Nell’Elettra di Sofocle, Crisotemi la sorella mite della protagonista
eponima, sostiene che anche la giustizia a volte porta danno: all’ e[stin e[nqa chj divkh blavbhn fevrei (Sofocle, Elettra, 1042).
Cicerone ripropone questa ide
con la notissima sentenza summum ius summa iniuria (De officiis I, 10, 33.).
A proposito delle ordinanze relative al virus, io concordo con chi sostiene che riaprire
tutto assai presto sarebbe inopportuno e deleterio, però credo che le corse a piedi fatte da solo e
lontano da tutti, e pure i giri ciclistici in campagna anche fino a una ventina
di chilometri da casa, purché sempre tacito solo senza compagnia, e alla dovuta
distanza da chiunque altro, sarebbero un aiuto per la salute tanto fisica
quanto mentale. Qui a Bologna la sera tra le otto e le nove, quando il sole
scivola dietro i condomìni, vado a correre su un’ellisse di due chilometri e
mezzo intorno a casa mia, almeno tre volte. La distanza massima dalla mia
dimora è sui 500 metri.
Non sono mai stato fermato, secondo una ragionevole applicazione
dell’ordinanza. In bicicletta mi arrangio andando a comprare il giornale poi
facendo il giro dei supermercati per vedere dove c’è meno coda. Quando l’ho
individuato faccio la spesa, poi torno indietro, magari non per la via più
breve di tutte. Una volta mi hanno fermato i carabinieri che hanno accolto
ragionevolmente la mia spiegazione.
Li ho ringraziati con
simpatia. I giorni scorsi invece ho letto di persone multate summo cum iure sed non sine iniuria.
Nel quotidiano “la Repubblica” di oggi c’è
un articolo di Paolo Rumiz intitolato I
posti di blocco che uccidono la speranza (p. 32.
Riporta una “ denuncia” pervenutagli
telefonicamente da Susanna Tamaro, “dalla sua tana umbra”. Sentiamola: “Chi è
rimasto qui, si è indebitato perché la vita non si interrompesse. Oggi vedo i
piccoli artigiani e negozianti alla canna del gas. Siamo quattro gatti
distanziatissimi, ma ci multano lo stesso, anche se usciamo da soli a camminare
oltre i 500 metri
(…) Ci trattano come bambini o imbroglioni. Applicano la legge alla lettera
senza pensare che soprattutto i vecchi e i bambini hanno bisogno di aria fresca
e di luce. Preferiscono che tu finisca nell’aria condizionata degli ospedali? Quella
che ti frulla i virus e te li risputa in faccia?”
Mi piace molto questa
associazione del condizionatore di aria con un frullatore di veleni.
A tale proposito credo che la
prossima, vicinissima estate, non prenderò treni, né traghetti, né aerei. Farò
dunque le vacanze in bicicletta ma non, come al solito dal 1977, in Grecia, pedalata che richiede spostamenti
su navi dove sono sempre stato tormentato da folate di aria gelata, innaturale
e malsana che mi facevano rabbrividire
dall’ingresso sulle scale, al
self service, alla cabina. Non poche volte ho buscato mali di gola.
Questa macchina infernale, ne
sono sicuro, amplierà le occasioni del virus di farci del male. Raggela e
avvelena quale imitatio inferni “dove Cocito la freddura serra”1 e andrebbe proibita
perché non dovrebbe esserci l’inferno nel mondo del buon Dio, come più o meno
cantava Fabrizio.
Se i percorsi verranno liberalizzati quanto
auspico, andrò anche lontano pedalando la mia amata bici: a Pesaro, a
Sansepolcro, a Carmignano di Brenta, a Moena e in altri luoghi dove ho bei
ricordi sotto i cieli, fulgidi di mito e poesia, dell’età mia nova e delle
fervide attese piene di dolci speranze. Non tutte deluse.
Tanti saluti per ora. Caivrete, curate ut
valeatis.
gianni
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1 Dante, Inferno, XXXI, 123
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