domenica 25 agosto 2024

Viaggio in Grecia 1981 XI Il bagno di Ifigenia nell’acqua monda. La doppia salita di Delfi.

 

La mattina del 21 agosto, andavamo  verso Egion, uno avanti l’altra dietro come i frati minori vanno per via.

Ci arrivammo presto e senza eccessiva fatica perché un vento propizio ci spingeva alla meta soffiando con forza sopra gli zaini che coprivano le nostre spalle. Al porto di Egion salimmo con le biciclette sul battello che attraversa il golfo di Corinto e approda a San Nicolas, sul lato nord. Ci mettemmo subito a pedalare di buona lena in direzione di Itea dove il Parnaso si bagna nell’acqua del golfo. Il vento era ancora soffiato da dèi propizi, sicché, nonostante i saliscendi continui anche ripidi, procedevamo abbastanza spediti.

Ma non voglio fare la cronaca perché nel raccontarla mi accorgo che non è interessante nemmeno per me. Quando scrivo, o parlo, capisco che se annoio me stesso, a maggior ragione tedio chi mi legge o mi ascolta. Annoiare è il crimine diffusissimo dei troppi imbecilli il cui parlare non accresce né emoziona chi ascolta. Il rispetto e la simpatia che provo per i miei simili mi induce a mettermi nei loro panni e non mi consente di dare noia invadendoli con  parole insighificante dette magari con atteggiamento elocutorio. L’ho sentito dire e fare ai cretini: un esempio negativo per me.

Gli aspetti degni di nota di quella mattina dunque furono il vento benevolo che ci spingeva, letteralmente, al luogo delle nostre preghiere e dei voti, poi il sentimento di frustrazione che mi invase quando la bella compagna di viaggio e dei mille tripudi trascorsi insieme, mentre si cambiava per fare il bagno e si  riparava dietro il mio corpo dagli sguardi degli uomini che passavano in automobile sulla strada vicina, disse: “Voltati, non voglio farmi vedere nuda nemmeno da te!”. Poi si mise a nuotare nell’acqua invisibile tanto era monda: ogni sasso sommerso si poteva contare, mentre la carne di Ifigenia, sciolta la polvere che la opacizzava, mandava bagliori di fiamma che incendiava il mio desiderio angosciato da rimpianti e rimorsi.

 

Nel pomeriggio feci due volte la scalata ciclistica da Itea a Delfi: la prima con lo zaino mio sulle spalle, mentre la ragazza stanca si era fermata al porto e mi aspettava distesa su una panchina del molo.

 

Giunsi anelo sul sacro ombelico del mondo. Mi ero impegnato con grande dispendio di forze per arrivarci il più presto possibile: entro il tramonto volevo, quindi dovevo, avere fissato una stanza sulla strada di Apollo, averci depositato lo zaino, essere tornato a Itea, essermi sobbarcato lo zaino di Ifigenia, avere ripetuto la salita con lei ed essere di nuovo lassù.

Tutto questo aveva un significato morale per me.

Arrivai a Delfi da solo verso le cinque, trovai subito la camera nella via di Apollo, vi lasciai lo zaino, mi bagnai la testa sotto un rubinetto e mi precipitai giù nella discesa fendendo l’aria talmente calda che i capelli grondanti, dopo un paio di chilometri, si erano asciugati del tutto.

Ifigenia era ancora stesa su quella panchina. Dormiva, magari sognava, chissà che cosa. La svegliai, le presi lo zaino che aveva usato come guanciale, poi iniziammo a scalare la salita non troppo erta, ma piuttosto lunga: una decina di chilometri circa, tipo quella del passo Pordoi fate conto, solo un poco più lieve come pendenza, ma appesantita da un’aria ancora assai calda nonostante il già deciso declinare del sole. Ifigenia che non ha mai amato la calura si lamentava. “Quanto  manca?”, domandava ogni tanto come fanno molti bambini portati in viaggio.

 Quando ebbe finito l’acqua della borraccia le passai la mia come  Coppi a Bartali o Bartali a Coppi che fosse quella volta famosa.

Ifigenia comunque era brava: sbuffava ma non voleva mettere piede a terra prima di essere giunta alla meta che era importante anche per lei: si vedeva e ne ero contento. Pedalavo al suo fianco sinistro, le davo consigli sui rapporti da usare via via, le facevo coraggio ma non la spingevo materialmente. Voleva farcela da sola. Ce la metteva tutta. Accettava i suggerimenti e li eseguiva con precisione poiché si sentiva spronata . Insomma c’era ancora qualche cosa di buono tra noi. In generale la bicicletta rende le persone meno cattive.  Ha un significato morale oltre che salutare.

Raggiungemmo la meta al tramonto del sole che si annidava tra i monti un poco prima delle otto di sera, le sette con l’ora reale. Sembrava significarci che la stagione meno dolente stava finendo e che non dovevamo affrontare le prossime brume autunnali con la nebbia fredda dell’odio nel cuore. Bene avevo fatto ad aiutare Ifigenia a giungere lassù prima che la santa faccia di luce fosse già sparita del tutto tra i monti.

 

Pesaro  25  agosto  2024 ore 16, 58 

giovanni ghiselli

p. s.

Statistiche del blog

All time1613225

Today198

Yesterday381

This month8832

Last month11384

 

 

 

Nessun commento:

Posta un commento

Ifigenia LV, LVI, LVII.

Ifigenia LV. Civita di Bagnoregio.   Berlino est. Ifigenia e Cornelia.   Rimasi a Pesaro fino al 29 dicembre leggendo i miei autori, a...