Keleti Pályaudvar |
La partenza dalla Stazione orientale di Budapest
Il giorno
dopo, lunedì 26 agosto, alle quattro del pomeriggio, Päivi partì dalla Keleti Pályaudvar,
con il treno azzurro che la portava verso il laghi azzurri della sua terra.
Disse:
“Gianni, mi mancherai tanto: ti penserò, ti sognerò, ti scriverò”.
E io:
“Aspetterò notizie da te. Se le manderai, ti risponderò subito; se non lo farai,
ti scriverò lo stesso. In ogni caso dentro di me conserverò, anzi farò
crescere, tutto il Bene che ho ricevuto da questo nostro amore. Davvero Päivi,
non dimentichiamocene. Non dimenticarmi. Io ti amo”
“Anche
io” rispose, e salì sul treno, e questo partì.
In quel
momento volevamo mantenere vivo l’amore che ci aveva reso migliori, forse
pensavamo anche di lasciar nascere il nostro figliolo.
Infatti
quasi sicuramente era incinta. Non aveva fatto il test di gravidanza, ma il
ritardo era di tre settimane e Päivi diceva di sentirsi in attesa. Di una
bambina, diceva. Io le avevo detto che avrei preferito di molto una femmina
simile a lei, a mia madre e a me.
Durante
il viaggio tra Budapest e Danzica, mentre era seduta nel corridoio del treno
gremito, scrisse che le mancavo, ma che il nostro “divorzio” poteva essere un
bene, appunto perché le faceva capire quanto mi amava.
Di questo
ero assolutamente felice, ma della nascita di una creatura nostra, quando fui
rimasto solo pensandoci continuamente , avevo paura, per Päivi, per la creatura,
e per me. Tra noi c’era un’enorme distanza spaziale e , per giunta, avevamo
entrambi problemi di lavoro, di alloggio, di studio, anche vivendo ciascuno per
conto proprio, figuriamoci insieme.
Questo
pensavo, ma non glielo scrissi, poiché aspettavo una notizia sicura sulla
gravidanza, vera o presunta che fosse, prima di affrontare direttamente il
problema, e volevo sentire il parere di Päivi sull’argomento che riguardava sì
entrambi, ma prima di tutto lei.
Amor matris: subjective and
objective genitive 1.
Le
scrissi soltanto che la amavo molto, fino a sentirmi spiritualmente impregnato
di lei, come lei lo era di me.
Dalla
stazione di Varsavia, il 27, mi spedì una cartolina con un volto: quello di una
bambina simile a me nei colori scuri degli occhi, della pelle, dei capelli, e a
lei nei lineamenti: il naso piccolo, gli zigomi sporgenti, le palpebre molto
allungate verso le tempie. “Occhi da Kirghisa” 2.
La
cittina 3 aveva una forma esotica e piena di carattere, come la sua.
Dietro,
c’erano queste parole: “Vorrei che tu fossi qui presente, ma anche così ti
sento vicino. Perciò, pur stando in disparte dagli altri finlandesi, non mi
sento sola: non lo sono, perché ho sempre con me un forte sentimento e una
forte memoria di te. E ne sono felice. “I am happy because I
remember you and I feel now that you are away near me. I can be alone without
feeling myself alone because I have so nice memory of you”.
Quando
ricevetti questa cartolina ne fui felice, nonostante la grande paura di essere
padre senza averlo deciso.
A mano a
mano che si avvicinava alla Finlandia però, come se accogliesse nella mente e
nel cuore la freddezza del cielo scolorito che le stava sopra la testa 4, Päivi
inviava messaggi sempre meno calorosi.
1 Cfr. Joyce, Ulysses , p 26
2 T. Mann, La momtagma incantata,
vol I p. 163.
3 Toscanismo (per lo meno di Sansepolcro) per “bambina”. Così
chiamavamo mia sorella Margherita in casa.
4 Cfr la Medea di Seneca che dice a se stessa: “inhospitalem
Caucasum mente indue" ( Medea, v. 43) indossa mentalmente il Caucaso inospitale.
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