mercoledì 21 agosto 2024

Viaggio in Grecia aprile 1981. L’ultima tappa


 

Alle due partiamo da Atene. Le sponde del canale corinzio sono gialle di fiori. Mi attirano molto queste creature figlie del sole ma quando scendiamo per una sosta le lascio vivere e crescere dove si trovano senza coglierne nemmeno una.

Forse non avrei dovuto farlo neanche con un paio delle mie donne impreparate e inadatte a me. Ricordo una bell’avvertimento di Tolstoj: “Se tu cogli la mela quando è verde, rovini il frutto, sciupi l’albero e ti si allegano i denti. Quando sarà matura, ti verrà in mano da sola”[1].

Del resto se non cogli il frutto o l’amante lo farà qualcun altro.

Ifigenia  non era matura a 25 anni e non lo è diventata nei due anni passati con me. Non ho saputo educarla. Non era facile. Le mie fatiche sono state spese umanamente? Forse no, ma più di così non potevo. Pensieri vani di un cervello stanco.

 

Ripartiamo. Nel tratto Corinto Patrasso in direzione ovest c’è il vento a favore. Come quando, nel 1978, lo percorrevo in bicicletta gareggiando con la prua di una nave che filava sul Sinus Corinthiacus come io mi affrettai sul seno di Ifigenia quando si spogliò la prima volta davanti ai miei occhi umidi di desiderio e dalla gioia.

Allora vinsi quella gara con la nave nel golfo di Corinto.

 

Nell’estate del 1981 sarei tornato sullo stesso percorso su Ifigenia. Ma il vento sarebbe stato contrario e la fatica tanta. Era un brutto segno del cielo: ci avvisava che non si doveva più procedere insieme. Non eravamo più congeniali l’uno all’altra. Quando sentiamo e soffriamo la fatica di fare una cosa, significa che quanto facciamo non ci piace, che non siamo dotati per quella attività. Se insistiamo subentrano le malattie.

 

Arriviamo a Patrasso. Alcune persone del gruppo ripetono luoghi comuni e mi danno fastidio. Non posso comportarmi con naturalezza quando sento frasi che paiono annunci pubblicitari. Mi libero e cammino da solo per il centro osservando la gente. Varietà delle facce, dei tipi umani. Sorrisi ambigui di prosseneti e pure espressioni di occhi che indagano rivolte all’esterno o anche all’interno.

Ogni volta che una donna mi guarda sono felice. “Salve” –penso- benedetta creatura, tu non immagini quanto bene mi fai!”- Non mi sono mai rifatto completamente dell’oppressione subita da quanti volevano sottomettermi e colonizzarmi.

Anche perché ogni tanto qualcuno è tornato a provarci. Nel lavoro e nell’amore. A trattarmi come il povero negro privo di ogni difesa. Allora dovevo difendermi con tutte le mie forze.

 

Dopo la passeggiata attenta e pensosa torno nel porto. Il cielo sopra Patrasso si è annuvolato e oscurato. I ragazzi giocano a palla.

Penso alla madre e alle zie del re di Tebe nemico di Dioniso, punito dal dio:

“Una portava via un braccio,

un’altra un piede con lo stivaletto calzato: erano  denudate

le costole per le lacerazioni: ognuna coperta di sangue                                

nelle mani giocava a palla con la carne di Penteo

 (Euripide, Baccanti, 1133-1136).

 

Ci hanno provato con la mia testa  ma non sono riusciti a staccarla. Nemmeno a Ifigenia l’ho permesso sebbene mi abbia dato per un anno il piacere maggiore che per il mar dell’essere si trova. Poi però tanta noia e parecchi dolori.

Ho fame ma non mangio: prendere peso è perdere potenza:  è u{bri~.

Ci imbarchiamo verso le 22.  Si è fatta l’ora di mangiare un’insalata greca senza pane e senza sciupare la linea. Non ho fatto abbastanza moto oggi per potermi permettere altro. Una birra piccola magari sì.

 

La mattina seguente mi sveglio la nave è davanti a un’isola. Corfù o Leucade. Non vi andrò mai. Nemmeno trascinato da otto balene. La vera Grecia non è quella delle isole affollate di turisti. Da Mykonos scappai a gambe levate. Anche da Santorini che pure è bella. Ma l’ambiente orribilmente vacanziero di tali luoghi è come quello di Riccione.   

La Grecia per me significa il Peloponneso con Olimpia, il Taigeto, Micene Epidauro oppure Dodona, Delfi, il Parnaso, l’Olimpo, o l’acropoli di Atene, o Efeso e Troia,  e perfino il Museo di Pergamo a Berlino o il British Museum con i marmi del Partenone.

Il mare di Grecia è bello ma va bene anche quello di Pesaro. Nella Grecia cerco altro: pedalando e pensando ripercorro tutta la mia vita di studio e di amore per l’Ellade antica.

Non cè il sole, però la mia faccia ne conserva le vestigia che non si sono dileguate come le mie amanti una dopo l’altra. Meglio per me: erano troppo diverse dal sole benefico e fedele.

La nave costeggia una terra desolata. Fiorita da poco ma orbata della luce solare, sembra una ragazza in fiore priva di un uomo che l’ami. Una zitellina infelice.

Il cielo ferrigno mortifica ogni cosa bella. Quando vado al mare e vedo persone che cercano l’ombra, che pagano per un pezzetto di sabbia aduggiato dall’ombrellone sento l’impulso di biasimare questi profani che rifiutano la grazia di Dio, ma faccio finta di niente.

A me basta il capanno per posarvi le scarpe e cambiarmi il costume bagnato, poi corro o nuoto o passeggio comunque mi beo nel sole. L’ombra mi avvolgerà da morto. Vorrei che la mia tomba però fosse esposta al sole dall’alba al tramonto.

 

Senza il sole perfino i volti delle ragazze e dei ragazzi assumono un aspetto funereo. Il sole porta significazione di Dio e imprime alcunché di divino nei corpi umani che copre di grazia.

I riccioli di una ragazza vivi e rugiadosi come l’erba del colle di Crono a Olimpia quando sono illuminati, qui sulla nave sovrastata da un povero cielo orbato dell’occhio del giorno e tormentata dai cupi ululati del vento che fa schizzare l’acqua agitata sul ponte, sono diventati simili a cordicelle intrecciate e incrostate di sale.

Arriviamo a Brindisi. La Puglia ci accoglie con una minaccia di temporale. Nuvole cupe e lampi nel cielo. Ma la terra rosseggia di papaveri freschi. Questo viaggio in Grecia e ritorno è finito. Uno dei tanti nella mia vita mortale. Lo metterò al suo posto durante il montaggio-

Pesaro 21 agosto 2024 ore 10, 55 giovanni ghiselli. 

p. s

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[1] Guerra e pace, trad. it. Garzanti, 1974, p. 1541

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