Quando ero bambino e facevo le elementari, a Pesaro
tra il 1950 e il 1955, leggevo nel Sussidiario scolastico che Milano era “la
capitale morale” d’Italia.
Ora viene indicata come capitale mortale e mi dispiace
naturalmente.
L’epentesi della lettera t ha ribaltato il ruolo e il significato della
metropoli lombarda. Platone ci racconta che la parola mantikhv ha subito
una trasformazione in peggio in seguito alla sottrazione però, non all’aggiunta, della
lettera t (tau').
Nel
Fedro
il personaggio Socrate parla di
manìe ispirate e produttive di beni. Sono quattro: la profezia della Pizia che
predice in stato di esaltazione, poi l'esaltazione dei purificatori e fondatori
di religioni; terza frenesia divina è quella dei poeti, e quarta la follia
dell'innamorato che è molto più saggia della saggezza del mondo:" ejp jeujtuciva/ th'/ megivsth/
para; qew'n hJ toiauvth/ maniva divdotai"
(245b), questo delirio è la più grande fortuna concessa dagli dèi. Tutti beni
più grandi infatti derivano da una mania
data dagli dèi ( Fedro, 244a): la profetessa di Delfi, quella di Dodona e la Sibilla procurano benefici
agli uomini quando si trovano in stato di mania, mentre in stato di senno non
ne procurano alcuno.
Gli
antichi che hanno coniato i nomi hanno chiamato manikhv la
più bella delle arti che prevede il futuro. Sono stati i moderni, ajpeirokavlw~, con ignoranza del bello, che mettendoci dentro una tau, mantikh;n ejkavlesan (244c),
l’hanno chiamata mantica.
Vediamo altri casi di trasvalutazione lessicale
Nella Pharsalia il furor per il potere e
la rabies delle armi porta alla trasfigurazione delle parole:"Imminet
armorum rabies, ferrique potestas/confundet ius omne manu, scelerique
nefando/nomen erit virtus, multosque exibit iin annos/hic furor" (I,
666-669), incombe la rabbia delle armi, e il potere del ferro sfigurerà ogni
diritto con la violenza, e virtù sarà il nome di delitti nefandi, e questo
furore durerà molti anni.
Durante le guerre civili gli uomini cambiano arbitrariamente il
significato abituale delle parole .
Nei conflitti interni molti valori si capovolgono: lo
afferma Tucidide a proposito della stavsi" di
Corcira[1],
quando ci fu una tranvalutazione
generale e le stesse parole cambiarono il loro significato solito:"Kai; th;n eijwqui'an
ajxivwsin tw`n ojnomavtwn ej" ta;
e[rga ajnthvllaxan th'/ dikaiwvsei. Tovlma
me;n ga;r ajlovgisto" ajndreiva filevtairo" ejnomivsqh" (III, 82, 4), e cambiarono arbitrariamente
l'usuale valore delle parole in rapporto ai fatti. Infatti l'audacia
irrazionale fu considerata coraggio devoto ai compagni di partito.
"Un'audacia " ajlovgisto"" prende il nome di coraggio, la prudenza si
chiama pigrizia, la moderazione viltà, il legame di setta viene prima di quello
di sangue, e il giuramento non viene prestato in nome delle leggi divine, bensì
per violare le umane.
Sinistro carnevale, mondo a rovescio, in cui è
necessario lottare con ogni mezzo per superarsi e in cui nessuna neutralità è
ammessa. Così appare, a Corcira, per la prima volta tra gli Elleni, la più
feroce di tutte le guerre (Tucidide, III, 82-84)"[2].
Nel Bellum Catilinae di Sallustio, Catone , parlando in senato
dopo e contro Cesare, il quale aveva chiesto di punire i congiurati
"solo" confiscando i loro beni e tenendoli prigionieri in catene nei
municipi, denuncia questa alterazione del valore delle parole:"iam
pridem equidem nos vera vocabula rerum amisimus: quia bona aliena largiri
liberalitas, malarum rerum audacia
fortitudo vocatur, eo res publica in extremo sita est " (52, 11),
già da tempo veramente abbiamo perduto la verità nel nominare le cose: poiché
essere prodighi dei beni altrui si chiama liberalità, l'audacia nel male,
coraggio, perciò la repubblica è ridotta allo stremo.
E ancora: nel Macbeth
di Shakespeare la moglie di Macduff viene invitata a fuggire da un
messaggero, prima che arrivino i sicari del tiranno, e risponde: “Whither should I fly?-I have done no harm. But I remember now.- I am in this earthly world where
to do harm-is often laudable; to do good, sometime-accounted dangerous folly” (IV, 2), dove
dovrei scappare? Io non ho fatto del
male. Ma ora ricordo. Io sono in questo basso mondo dove fare il male è spesso
lodevole; fare il bene, talora è considerata pericolosa follia.
Dunque::"honesta quaedam scelera successus
facit" ( Seneca, Fedra, v. 599), il successo rende certi
delitti atti di virtù, dice Fedra a se stessa esortandosi a essere audace poiché il successo
coonesterebbe la trasgressione.
Come commento, copio le parole conclusive di un
articolo bello di Michele Serra, un giornalista che talora ho criticato, ma
questa volta non posso non approvare: “c’è una pagina tremenda di Ian McEwan,
grande scrittore imglese, su come è brutto il cielo di Lombardia quando è brutto[3].
L’aria come una discarica, l’acqua come una discarica,
la terra come una discarica, la vita intera immolata, come un capretto, sull’altare
della produzione. I Lombardi si sono dati i governi che volevano: li hanno
votati. In maggioranza hanno sempre, dico sempre, ignorato ogni possibile
critica, o correzione, alla religione del profitto. I conti devono farli loro,
e tra di loro”.
“La
Repubblica , 15 aprile 2020, p. 28. Il titolo è Il cielo di Lombardia.
Concludo chiarendo per chi ne avesse ancora bisogno
che la “religione del profitto” è simile alla religio che pretese il sacrificio di Ifigenia sgozzata appunto come
una capra –divkan cimaivra"- (Eschilo, Agamennone,
232) exitus ut classi felix faustusque
daretur (Lucrezio, De rerum natura,
I, 100), perché fosse concessa alla flotta una partenza favorevole e volta al
successo.
Tantum
religio potuit suadere malorum
commenta Lucrezio (I, 101) a tanto male
potè indurre la “religione”.
E’ la religione del successo, quello militare che
spinge gli uomini a combattere contro altri uomini annichilendo i doveri morali e gli affetti, distruggendo tante vite o
pure la “religione del profitto” ricordata da Serra: questa come vediamo induce
ad avvelenare la terra e ad annientare la salute nella vita dell'intero pianeta.
giovanni ghiselli
Note
[1] 427-425 a. C.
2 M. Cacciari, Geofilosofia
dell'Europa, pp. 42-43.
3 Cfr. Manzoni, I promessi sposi, XVII: Quel cielo di
Lombardia, così bello quand’è bello, così splendido, così in pace. ndr
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