giovedì 23 aprile 2020

Summum ius summa iniuria. Anatema contro i frullatori di germi

Nell’Elettra di Sofocle, Crisotemi la sorella mite della protagonista eponima, sostiene che anche la giustizia a volte porta danno: all’ e[stin e[nqa chj divkh blavbhn fevrei (Sofocle, Elettra, 1042).
Cicerone ripropone questa ide con la notissima sentenza summum ius summa iniuria (De officiis I, 10, 33.).
A proposito delle ordinanze relative al virus,  io concordo con chi sostiene che riaprire tutto assai presto sarebbe inopportuno e deleterio, però  credo che le corse a piedi fatte da solo e lontano da tutti, e pure i giri ciclistici in campagna anche fino a una ventina di chilometri da casa, purché sempre tacito solo senza compagnia, e alla dovuta distanza da chiunque altro, sarebbero un aiuto per la salute tanto fisica quanto mentale. Qui a Bologna la sera tra le otto e le nove, quando il sole scivola dietro i condomìni, vado a correre su un’ellisse di due chilometri e mezzo intorno a casa mia, almeno tre volte. La distanza massima dalla mia dimora è sui 500 metri. Non sono mai stato fermato, secondo una ragionevole applicazione dell’ordinanza. In bicicletta mi arrangio andando a comprare il giornale poi facendo il giro dei supermercati per vedere dove c’è meno coda. Quando l’ho individuato faccio la spesa, poi torno indietro, magari non per la via più breve di tutte. Una volta mi hanno fermato i carabinieri che hanno accolto ragionevolmente la mia spiegazione.
Li ho ringraziati con simpatia. I giorni scorsi invece ho letto di persone multate summo cum iure sed non sine iniuria.
Nel quotidiano “la Repubblica” di oggi c’è un articolo di Paolo Rumiz intitolato I posti di blocco che uccidono la speranza (p. 32.
Riporta una “ denuncia” pervenutagli telefonicamente da Susanna Tamaro, “dalla sua tana umbra”. Sentiamola: “Chi è rimasto qui, si è indebitato perché la vita non si interrompesse. Oggi vedo i piccoli artigiani e negozianti alla canna del gas. Siamo quattro gatti distanziatissimi, ma ci multano lo stesso, anche se usciamo da soli a camminare oltre i 500 metri (…) Ci trattano come bambini o imbroglioni. Applicano la legge alla lettera senza pensare che soprattutto i vecchi e i bambini hanno bisogno di aria fresca e di luce. Preferiscono che tu finisca nell’aria condizionata degli ospedali? Quella che ti frulla i virus e te li risputa in faccia?”
Mi piace molto questa associazione del condizionatore di aria con un frullatore di veleni.
A tale proposito credo che la prossima, vicinissima estate, non prenderò treni, né traghetti, né aerei. Farò dunque le vacanze in bicicletta ma non, come al solito dal 1977, in Grecia, pedalata che richiede spostamenti su navi dove sono sempre stato tormentato da folate di aria gelata, innaturale e malsana che mi facevano rabbrividire  dall’ingresso  sulle scale, al self service, alla cabina. Non poche volte ho buscato mali di gola.
Questa macchina infernale, ne sono sicuro, amplierà le occasioni del virus di farci del male. Raggela e avvelena quale imitatio inferni “dove Cocito la freddura serra”1 e andrebbe proibita perché non dovrebbe esserci l’inferno nel mondo del buon Dio, come più o meno cantava Fabrizio.
Se i percorsi verranno liberalizzati quanto auspico, andrò anche lontano pedalando la mia amata bici: a Pesaro, a Sansepolcro, a Carmignano di Brenta, a Moena e in altri luoghi dove ho bei ricordi sotto i cieli, fulgidi di mito e poesia, dell’età mia nova e delle fervide attese piene di dolci speranze. Non tutte deluse.
Tanti saluti per ora. Caivrete, curate ut valeatis.

gianni

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1 Dante, Inferno, XXXI, 123

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