venerdì 2 agosto 2024

La sconfitta di Dario nella battaglia decisiva di Gaugamela.


 

Discorso di Dario

L’idea dell’avvicendarsi ciclico.

 

Anche Dario parlò ai suoi, alto sul carro (sicut curru eminebat, 4, 14, 9) e roteando occhi e braccia a destra e a sinistra, sui reparti circostanti “dextrā  levāque ad circumstantia agmina oculos manusque circumfĕrens”, un agitarsi da perdente, poco regale per giunta.

Siamo giunti a un punto da dove non c’è possibilità di fuga dice Dario (4, 14, 11). Anche per loro non c’è via di fuga. Al. è solo unum animal (4, 14, 18) un essere mortale temerarium et vaecors temerario e pazzo, adhuc nostro pavore quam suā virtute felicior. Nulla può essere duraturo se non poggia sulla ragione: “ Nihil autem potest esse diuturnum cui non subest ratio” (4, 14, 19). La felicitas non segue fino all’ultimo alla temerarietà.  

I loro successi sono finiti, continua Dario: “ breves et mutabiles vices rerum sunt, et fortuna numquam simpliciter indulget” (4, 14, 19), le vicende dei fatti sono mutevoli e la fortuna non favorisce mai a senso unico.

 

 E’ l’idea dell’avvicendamento ciclico riferita alla fortuna. Tacito la applica al cambiamento dei costumi:" :"Nisi forte rebus cunctis inest quidam velut orbis, ut quem ad modum temporum vices ita morum vertantur "(Annales , III, 55), a meno che per caso in tutte le cose ci sia una specie di ciclo, in modo che, come le stagioni, così si volgano le vicende alterne dei costumi. 

 

Dopo 230 anni (550-331), continua Dario, gli dèi, con uno scossone,vogliono ammonirci  fragilitatis humanae, cuius nimis in prosperis rebus oblivio est.  (14, 4, 20), della quale nei successi è facile dimenticarsi.

 Un tempo invadevamo la Grecia, ora siamo invasi: “iactamur invĭcem varietate fortunae” (4, 14, 21), siamo sballottati a vicenda dalla varietà della fortuna.

 Il topos risale ad Archiloco.

Ora la necessità ci costringe a dare il meglio e la morte timidissimum quemque consequitur, (4, 14, 25) colpisce i più vili.

 

Giustino: Al. cadde addormentato prima della battaglia per la grande tranquillità derivata dal vedere l’esercito persiano indiviso: così lo avrebbe sconfitto tutto insieme. I Macedoni guardavano con meraviglia la grande quantità degli avversari, la loro prestanza e la bellezza delle armi; i Persiani si chiedevano come lo scarso numero dei nemici avesse vinto le battaglie precedenti. Al. disse ai suoi che Dario aveva un maggior numero di uomini, egli di eroi (Storie Filippiche, XI, 13, 10). In quella schiera splendente d’oro e d’argento c’era più preda che pericolo poiché la vittoria  non si conquista con la bellezza degli ornamenti ma con il valore.

 

 Battaglia di Arsela-o Gaugamela-  Curzio Rufo,  4, 15. I carri falcati crearono scompiglio tra i Macedoni. I Persiani arrivarono ai bagagli e ai prigionieri. Ma Sisisgambi, la madre di Dario, non esultò: “credo, praecoci gaudio verĭta irritare fortunam” (4, 15, 11), timorosa credo di provocare la sorte con un gaudio precoce Poi le sorti della battaglia cambiarono. .

Curru Dareus, Alexander equo vehebatur (4, 15, 23). Si ripete la scena di Isso.

Plutarco racconta che Al. vide un uomo grande e bello che procedeva su un alto cocchio (kalo;n a[ndra kai; mevgan ejf j a{rmato~ uJyhlou' bebw'ta) protetto da cavalieri numerosi e splendidi (Vita, 33, 5).

 Entrambi erano protetti da uomini scelti, incuranti questi dell’incolumità personale: “Utrumque delecti tuebantur,  sui immemores” (24). Si vide un’aquila volare sul capo di Al: presagio di vittoria. Si librava più che volare: Aristandro lo interpretò come haud dubium victoriae auspicium .

 

Gli auspici.

(27). Cfr. Edipo re . Edipo è colpevole poiché ha evitato di consultare oracoli e vati nella presunzione pericolosa di capire tutto da solo, senza apprendere nulla dal volo degli uccelli: “. ajll j egw; molwvn ,-oJ mhde;n eijdw;" Oijdivpou", e[pausa nin,-gnwvmh/ kurhvsa" oujd  j ajp j oijwnw'n maqwvn”, ma giunto io,/ “Edipo, che non sapevo nulla, la feci cessare/ azzeccandoci con l'intelligenza e senza avere imparato nulla dagli uccelli ” (vv. 396-398).

 

Un altro bestemmiatore di oracoli e segni celesti è Ida delle Argonautiche  di Apollonio Rodio. Nel III libro questo spregiatore degli dèi irride  quanti non osservano più la grande forza di Ares ma, al pari del profeta Mopso, le colombe e gli sparvieri:" oujkevt  j  jEnualivoio mevga sqevno", ej" de; peleiva" /kai; kivrkou" leuvssonte""(560-561).  Del resto il pio profeta Mopso verrà ucciso dal morso di un serpente tremendo ma pigro (deino;~ o[fi~ nwqhv~, Argonautiche, 4, 1506), che non voleva fare del male a chi non ne faceva.

 

 

L’aquila dunque diede ai Macedoni alacritas et fiducia (Curzio Rufo 4, 14, 28) entusiasmo e sicurezza. Poi fu colpito l’auriga di Dario e il re acinăce –acinaces-is-stricto con la scimitarra in pugno era incerto an fugae dedĕcus honestā morte vitaret (30). Emĭnens curru…rubescebat, si vergognava di abbandonare l’esercito che ancora resisteva.

 Ma era finita: “iamque non pugna sed caedes erat[1] (32), era una carneficina.  Darēus quoque currum suum in fugam vertit (4, 15, 32) .

 La fortuna con le sue beffe, ludibria fortunae,  accumulò in un solo giorno si può dire gli avvenimenti di un secolo: propemŏdum saeculi res in unum illum diem fortuna cumulavit, 4, 16, 10. I feriti bevevano acqua e fango che faceva gonfiare le viscere e paralizzava le membra. Quindi venivano colpiti dai nemici (4, 16, 13).

 

 Tucidide descrive la catastrofe dell'esercito ateniese in Sicilia con un’ iperbole del genere che l'Anonimo del Sublime  non disapprova: lo storiografo racconta che i Siracusani, scesi nel fiume Assinaro, sgozzavano a tutto spiano gli Ateniesi i quali, nella frenesia di bere ingozzavano, contendendosela, acqua insanguinata mista fango ("to; u{dwr...tw'/ phlw'/ hJ/matwmevnon kai; perimavchton", 7, 84), e il critico del I secolo d. C. ammette l'esagerazione poiché, dice, la tensione del pathos e la circostanza ("hJ tou' pavqou" uJperoch; kai; perivstasi"", 38) la rendono credibile.

 

Al. fruì ancora una volta del favore della fortuna: “Neque defuit ei perpetua in dubiis rebus felicitas” (4, 16, 22).

Morirono 40000 Persiani e 300 Macedoni (26). A. del resto vinse più per la sua virtus che per fortuna (4, 16, 27). Vinse con l’animus, non per il vantaggio del terreno. Schierò l’esercito peritissime, con rara abilità, ipse promptissime pugnavit, senza esitazione, magno consilio,  (4, 16, 28) con grande saggezza, non corse a difendere i bagagli perché la battaglia si decideva sul fronte,  dubioque adhuc pugnae eventu pro victore se gessit (4, 16, 28), quando l’esito era ancora incerto si comportò da vincitore, come davanti agli oracoli. Sentirsi vincente aiuta ad esserlo davvero.

  Poi inseguì Dario prudentius quam avidius (29) con più prudenza che furore, non abbandonando i suoi. Molti capi tra cui Efestione e Perdicca furono feriti: “fatebimur et regem talibus ministris, et illos tanto rege fuisse dignissimos” (4, 16, 33).  

Plutarco narra che, dopo la vittoria, Al. proclamò la libertà dalle tirannidi dei Greci d’Asia e mandò parte del bottino ai Crotoniati, per gratitudine verso l’atleta Faullo che, unico tra gli Italici, aveva partecipato alla battaglia e al pericolo di Salamina con una nave. Tanto eujmenhv~ h\n pro;~ a{pasan ajrethvn (Vita, 34, 4).

Pesaro 2 agosto 2024 ore 18, 11 giovanni ghiselli

 



[1] Cfr. Livio Caedes inde magis quam pugna fuit (23, 40, 11, a proposito di una sconfitta dei Cartaginesi in Sardegna dopo Canne.

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