Il rito dionisiaco
Invece
Kaisa non mi degnava, e io, quando arrivammo al capolinea e scendemmo, ne avevo
già il cuore straziato.
C’era
un grande prato: una bella radura verde, luminosa tra alberi immensi. I più
giovani, spensierati e vitali tra i nostri compagni, appena fuori dal trenino
si misero a correre.
I
consumati bevitori si mossero verso un chiosco guidati da Danilo inghirlandato
di pampini. Era arrivato a Debrecen soltanto la sera prima, a causa di
contrattempi, mezzo morto di sete.
Le
sue prime parole furono: “mi scappa da bere!”.
L’amico,
sceso dal trenino, cantava semplicemente: “e se son pallido, senza colori, non
voglio dottori, non voglio dottori! E se son pallido come una strassa, vinassa,
vinassa e fiaschi de vin!”.
Quindi,
in uno stile più alto: “spumeggiano ricolme le coppe del piacere!”.
Assecondavano
il signore della baldoria diversi cultori di Dioniso travestiti da fauni e da
satiri. Uno di loro aveva sulle spalle la nebride, un altro impugnava il tirso
delle baccanti. Chiudeva la processione una menade ambigua in groppa a un
grosso cane coperto da una pelle di pantera. Si faceva largo gridando: “Chi è
per strada? Chi è per strada chi?
Poi,
per darsi importanza aggiungeva: “e ognuno consacri la bocca che serba
religioso silenzio. io infatti celebrerò Dioniso secondo il rito in uso,
sempre”[1].
Il
kwmasth;" [2] concludeva cantando l’aria di Papageno:
“sono io gran bevitore sempre allegro, eccomi qua!”.
La
turba dei seguaci lanciava applausi e accompagnava il dionisiaco metro con
appropriate grida bacchiche.
Un
pastore protestante, non lontano da quella schiera, si segnava cristianamente
per esorcizzare i demoni pagani evocati da quella festività orgiastica.
Invano,
poiché la frenesia aveva invaso il corteo e i volti accesi di quella confraternita
invasata dal dio dell'evoè assumevano l'aspetto della Gorgone, mentre la voce
di Danilo a tratti sembrava avere un timbro sovrumano e incuteva
spavento. Nec taciturnus nec prudens, gridava: cum gravis
vino sim, tamen sitio sanguinem!, benché sia pieno di vino, ho sete di
sangue. Alludeva, credo al rosso “sangue di toro di Eger” ma non ne ero del
tutto sicuro. Ebrietates continuae efferant animos [3].
I
suoi seguaci, avvicinandosi al chiosco bramato con una sete inaudita,
emettevano bava secca e roteavano pupille distorte.
Finalmente
riuscirono a trarre sorsi lunghi da coppe, bottiglie e boccali inneggiando, con
voci rugose e cori privi di dorica lira, a Bacco il loro signore.
Quando
gli venne servito un bicchiere di media grandezza, Danilo che, in qualità di
ierofante, conosceva i misteri, lo considerò un segno di malaugurio e gridò: “Che
cosa è questa blasfhmiva? devo morire oggi stesso?
Portaci subito coppe grandi come crateri pieni di fuoco liquido, in modo che il
cuore e la mente possano gioire più in fretta”. Quando gli fu portato l’orcio,
il sacerdote sommo lo alzò con entrambe le mani e lo travasò nella gola
assetata.
Chi
era invece posseduto da Eros, aveva lineamenti più amabili, voce più dolce,
gesti più pacati.
1 Cfr. Euripide, Baccanti,
parodo 68 - 72
2Cfr.
Aristofane, Nuvole, 606, signore del kw'mo", baldoria, festa, Dioniso stesso. Seneca, Ep., 83,
26.
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