L’esodo del secondo
dramma della trilogia amorosa
Mi
aggiravo in disparte osservando i miei simili, e anche i dissimili, con aria
introversa. Mi rodeva parecchio che Kaisa non mi venisse vicino, anzi non si
facesse nemmeno vedere. Quando la scorsi, lontana, mi sembrava perfino irata.
Senza ragione. Io l’amavo. Non sapevo che fare. Anche durante il ritorno con il
trenino che andava all’ingiù, rimanemmo discosti. Cominciavo a odiarla. A
questo punto però mi diede un segno: facendo finta di sbagliare corriera, salì
sulla nostra dove probabilmente non c’erano altri Finlandesi. Sedette in prima
fila, lontana da dove stavo io ed era imbronciata. Mi chiedevo se dovessi
andare da lei. Ci pensai qualche minuto poi decisi di risolvere in un modo o in
un altro quella situazione da manicomio: in fondo eravamo due amanti che non si
erano dichiarata guerra, e tutto sommato, nonostante pochi piccoli screzi, e
alcuni urti del braccio ingessato, facendo l’amore ce l’eravamo goduta assai.
Che
cosa voleva quella strana creatura mezza nordica, mezza asiatica?
Andai
a sedermi accanto a lei. Aveva un gran muso.
Fu
lei a domandare: “che cosa vuoi tu da me?”
“Quello
che ho sempre voluto e che tu hai avuto la generosità di donarmi fino a ieri
sera. Ho forse perduto la tua benevolenza?
“E
me lo chiedi? Con che faccia? Sei stato sempre lontano da me, di sicuro per
cercartene un’altra”, fece, guardandomi male.
Anche
nelle intenzioni ero innocente. Ma donne e uomini, più tradiscono, più sono
portate a farlo, più attribuiscono agli altri tale inclinazione.
Questa
volta del resto l’equivoco non mi dispiacque, perché significava che Kaisa
teneva molto a stare, almeno per tutto quel mese, con me.
Rassicurato
sugli intenti suoi, riuscii a farle capire e sentire che si era sbagliata: io
avevo aspettato con impazienza prima, poi con dolore e struggimento che lei
venisse da me. Quando si fu convinta disse: “mi sono sentita così desolata
senza di te, così desolata!”[1].
“Anche
io” le risposi.
Allora mi guardò a lungo con gli occhi azzurri un poco arrossati, bagnati di lacrime e illuminati da un sorriso incipiente: sembravano pezzi di cielo primaverile che, dopo il temporale, al tramonto, ha aperto uno squarcio da dove si affaccia il sole poco prima di sparire dietro le colline fiorite di Pesaro, o tra le rocce del Latemar, riflesse, al pari dell’aria che si rasserena rosseggiando, dall’acqua azzurra striata di porpora del lago di Carezza. Quindi, mentre lo strappo si allarga, le nuvole nemiche si diradano e lasciano il campo allontanandosi verso Fano o verso il Sasso Lungo, gli uomini buoni, abituati a osservare il sole Iperione che tutto vede e tutto ascolta dall’alto [2], gli uomini e tutte le donne inclini ad amare la vita, sentono il sacro presagio di un’estate felice.
Dopo
avermi guardato a lungo, Kaisa sorrise e disse: “Rakastaa” [3].
La
baciai e mi sembrò che le labbra toccassero il cielo luminoso e la terra
fiorita dopo un inverno gelido.
Poco
dopo l’amante mi domandò perché l’avessi lasciata sola sul trenino e nella
radura.
“Perché
là c’erano i Finnici - risposi - e pensavo che tu non volessi che ti vedessero
amoreggiare con me”
“Che
cosa vuoi che me ne importi dei Finnici? Io ti amo, mina rakastan sinua”,
e mi baciò, sebbene fossimo seduti davanti, visibili, e qualche altro
finlandese, attirato da una persona, o dall’alcool del caro Danilo, poteva
essere entrato nella corriera riservata, in teoria, a Italiani e Francesi i
quali dopo qualche chilometro si misero a cantare: “Danilò de la table
ronde, dite moi si le vin le bon, dite moi oui oui oui, dite moi no no no, dite
moi si le vin le bon”.
L’amico
rispose solo, canticchiando con un filo di voce: “xe bon sì! Viva il buon vino!
Sostegno e gloria d’umanità”.
Io,
tra i baci, gridai: “e le femmine dove le metti?” [4]
Ma
l’amico oramai, oppresso dal piacere delle bevute [5], si era
addormentato.
Noi
due, Kaisa e io dico, invece ci baciammo per tutto il viaggio di ritorno, fino
a Debrecen, poi anche oltre, e, pur senza avere toccato liquidi alcolici, lo
facemmo con furia, quasi strappandoci gli indumenti di dosso.
“Puoi
toglierti tutto - dissi - dato che sei coperta dalla bellezza e dalla virtù
dell’amore”.
Se
non altro, e non è poco, ci piacevamo a vicenda.
Però
la cattiva coscienza dell’adulterio, aveva fatto supporre alla donna un
tradimento inesistente, e aveva turbato uno dei pochi giorni concessi dal fato
al tempo precipitoso del nostro amore scosceso.
Di
lì a pochi giorni infatti Kaisa partì e non l’ho vista mai più.
Andai
a cercarla nel settembre del 1974, due anni e due mesi più tardi,
nell’Università dove era assistente. Si fece negare, poi mi scrisse che non
aveva potuto fare diversamente siccome era già abbastanza chiacchierata dalle
linguacce.
In
tal modo finisce questa storia d’amore, se può chiamarsi così. Sì, io la chiamo
storia d’amore e non certo tra le meno belle di mia vita mortale.
Passammo
l’ultima settimana a Budapest. Una notte, facendo l’amore con gioia, un
preservativo si ruppe ma l’amante preziosa non rimase in cinta che io sappia.
Penso di no. La prossima storia mi farà capire che mettere al mondo un figlio
non era destino per me. Eppure, ancora oggi, quando vedo un padre che abbraccia
una figlia, mi vengono le lacrime agli occhi.
Una
figlia è il grande rimpianto. Il resto del bello e del buono che può offrire la
vita l’ho avuto.
Passerò
presto al terzo dramma della trilogia finlandese
giovanni
ghiselli
Note erudite. Si possono ignorare
1. Forse Kaisa ricordava le parole di
Tess al marito che l’ha abbandonata: “Only come back to me. I am
desolate without you, my darling. O, so desolate!” Thomas Hardy, Tess
of the D’Ubervilles, Penguin books, p. 417.
2. L'elogio del sole percorre parte
della letteratura greca e prosegue oltre in quella europea. Voglio indicarne
alcune espressioni. Già Omero, nell' Iliade III, 277, gli
attribuisce la facoltà di vedere e ascoltare tutto:" jHevliov" q j, o}~
pant& ejfora'/" kai; pavnt& ejpakouvei""; una
formula che torna un poco variata in Odissea (XI, 109)
:" jHelivou,
oJ;" pavnt j ejfora'/ kai; pavnt jejpakouvei". Nell'inno
"omerico" a Demetra, quando Persefone viene rapita, solo Ecate ed
Elio, splendido figlio di Iperione (" jHevliov" te a[nax JUperivono" ajglao;"
uiJov""
v.26), udirono la fanciulla che invocava il padre Cronide. Nel Prometeo
incatenato di Eschilo il titano invoca, tra gli altri, "to;n panovpthn kuvklon hJlivou"(v. 91),
il disco del sole che tutto vede. Nella Parodo delleTrachinie di
Sofocle il Coro prega Elio, perché annunzi dove si trovi Eracle, invocandolo
come "kratisteuvwn
kat j o[mma"
(v. 102), tu che superi tutti con il tuo sguardo, come interpreta lo
scoliaste:"w\
nikw'n pavnta" tou;" qeou;" kata; to; ojptikovn", tu che
vinci tutti gli dèi nel potere visivo. Se ne ricorderà Ennio nella Medea:
"Iuppiter tuque adeo summe Sol qui omnis res inspicis” (fr. 148
Traglia, v. 1), Giove e tu in particolare, sommo sole che vedi tutto. Nelle Metamorfosi di
Ovidio il sole si presenta a Leucotoe, per farla sua, con queste parole: "ille
ego sum - dixit - qui longum metior annum,/omnia qui video, per quam videt
omnia tellus,/mundi oculus: mihi, crede, places!" (IV, 226 - 228), io
sono quello, disse, che misuro il lungo anno, che vedo tutto, per cui vede
tutta la terra, sono l'occhio dell'universo: abbi fiducia, mi piaci!” L'espressione
si ritrova pure in Shakespeare: "the all - seeing sun ne’ er saw her
match, since first the world begun", il sole che tutto vede non ha mai
visto una sua pari da quando il mondo è cominciato, giura Romeo (Romeo e
Giulietta, I, 2)
3
Amore.
4
Cfr. Don Giovanni, Mozart - Da Ponte:
“Vivan
le femmine,
Viva
il buon vino!
Sostegno
e gloria
d’umanità!”
(II, 18)
5 Cfr. Ovidio: “Vina
parant animum Veneri, nisi plurima sumas - et stupeant multo corda sepulta mero”
(Remedia, 807 - 8). Cfr. Anche Shakespeare: “Much drink may be said
to be an equivocator with lechery: makes him stand to and not stand to (Macbeth II,
3).
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