venerdì 3 aprile 2020

la storia di Kaisa. Capitolo 11. Kaisa e io ci spogliammo del divenire per cogliere l’essere

Adriana Cavarero, Platone

Kaisa e io ci spogliammo del divenire per cogliere l’essere
Quel giorno stesso facemmo il massimo di quanto possono fare due poveri corpi mortali destinati alla putrefazione. Entrai in medias res dicendole che dovevamo cogliere l’essere spogliandoci del divenire. Riconobbe la lezione platonica(1) e mi diede dell’arricchito intellettuale.
 “Solo tu mi rendi ricco di amore, però”, ribattei.
 Ne ridemmo, ci togliemmo i vestiti leggeri, e meravigliosamente ci conoscemmo.

Durante tutto il mese seguente feci l’amore, di gran gusto, con Kaisa. Eppure non avevo dimenticato Helena, la grande donna dell’anno precedente. Tendevo anche a una suvgkrisi~, a un giudizio comparativo, a un confronto, come si fa tra le due amanti più significative della vita.
Helena non tradiva il suo uomo, sebbene incinta, perché quando venne a letto con me non aveva ancora deciso se tornare da lui e tenere il bambino; Kaisa invece, con quelle luci turchine sulla pelle di giglio in mezzo alle negre chiome, occhi simili a laghi montani, specchi del cielo sereno, cinti da marmi liscissimi, ombreggiati da densi boschi di abeti scuri, ebbene questa seconda donna importante della mia vita tradiva lo sposo con metodo, sia pure non senza qualche esplosione di follia amorosa, come vedremo. Tuttavia in generale era molto attenta a simulare e soprattutto a dissimulare: prima di entrare in camera mia aspettava che intorno ci fosse il deserto, e io, pur con l’avambraccio destro ingessato, nella sua stanza potevo entrare solo con goffe e ridicole acrobazie, dalla finestra, per fortuna non alta, quando la notte era fonda, le luci dell’Università estiva erano tutte spente, e, a parte i nostri bisbigli e i sospiri dal bosco, o il canto di Danilo che rincasava brillo, tutto il resto taceva.

La storia di Kaisa potrebbe chiudersi qui.
Potrei passare, lettore, all’ultima narrazione della trilogia finlandese, quella di Päivi, la ragazza dai lunghi capelli rosso castani, dai grandi occhiali scuri, dall’aria pensosa, incontrata sotto l’alto tetto del megaron ombroso dell’Università di Debrecen nel luglio del 1974. 
Ma voglio trattenermi e trattenerti ancora un poco nell’estate del 1972. Mi piace ricordare un episodio significativo avvenuto quando il nostro connubio mensile aveva già un paio di settimane alle spalle. Spero di non annoiarti; so bene che annoiare è il crimine degli imbecilli.

giovanni ghiselli


(1) Il filosofo deve cogliere l’essere (th'ς oujsivaς aJptevon) spogliandosi del divenire (genevsewς). Platone, Repubblica, 525 b).

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