lunedì 5 agosto 2024

La morte di Dario III, l’eroe del dolore ucciso dai suoi dignitari indegni, felloni.

 Artabazo si dichiara fedele mentre Besso e Nabarzane complottano contro il grande re. Nabarzane gli propone di nominare reggente pro tempore Besso, e Dario si infuria apostrofandolo con: “ pessimum mancipium” (5, 9, 9). Il re stava per uccidere Nabarzane, ma Besso lo portò via. I Persiani pensavano “nefas esse desĕri regem” (Curzio Rufo, 5, 9, 16). Infatti in illis gentibus regum eximia maiestas est (9, 10, 1). Nabarzane e i complici si finsero pentiti e piansero lacrime finte, adeo humanis ingeniis parata simulatio est! (5, 10, 13). Dario ne rimase commosso e pianse lacrime vere: era di natura semplice e mite (14).

 Patrone,  capo dei mercenari greci, svela la congiura, in greco e  offre protezione al re: “nam haud rudis Graecae linguae Darēus erat” (5, 11, 4). Invece lo spegevole Besso erat Graeci sermonis ignarus (5, 11, 7) ma capì quello che accadeva. Il destino di Dario era oramai segnato.

 

 

Il fatum come series causarum. Cicerone, Seneca e Tolstoj.

Curzio è convinto che gli humana negotia non vadano a caso, ma che ciascuno segua il suo corso secondo un decreto immutabile (suum quemque ordinem immutabili lege percurrere, 5, 11, 10)  serie nexuque causarum latentium et multo ante destinatarum, secondo una serie e una catena di cause arcane e predestinate. Lo penso anche io.

 

 E’ l’ eiJmarmevnh degli Stoici. L'ordo e la series (causarum) che Cicerone identifica con il Fatum: Fatum autem id appello, quod Graeci eiJmarmevnhn, id est ordinem seriemque causarum, cum causa causae nexa rem ex se gignat" (De divinatione, I, 55, 125), chiamo Fato quello che i Greci eiJmarmevnh, cioè la serie ordinata della cause, poiché una causa connessa a un'altra produce un effetto conseguente.

 

Lo stesso Seneca nel De beneficiis afferma che Giove può essere chiamato anche fatum "cum fatum nihil aliud sit quam series implexa causarum" (IV, 7), dal momento che il Fato non è altro che la serie concatenata delle cause.

 

Tolstoj in Guerra e pace  nota che "Miliardi di cause hanno agito in concomitanza per dar luogo a ciò che accadde. Di conseguenza, non c’è una causa isolata ed esclusiva dell'evento, ma l'evento dovette verificarsi".

La mela cade per "la coincidenza delle condizioni per le quali si compie ogni evento vitale, organico, elementare. Il botanico che affermasse come la caduta della mela sia dovuta al dilatarsi del tessuto cellulare e cose del genere, avrebbe ragione quanto il bambino che, stando lì sotto, dicesse che la mela è caduta perché lui aveva voglia di mangiarla e aveva detto una preghiera propizia per l'evento. Così sarebbe altrettanto nel vero e nel falso chi dicesse che Napoleone mosse contro Mosca perché tale era la sua volontà...Ogni azione compiuta da costoro, e che ad essi sembra un atto di libero arbitrio, in senso storico è tutt'altro che arbitraria, ma viene a trovarsi in connessione con tutto il corso della storia ed è predestinata ab aeterno"( Guerra e pace, p. 912).

Allora Kutuzov "sapeva che non bisogna cogliere la mela finché è verde. Cadrà da sé quando sarà matura, ma se la cogli verde, rovinerai la mela e l'albero e ti si allegheranno i denti"(p.1541). Analogo effetto negativo quando cogli prematuramente un amore e tutto il resto. O se gareggi non preparato pure se hai del talento.

 

La morte di Dario. 330. Il farmakov~.

 Dario non volle essere salvato: era destinatus sorti suae (5, 12, 8), fissato al suo destino. Rex…captivus servorum suorum in sordidum vehiculum imponitur (5, 12, 16) . E’ la sconsacrazione del re capovolto a farmakov".

 Venne preso dai traditori e legato con ceppi d’oro “nova ludibria subinde excogitante fortunā ” 5, 12, 20 la fortuna trovava sempre nuove beffe. Dario si appella agli dèi vendicatori (deos ultores, 5, 13, 16) e si rifiuta di seguire i parricidi. I traditori ammazzarono Dario (luglio 330) subissandolo di giavellotti  mentre il disgraziato re persiano faceva appello alla fides di Alessandro (5, 13, 16) che ancora una volta si identificherà con gli dei ultores.

 

La Nemesi della storia, così giusta verso tutto quanto è grande, sembra perseguitare l’impotenza con un odio spietato, soprattutto se la incontra nelle grandi epoche, sotto gli aspetti della bontà, della rassegnazione e delle virtù domestiche. Tale era la situazione di Dario di fronte al conquistatore macedone. Tutte le storie di Alessandro sottolineano in modo più o meno intenzionale il contrasto esistente tra il Macedone e Dario, tra l’eroe dell’azione e l’eroe del dolore[1].

 

Plutarco racconta che alcuni soldati di Al. trovarono Dario moribondo. Polistrato gli diede da bere e Dario disse che quella era l’estrema delle sue disgrazie: eu\ paqei'n ajmeivyasqai mh; dunavmenon (Vita, 43, 4), ricevere del bene non potendo contraccambiare.

 Al. sarebbe stato ricompensato  dagli dèi per la sua benevolenza verso la madre, la moglie e i figli del re dei Persiani.

Al fece squartare Besso diesfendovnhse (43, 6), lo lanciò come con una fionda formata da due alberi. Il cadavere di Dario lo mandò, regalmente adornato, alla madre. 

 

 

 Arriano. Al. avanzò verso l’Ircania. Nabarzane e Frataferne andarono a consegnarsi a lui.

Al. procedette verso Zadracarta, capitale dell’Ircania (a sud del Caspio, zona di Teheran).  Tenne in onore Artabazo e i figli per il loro rango kai; th`~ ej~ Darei`on pivstew~ e{neka (3, 23, 8) e la loro fedeltà a Dario.

 Ai mercenari greci ingiunse di arrendersi senza condizioni. Giustiziò il fellone Barsaente satrapo dell’Aracosia th`~ ej~ Darei`on ajdikiva~ e[neka (3, 25, 8).

 

Pesaro 5 agosto 2024 ore 9, 21 giovanni ghiselli

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[1] J. G. Droysen, op. cit., p. 187.

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