Visegrád |
Il bagno catartico nel Danubio
Come epilogo dell’amore di Päivi in
Ungheria, ricordo il tardo pomeriggio del 25 agosto, il giorno della gita a
Visegrád dove il Danubio si incurva tra le colline.
Ero immerso nella corrente vicino
alla riva con alcuni altri giovani del corso estivo: ricordo l’Austriaco cieco,
quello che suonava il piano al ricevimento del Rettore1, Antonella, la
fanciulla claudicante di Roma, Fabrizia, una ragazza bruttina di Reggio Emilia,
e Danilo.
Päivi era seduta sulla sabbia
lucente alle mie spalle.
Il sole al tramonto, luminoso senza
essere caldo, non le dava fastidio.
Ricordo quell’ora, forse le
sei di sera, come una delle più lucide di questa mia vita terrena: tanta
chiarezza sentivo in me e proiettavo su tutte le persone e le cose, che per un
momento vidi l’esistente conciliato con l’Essere, con Dio. Come in un quadro di
Raffaello Urbinate o di Piero della Francesca da Borgo San Sepolcro, il paese
della madre mia, la bella mamma dai capelli bruni bruni, dal naso aquilino,
dalle gambe perfette e dai preziosi occhi azzurri, gli zaffiri che non ho
ereditato.
La mia donna seduta sulla riva
indorata dal sole e dall’acqua sfavillante dei suoi lucidi raggi, Päivi, la
luminosa, la Fedra, era buona, era attraente, era di stile elevato, e aspettava
una bambina da me; con lei potevo avere progetti di amore e di vita; anzi la
mia vita attraverso quella figlia sarebbe scorsa qui sulla terra, come la
corrente del fiume nella luce del sole, ancora dopo la morte mia che non mi
faceva paura perché sarebbe stato un ritorno nella divina armonia del cosmo;
intanto Antonella, mentre nuotava, sembrava avvalersi di gambe aggiustate
nell’acqua scintillante che bruciava ogni deformità; il cieco sorrideva con
gioia, ringraziando, forse, il dio onnipotente e misericordioso che gli aveva restituito
il lume degli occhi: la vile gelatina 2, illuminata dai raggi risanatori del
tramonto sereno pareva contemplare la bellezza del mondo con stupore riverente
e commosso.
Di Fabrizia, quella sacra armonia
aveva messo in risalto gli aspetti più belli: il florido seno, la bocca
ridente, lo sguardo pulito, rendendola dolce e attraente.
Danilo, “sotto infino al ciglio”3,
finalmente beveva l’acqua ondeggiante, sorseggiandola maesto cum
murmure, rimpiangendo il succo dell’uva, senza sapere che l’ottimo liquido4,
il migliore di tutti gli allungava la vita abbassandogli il tasso
alcolico e purificando la corrente del sangue troppo scura e densa quia musto
plena erat5..
Così si sarebbe salvato, forse per
sempre dall’ intemperantia bibendi di quell’altro liquido,
dionisiaco quanto si vuole, ma oramai velenoso per lui.
Stavamo facendo un bagno catartico
che ci toglieva grinze e difetti, spianava ogni gibbosità, appulcrava miserie e
brutture quae discors protulerat natura 6, prodotte dalla natura in
discordia con se stessa.
Mi mancavano alcuni amici,
soprattutto Fulvio con il suo caos illuminato da lampi7. Eppure nel
petto mi sentivo un cuore pieno di mitezza e di forza: ero certo di
amare Päivi, credevo di volere un figlio, di poter aiutare il prossimo nostro; insomma
mi sentivo in sintonia con il mondo pieno di luce e di bene, anzi mi pareva di
assomigliare a dio, poiché ero uscito dal mio narcisismo, amavo una donna e
avevo progetti di vita, di creazione con lei. Quel momento epifanico non
sarebbe più tornato e la bambina non sarebbe mai nata. Eppure non mi sbagliavo
del tutto. La creatura sarebbe stata questo capitolo che sto scrivendo e mi dà
un figlio adottivo in sostituzione di quello in carne e ossa, che non abbiamo
lasciato nascere. Questo mio scrivere è anche un’ammenda per impetrare perdono
di tanto misfatto.
1 Cfr.
Il primo capitolo di questa storia.
2
Cfr. Shakespeare, Re Lear III, 7. Il duca di Cornovaglia
marito di Regana, strappa il secondo occhio a Gloster e dice: “out, vile
jelly!”
3
Dante, Inferno XII, 103.
4
Cfr. Pindaro: a[riston
me;n u{dwr, Olimpica I, 1, ottima è l'acqua
5
Cfr. Actus Apostolorum 2, 13
6
Cfr. Lucano, Pharsalia, 559-590
7“Io vi dico: bisogna
avere ancora un caos dentro di sé per partorire una stella danzante” F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra,
Prefazione, 5.
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