Notturno finlandese. Il Kalevala
Quando, verso le sette di sera, atterrai nell’aeroporto di Helsinki, Päivi,
avvisata da un telegramma, mi stava aspettando avvolta in una pelliccia: lassù
il 20 settembre faceva freddo come da noi per Natale.
I capelli non le erano caduti sotto il taglio del ferro, e le ondeggiavano
lungo il dorso intabarrato.
La scorsi al di là di una parete vitrea: aveva un’aria triste e un poco
sofferente, ma, a prima vista, mi parve più bella e più fine di quando ci
frequentavamo nel caldo della puszta ungherese: segno che il clima artico, aspro
e tagliente, le si addiceva più dell’afa polverosa esalata dalla grande pianura
magiara durante l’estate troppo calda, quasi apocalittica per la sua natura di
nordica chiara, tenue, e, nei momenti peggiori, quasi scolorita. A parte i
capelli.
Ci abbracciammo e baciammo, ma subito dopo Päivi disse che le dispiaceva se
non avevo ancora ricevuto la sua ultima lettera: lei, lunedì 23, doveva partire
la mattina presto da Yväskylä per andare a ricoverarsi nell’ospedale di Oulu,
dove Jussi le aveva prenotato un posto e tutte le visite necessarie.
Non disse a che cosa, poiché non ce n’era bisogno.
Per stare insieme dunque avevamo solo due giorni e tre notti.
Ma nella disposizione in cui ci mettemmo dopo tale accoglienza, due giorni
interi erano pure troppi. Päivi quasi sicuramente andava ad abortire la nostra
creatura: l’aveva deciso da sola, o con il suo “ex boy friend”, come chiamava
Jussi, e con me taceva su questo argomento, preliminare ad ogni altra
conversazione su ogni altro tema.
Perciò facemmo il viaggio da Helsinki a Yväskylä, in una bianca
Volkswagen guidata da lei, senza dire niente di decisivo né di significativo.
Osservavo il paesaggio.
Lungo la strada ci sono boschi e laghi ; nel cielo c’era una luna grande,
interamente tonda, tanto che consentiva di vedere la vegetazione, la terra e le
acque fredde; anzi, quando la strada saliva su una collina, apparivano ampie
zone rischiarate dalla sua luce bianchissima. Io aguzzavo entrambi gli occhi
per trarre conforto dalla visione della terra promessa che aveva nutrito le donne
più amate da me in trent’anni di vita vicini già al loro inquieto compimento[1]. Trenta anni di vita e tre mesi d’amore.
Con molte macerie.
Ricordavo parti del Kalevala[2] letto in aereo, e dirigevo lo
sguardo sui seni dei laghi per vedere se nel biancheggiare dell’acqua si
bagnavano le anatre azzurre o i cigni selvatici; scrutavo le rive ricurve,
orlate di piante, per riconoscere le folaghe che dovevano tuffarsi a gara nel
cerchio della luna riflessa sollevando spruzzi di perle; adocchiavo i prati
lungo la strada per verificare se gli steli dei fiori, piegandosi, accostavano
le colonne anelanti a baciarsi. Niente di questo.
Pensai all’erba verdissima del sottobosco di Debrecen che rimaneva
schiacciata dalla schiena delle mie finniche distese a fare l’amore e l’abito
letterario evocò questo pentametro “De nostro curvum pondere gramen
erat” [3] che Ovidio fa scrivere all’infelice
Saffo in una lettera per Faone dove la donna abbandonata rimpiange il tempo felice
dell’amore non più contraccambiato dal giovane.
Ancora non sapevo che sarei tornato a Debrecen più di una volta per bagnare
di lacrime quell’erba dove vidi il principio delle mie gioie.
Nella luce lunare della fredda notte artica tutto era fermo e poco
espressivo, come il viso di Päivi nei momenti peggiori, quando quella strana
creatura si chiudeva in se stessa. Non aveva niente di importante da dirmi, e
nemmeno io volevo parlare.
Non avevamo in comune più nulla: né progetti, né attese, né speranze.
Restavano solo i ricordi, e probabilmente nemmeno gli stessi per l’uno e
per l’altra.
Arrivati, ci sistemammo nel monolocale del collegio dove lei abitava e
facemmo l’amore per l’ultima volta, senza gioia, nonostante avessi provato a
dirle, come Antonio a Cleopatra, vicini a uccidersi entrambi, “let’s have
one other gaudy night”[4].
giovanni ghiselli
[1] Il 14 novembre.
[2] E’ l’epopea
nazionale finlandese composta da Elias Lönrot nell’Ottocento sulla base di
canti popolari raccolti viaggiando nella Finlandia orientale. Significa “Terra
di Kaleva”, il progenitore della stirpe finnica.
[3] Ovidio, Heroides,
XV, 148, l’erba era incurvata dal nostro peso
[4] Shakespeare, Antonio
e Cleopatra, III, 13, 183.
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