla greca Cizico nella sua patria, celebrò la festa in onore della Madre degli dèi, alla maniera greca "tendendo un timpano e appendendo statuette al suo corpo"[4]. Qualcosa del genere racconta, ancora, a proposito di un altro scita, Skyles: anche in questo caso, gli Sciti si sarebbero offesi perché egli baccheggiava come i Greci. Se in queste tradizioni erodotèe vogliamo cogliere un'antitesi caratteristica per noi, possiamo formularla in questo modo: da un lato simbolismo scitico, dall'altro festività orgiastica dei Greci. Non già che gli Sciti, nella intuizione di Erodoto, non abbiano un culto. Come hanno gli dèi, così hanno i sacrifici; e persino i templi del dio della guerra. Ma non hanno sacerdoti veri e propri; hanno piuttosto indovini. E soprattutto, non hanno il dio Dioniso-Bacco, mentre hanno Zeus, Apollo, Afrodite, Eracle, Ares, ed anche Posidone. Gli Ellèni, che secondo Erodoto hanno appreso dagli Egiziani il culto di Dioniso-Bacco, appaiono, già per questo, fondamentalmente diversi dagli Sciti"[5].

 

Infine su Greci e una grande cultura orientale Pavese: “il realismo, in arte, è greco l’allegorismo è ebraico"[6].

 

A proposito della campagna napoleonica del 1812, Tolstoj parla di guerra scitica: “Da parte loro gli autori russi si compiacciono ancor più di parlare di come sin dal principio della campagna esistesse il “piano di guerra scitica” mirante ad attirare Napoleone nelle regioni interne della RussiaGuerra e pace, p. 1031.

 

Pesaro 7 agosto 2024 ore 19, 28 giovanni ghiselli

p. s

Statistiche del blog

 

Sempre1607038

Oggi190

Ieri313

Questo mese2645

Il mese scorso11384

 

 

 

 



[1]S. Mazzarino, IL PENSIERO STORICO CLASSICO , I, pp. 144-145.

[2] E. Morin, L'identità umana, p. 41.

[3]Dove gli Sciti sono definiti:"nomavda" oijkevonta" ejn th'/ jAsivh/", nomadi abitanti dell'Asia.

 [4]"oJ jAnavcari" th;n oJrth;n ejpetevlee pa'san th'/ qew'/, tuvmpanovn te e[cwn kai; ejkdhsavmhno" ajgavlmata"IV, 76.

[5]S. Mazzarino, op. cit., pp. 149-150

[6] Il mestiere di vivere , 29 settembre 1946.

Nessun commento:

Posta un commento

Ifigenia LV, LVI, LVII.

Ifigenia LV. Civita di Bagnoregio.   Berlino est. Ifigenia e Cornelia.   Rimasi a Pesaro fino al 29 dicembre leggendo i miei autori, a...