sabato 31 agosto 2024

Ifigenia marzo 1981 a Bologna. Il lungo e confuso rimuginare nel tentativo di dare ordine al caos.


.

Il giorno seguente, martedì dieci marzo 1881, di mattina feci lezione

senza potere  impiegare, qualunque esse fossero, le capacità della

mia mente. Perciò il pomeriggio, in casa da solo, avevo bisogno di

riflettere. Indagare sul significato del rapporto con la bella ragazza

che mi stava sfuggendo, era la mia attività mentale più viva.

Sapevo che se volevo raccontare la nostra storia in maniera che

diventasse degna di essere letta, dovevo allenarmi a coglierne

giorno per giorno gli aspetti essenziali e universali.

Se invece lo scopo era riconquistare l'amore della fanciulla,

bisognava che comprendessi perché l'avevo perduta, e il mezzo

migliore per arrivare all'intelligenza di tanti fatti contraddittori e

confusi, era dare ordine al caos, trarre luce dal fumo1.

 

  Del resto

capire perché con Desdemona avessi fallito, sarebbe stata una

necessità anche nel caso che avessi voluto cambiare compagna; e

in ogni modo la comprensione degli errori fatti nell'opera

educativa dove avevo impegnato tempo, energie, sentimenti, era

indispensabile per la mia parte pubblica di professore. Quindi, sia

per arrivare al capolavoro atteso da sempre, sia per ricominciare

degnamente con Ifigenia, o, per iniziare

ancora più

degnamente con una non peggiore di lei, sia per educare gli

adolescenti di buona natura, dovevo trovare la causa più vera della

nostra degradazione amorosa e umana.

Nota

1

Cfr. Orazio, Ars poetica, v.143: "non fumum ex fulgore, sed ex fumo dare

lucem/cogitat..", non pensa di trarre fumo dallo splendore, ma luce dal fumo. Il

soggetto è Omero.


 

 

 

La ragazza talora incoraggiava il mio  proposito artistico: quella sera,

 dopo avere letto gli appunti che avevo preso nei giorni di

solitudine,  disse

che dovevo cominciare a comporre la grande opera letteraria,

poiché il talento lo avevo, e il mancato successo del dramma non

significava che alle mie parole mancasse una forza ricca e

straordinaria 2.

Una potenza che avrei dovuto disciplinare però, e

incanalare in uno stile fluente come l'acqua di un fiume ampio e

maestoso.

Così credetti che il significato e la giustificazione

dei dolori quasi continui dell'orrenda vacanza moenese, fosse

proprio l'acquistata coscienza della necessità di scrivere presto.

Pensavo di avere ancora bisogno della sua presenza. Temevo che

se mi avesse lasciato troppo per tempo, sarei diventato un cesso di

uomo: ingrassato, perduti o imbiancati i capelli neri, caduti o cariati i

denti, avrei smesso di leggere, mi sarei ubriacato, e, briaco, sarei

andato a ingiuriare le cattive signorine sul lungomare di Riccione3

 ; insomma avrei ucciso le

mie potenziali capacità di fare le cose egregie delle quali però

sarebbe rimasto il desiderio tragicamente frustrato che mi avrebbe

spinto ad ammazzarmi lanciando bestemmie inaudite.

Era stata Ifigenia a evocare la parte migliore di me, e lei

soltanto poteva portarmi al compimento di un'opera grande e

meravigliosa. Certo, le mancavano la finezza, l'autenticità e la

forza mentale che avrei voluto nella mia compagna di vita, però

aveva determinazione per gli scopi che le stavano a cuore, e la mia

realizzazione artistica poteva importarle assai, se non altro perché

avrebbe procurato vantaggi pure a lei. Ma soprattutto era

dotata dell'aurea bellezza, consolatrice di tutti gli affanni. Una sera,

solo davanti al televisore nella cucina sconvolta, vidi la Loren

giovane e mi sembrò che assomigliasse alla donna mia. Per tutto il

tempo del film sentii la dolorosa mancanza della compagna

precaria; quando fu finito, pregavo che mi telefonasse, come

 

Note

 

2

Cfr. Shakespeare, The tempest:"But doth suffer a sea-change/into something

rich and strange" (I,2), ma subisce un cambiamento marino/in qualche cosa di

prezioso e raro.

 

3

Cfr.

Aristofane,

I Cavalieri

, v. 1400: "

mequvwn te tai'" povrnaisi

loidorhvsetai

", e ubriaco oltraggerà le puttane. Cfr. anche Cocotte di Gozzano.


 

 

91

faceva solitamente dopo uno spettacolo visto da entrambi in luoghi

diversi; infatti non mancò di chiamarmi, e mi rese felice. Le dissi

che se mi avesse dato una mano sarei divenuto il più grande

scrittore, non di tutti i tempi, poiché superare Dante, Virgilio,

Platone, Sofocle, Omero, probabilmente non era alla portata mia, e

 Forse nemmeno il massimo autore del Novecento, siccome anche Joyce, Proust,

Kafka, Hesse, Mann sono dei giganti; ma il migliore  vivente sì

per dio, mi era possibile, e lei di conseguenza poteva diventare la

prima attrice del mondo. Ci ridemmo sopra, poi ci salutammo. Io

credevo a quanto le avevo detto sia pure con tono scherzoso,

poiché fa parte della mia autoeducazione prefissarmi mete alte,

difficili, quasi impossibili, e cercare di raggiungerle usando tutte le

forze; così andai a letto con le lacrime agli occhi pensando che lei

aveva le qualità essenziali per farmi da Musa, Calliope o

Melpomene4

 ispiratrice di un capolavoro che avrebbe fatto epoca e

rieducato il meglio dell'umanità.

 Non sapevo che il 15 di quello stesso  mese di marzo

mi avrebbe lasciato una prima volta, e il 13 giugno una seconda, in

modo pressocché irreparabile, tanto da indurmi a considerarla

perduta, a chiudermi in casa e a sposare me stesso per dare alla

luce il mio romanzo nella solitudine immensa e spaventosa di un

anno pur confortato dalle rare, preziosissime visite sue, e dalla

coscienza di mettere al mondo qualche cosa di bello, di utile per

quanti mi leggeranno in futuro. Allora non potevo contare

il tempo che ci sarebbe voluto per scriverlo altre volte,

correggerlo, limarlo, dargli la mano estrema. Spero di non

scoraggiarmi e di non morire nel darlo alla luce, quando

 sarò un primiparo annoso. Oggi invero mi avvicino al compimento dell’ottantesimo anno e ancora non ho terminato il mo compito.

L'11 marzo, dopo la scuola, tutto il pomeriggio e la sera pensai.

Volevo capire meglio perché fosse finito l'amore per la creatura

che con il profumo e la luce dei suoi venticinque anni mi aveva

rivitalizzato, imbellito, bonificato dai piedi alla testa. Avevo

assorbito la vitalità della sua gioventù, ma lei, come persona,

non l'avevo amata: mai mi ero preso cura di Ifigenia in sé, dei

4

La prima è la Musa della poesia epica, quindi anche del romanzo che Hegel

nell'Estetica definisce "la moderna epopea borghese"(trad. it. Feltrinelli, Milano,

1978, p.1447); la seconda è l'ispiratrice dei tragediografi.


 

 

 

suoi pensieri e sentimenti; e quando diede segni di declino vitale

appoggiandosi pesantemente sulle mie spalle, quando perse le ali

da giovane Nike 5

 divenendo una pesante e triste schiava, quando

la sua carne squillante smise di lievitare6

 

e perse fragranza, io

smarrii gran parte dell'interesse, quasi tutto materiale che avevo

provato per lei. Eppure  non era soltanto materia quella ragazza.

Anch'ella del resto aveva considerato più il mio presunto talento di

educatore, o addirittura il mio momentaneo successo di professore

al liceo, che la mia persona e la mia umanità. Nell'autunno del

1978

, quando mi corse dietro nei tetri corridoi del Minghetti era

una supplente insicura, bella quanto si vuole, ma insicura di tutto, e piuttosto

emarginata da

quell'ambiente borghese per il suo stato di

proletaria, oltretutto immigrata da un paesello sperduto tra i monti molisani; io ero un insegnante

considerato  ottimo dagli studenti migliori; anzi, c'era una classe

intera, una terza, che lottava a spada tratta,  con fragore, contro il

preside Tanghero e i professori più retrivi per essere preparata da

me, in vista dell'esame di maturità, e non solo di quello. Ebbene

tale prestigio, qualunque esso fosse, affascinò Ifigenia: anche

lei voleva mettersi in mostra, acquistare rinomanza, in un

ambiente dove le ragazze belle non erano poche, gli insegnanti

bravi pochissimi; quindi divenire l'amante di un professore quotato le

sembrò un ottimo mezzo per raggiungere lo scopo di essere considerata importante. Era fiera di

farsi vedere con me, tutta contenta quando poteva ostentare la

nostra relazione. Ma quando fui confinato al ginnasio, subii un

calo abissale nella quotazione della città intera, e nello stesso

tempo sentii scemare il mio entusiasmo di professore; Ifigenia

cessò di ammirarmi, e non mi

sostenne, anzi mi

umiliò

ulteriormente innamorandosi del maestro di danza. Questo non fu

nobile da parte sua; comunque non mi assolveva dal crimine

perpetrato da me quando, dopo avere tratto piacere dal corpo della

 splendidissima giovane, me ne ero saziato e avevo manifestato

Note

5

Vittoria

6

Cfr. M. Proust, All'ombra delle fanciulle in fiore, trad. it. Einaudi, Torino, 1978,

p.510.


 

 

 

disinteresse per lei, rendendola triste, opaca, oscura. Questo non

era avvenuto tanto per malvagità, quanto per debolezza e stupidità:

la parte buona e presente, l'acropoli dell'anima mia, aveva ceduto

all'assalto dei mostri antichi, ma sempre vivi e feroci dentro di me:

il materialismo e il clericalismo pseudo cristiano, vizi pessimi,

diversi e contrapposti in apparenza, di fatto simili, come lo spreco, l’avidità e

l'avarizia7.

  Mi avevano attaccato e sconfitto nell'autunno del 1979,

quando, tornato da Debrecen, mi trovai solo a combattere contro la

loro forza retrograda e preponderante. Con quella guerra avevo

perduto la bella ragazza già smarrita durante l'estate. Forse avrei

potuto ritrovarla quale

donna

dopo

che avesse fatto altre

esperienze, assai peggiori di quella con me. Come giovane donna

luminosa e innamorata dovevo recuperarla e renderla eterna

attraverso un romanzo che le innalzasse un monumento più

duraturo del bronzo8,

  un tempio pieno di luce con un altare di mito

e poesia, e ve la ponesse al di sopra delle brame sudicie, fuori dal

conteggiare meschino, al riparo dalle offese del tempo, al sicuro

dal colpo finale che risparmia solo i creatori e le creature dell'arte.

 

Il 12 marzo, dopo la scuola, studiai e meditai ancora, senza

ricevere una telefonata dalla ragazza cui erano rivolte le mie

riflessioni.

 

Soffrivo, ma sentivo quel dolore come provvidenziale in quanto

già mi insegnava molto, poi, accumulandosi, aggravandosi e

opprimendomi, spingendomi sempre più in basso sotto il suo peso,

mi avrebbe costretto a scrivere un'opera dalla quale soltanto avrei

potuto ricavare l'immenso compiacimento di me, necessario per

risollevarmi da una depressione tanto schiacciante. Andai a letto

dopo una giornata di massacro mentale che tuttavia non esecravo:

sapevo che quello strazio mi era necessario tutto, anzi, ce ne

Note

7

Cfr. Sallustio, Bellum Catilinae :"Incitabant praeterea corrupti civitatis mores,

quos pessuma ac divorsa inter se mala, luxuria atque avaritia, vexabant ", 5, , lo

(Catilina) aizzavano per giunta i costumi corrotti della città, tormentati da vizi

pessimi e opposti tra loro: il lusso e l'avarizia.

8

Cfr. Orazio, Carmi, III, 30, 1:"Exegi momumentum aere perennius", ho

costruito un momumento più duraturo del bronzo.


 

 

 

voleva dell'altro per arrivare a decidere di fare qualsiasi sacrificio

onde salvarmi la vita.

Pesaro 31 agosto 2024 ore 16, 59 giovanni ghiselli

 

p. s.

Statistiche del blog

Sempre1615181

Oggi176

Ieri293

Questo mese10788

Il mese scorso11384

 

 

Nessun commento:

Posta un commento

Ifigenia LV, LVI, LVII.

Ifigenia LV. Civita di Bagnoregio.   Berlino est. Ifigenia e Cornelia.   Rimasi a Pesaro fino al 29 dicembre leggendo i miei autori, a...