lunedì 26 agosto 2024

Annibale IV parte. La Costituzione e la politica cartaginese.


 

Paolo Rumiz racconta il suo passeggiare sulle rovine di Cartagine con l’archeologo Bartoloni: “Un romano che ama Cartagine: che raffinata vendetta della memoria. “Quel 146 fu un’apocalisse. Fu spazzata via una civiltà sublime, che aveva diffuso in Occidente l’alfabeto, il vetro, la porpora, la navigazione, il commercio. Una rete che non comportava eserciti o invasioni, ma solo mercanti e marinai”. Siamo soli con i millenni. Bartoloni cammina tra i ruderi come l’ultimo sopravvissuto di un olocausto nucleare. “Ah Cartagine! Luoghi ammantati di buio brillarono solo grazie a lei”. Ne parla come di una dea. Mi ricorda che questa è l’unica città mediterranea fondata da una donna, e basterebbe questo per amarla. La donna era Didone, la mitica regina che si buttò nel fuoco per rendere immortale la sua creatura. Ormai si è rotta una diga, il prof passa come un bulldozer sugli schemi romanocentrici dei libri scolastici italioti. “Primo. Quel mondo fu distrutto dagli americani di allora, i Romani. Col loro imperialismo la convivenza era impossibile, e la stirpe dei Barca-la famiglia di Annibale-lo aveva capito in anticipo”. “Secondo. La guerra punica scoppiò perché i mercanti italici sconfinavano nei territori di competenza di Cartagine”

Gli chiedo di Catone il Censore, che disse Delenda Cartago”.

“Ah, l’immacolato Catone! Un filibustiere. Un usuraio. Costringeva i debitori a comprare quote delle navi di cui era azionista di maggioranza, poi con la sua flotta andava a commerciare nei territori di Cartagine, in deroga ai trattati. Voleva solo togliere di mezzo un concorrente[1].

 

La storia della civiltà, dalla distruzione di Cartagine e Gerusalemme fino a quella di Dresda, Hiroshima e del popolo, della terra e degli alberi del Vietnam[2], è un documento tragico di sadismo e distruttività".[3]

 

Lo Stato e la Costituzione cartaginese

Nel VI secolo nacque l’impero cartaginese che dominava il mediterraneo occidentale.

Giustino afferma che Magone “con l’ordinata disciplina militare fondò l’impero cartaginese” (19, 1). Magone fu precursore dei grandi Barcidi.

 I Cartaginesi, alleati con gli Etruschi, sconfissero i Greci Focesi ad Alalia, in Corsica, nel 545. In Sicilia nel VI secolo erano città fenicie Mozio, Panormo e Solunto. In Sardegna Carali e Olbia. In Africa c’erano i Libuofoivnike~ a Utica, Leptis, Adrumeto. Queste erano città alleate di Cartagine: pagavano tributi, mandavano contingenti militari, e possedevano con i Cartaginesi diritti di connubio. Come i socii romani avevano diritti e doveri differenziati: privilegiata era Utica. In Spagna Gades. Tra le isole Melĭta, Cossýra (Pantelleria). In un secondo tempo, come faranno i Veneziani, i Fenici si estesero sulla terraferma, sottomettendo i Libii, prendendo da loro, dice Polibio, metà del raccolto: “parairouvmenoi tw'n karpw'n tou;~ hmivsei~ ” (Polibio, I, 72 ).

I libii erano mezzadri dei Cartaginesi dunque come i contadini italiani fino almeno alla metà degli anni Cinquanta del Novecento.

 

 Se c’erano rivolte, la repressione era esemplarmente crudele. Tra i governatori i Cartaginesi stimavano di più quelli che trattavano aspramente gli indigeni: “timw'nte~ tw'n strathgw'n ouj tou;~ prav/w~ kai; filanqrwvpw~ tw'/ plhvqei crwmevnou~” (Polibio, I, 72, 3).

 

I Greci di Sicilia venivano trattati meglio: non fornivano soldati a Cartagine e pagavano la decima dei prodotti del suolo più dei tributi. Inoltre in Sicilia non c’erano gravi restrizioni per i commercianti stranieri come in Libia, Spagna e Sardegna. I mercanti fenici avevano fama di essere astuti, ingordi e menzogneri e di praticare un esoso monopolio commerciale. I Romani esercitavano un dominio più blando poiché non facevano pagare tributi ai confederati, ma solo le decime. Comunque le città greche soggette “erano le alleate cartaginesi, in condizioni, salvo il monopolio di Cartagine, assai migliori che non le città della lega delio-attica; ma inferiori a quelle dei confederati romani non sottoposti a tributo, assicurati di pari diritti al bottino fatto nelle guerre comuni, non asserviti commercialmente a Roma. La necessità del tributo, di cui Roma aveva potuto fare a meno, scaturiva per Cartagine, come  per Atene, dal bisogno d’avere in permanenza un’armata navale pronta alla difesa comune; e, come in Atene, introdotto per questo, il tributo servì poi a molti altri fini e più vasti. E dall’obbligo di esso scese forse, come nella lega delio-attica, un asservimento progressivo delle città tributarie, parte in fatto soltanto, parte anche di diritto” (Gaetano De Sanctis, p. 42). I Fenici urbanizzarono il Mediterraneo diffondendo la vita cittadina. Come costituzione avevano una monarchia (diarchia) non salda, ma tale che doveva patteggiare con gli affaristi. C’erano due Sufeti, non re (melek) ma giudici annuali, a capo dello Stato. Seneca li mette sul piano dei consoli (De tranquillitate animi, 4, 5 ) e pure Livio 28, 37. Erano comunque i supremi magistrati. I Greci e i latini li chiamano re. C’erano due senati: una gerousiva di 30 membri eletti a vita dal popolo . Aveva potere legislativo ed esecutivo.

 Poi c’era un suvgklhto~ o sunevdrion di 300 membri consulenti che venivano convocato per le decisioni più gravi. Anche questo era vitalizio. Se i due consigli e i sufeti non erano d’accordo, decideva l’appello al popolo che comunque veniva convocato per le deliberazioni più gravi e per queste aveva diritto di referendum. Il popolo eleggeva Sufeti e senatori tra i ricchi che compravano le loro cariche.

In assemblea si poteva parlare. C’erano poi dei controllori dei Sufeti: i Centumviri che li giudicavano quando uscivano dalla carica. Aristotele paragona questa magistratura dei 104 agli Efori spartani, pur trovandola migliore: gli Efori sono scelti ejk tw'n tucwvntwn dalla gente qualunque, mentre i 104 ajristivndhn, secondo il merito (Politica 1272b). I Centumviri erano eletti dal popolo tra i membri del Gran Consiglio.

 Era una via di mezzo tra Atene e Roma: A Roma il popolo non poteva parlare, ad Atene non c’erano consigli vitalizi che garantissero la continuità di governo il quale era in balia delle mutevoli passioni del demo. Secondo Aristotele il popolo non si ribellava grazie all’impero. C’erano popoli soggetti da sfruttare e c’era per tutti qualcosa da prendere. Il popolo si sentiva solidale con l’oligarchia dei mercanti e si fidava nella sua direzione. Mi viene in mente la Serenissima per il poco che ne so, quasi niente invero. Quando le cose andavano male in guerra, l’oligarchia usava come capro espiatorio il generale sfortunato. Qui non ci fu il contrasto tra aristocrazia di sangue e arricchiti che travagliò Roma. “L’oligarchia dei trafficanti cartaginesi, casta sempre aperta, si rinsanguava perennemente di tutti quelli che arricchendo si separavano dal popolo” (p. 52) e i magistrati erano eleggibili ouj movnon ajristivndhn ajlla; kai; ploutivndhn, anche in rapporto alla ricchezza (Aristotele, Politica, 1273a). La plebe era contenta poiché le cariche e i voti venivano comprati. Polibio nota che a Roma le leggi punivano il broglio elettorale, mentre para; Karchdonivoi~ dw'ra fanerw'~ didovnte~ lambavnousi ta;~ ajrcav~ (6, 56, 4). Dunque wjnhtai; ajrcaiv le cariche erano comprabili.

 Polibio dice che la costituzione cartaginese era in un primo tempo ben congegnata in quanto c’erano i basilei'~, il senato, to; gerovntion, e il popolo plh'qo~ (6, 51 ). Una mikth; politeiva dunque, non molto diversa da quella di Roma e di Sparta. Ma al tempo di Annibale Cartagine sfioriva, poiché il popolo vi aveva ottenuto la supremazia. A Roma prevalevano i migliori, a Cartagine i più.

 In gran parte della storiografia classica c'è un pregiudizio antipopolare che ne limita l'obiettività.

I Sufeti nascono quali giudici, non quali comandanti militari come i consoli. Le colonie infatti erano nate non per combattere, ma per trafficare. Importava ripartire equamente i guadagni del commercio e della pirateria. Quando poi la città ebbe bisogno di una forza militare questa fu comandata a volte dai Sufeti, a volte da ufficiali appositamente designati. Aristotele distingue i Sufeti dagli strateghi (Politica 1273 a). Non sembra che Amilcare Barca o Annibale siano mai stati sufeti quando comandavano l’esercito.

 Nepote afferma che Annibale ottenne questa dignità dopo la pace con Roma e dopo che per ventuno anni era stato capo militare (Vita, 7, 4 rex factus est, postquam praetor fuerat, anno secundo et vicesimo: ut enim Romae consules, sic Karthagine quotannis annui bini reges creabantur). I capi militari erano magistrati straordinari, come il dictator a Roma. Infatti Catone qualifica Annibale come dictator fr. 86 P. “Gli è che la guerra pei civili e procaccianti Fenici, era la eccezione, e non giovava quindi provvedervi con una magistratura ordinaria” ( G. De Sanctis, p.48). 

 Vecchia e chiusa aristocrazia del sangue nelle colonie fenicie, come nei paesi coloniali in genere, non poteva sussistere. Vi si formò invece a poco a poco una aristocrazia del censo: di commercianti arricchiti prima, poi, di proprietari terrieri, quando, fondato il dominio sulla terraferma, i maggiorenti coi loro capitali, si trovarono in grado d’iniziarvi largamente coltivazioni redditizie. Ma in questa classe non si negava d’entrare al popolano operoso e intelligente che s’arricchiva trafficando o sfruttando con l’aiuto del Governo i sudditi (p. 48).

 

Alla stabilità della costituzione cartaginese del resto giovò l’esclusione del popolo dall’autorità giudiziaria. Mentre a Roma i comizi potevano giudicare nelle cause capitali attraverso la provocatio (appello); a Cartagine pavsa~ ga;r ajrcai; tivne~ krivnousi ta;~ divka~ (Arist. Politica, 1275b), alcune magistrature giudicano tutte le cause.

L’esercito era composto in gran parte di mercenari; comunque chi non poteva fornirsi di armi proprie era esentato dal servizio militare per il quale c’era avversione, come ad Atene e come più tardi a Roma.

 Polibio dice che i Cartaginesi nel mare sono superiori ai Romani, ma trascurano la fanteria e curano poco la cavalleria (6, 52, 3).

Lo strumento migliore era la cavalleria numidica. Il Senato cartaginese era diffidente verso i comandanti militari: temeva che si impadronissero dello Stato. Nemmeno Annibale ne ebbe tutto l’appoggio.

Pesaro 26 agosto 2024 ore 11, 38 giovanni ghiselli

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[1]“ La Repubblica”, 31  luglio 2007, p. 27.

[2] Aggiornerei l'elenco con New York e l'Iraq.

[3] E, Fromm. Anatomia della distruttività umana, p. 212.

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