sabato 25 aprile 2020

Il mio contributo al canto “Bella ciao”. 25 aprile 2020

Quando sento cantare Bella ciao che è stato l’inno della mia gioventù, piango perché mi fa venire in mente anni belli della mia vita quando, superata la crisi  del disincanto di fine adolescenza con l’aiuto del clima mondiale invalso nel 1968, la mia gioventù rifioriva e fiorivano le speranze di una società migliore, meno egoista, meno ipocrita e cattiva, un’umanità  più generosa, sincera e buona. Insomma più umana.
Sì cantava Bella ciao credendo in noi stessi e in un  futuro di giustizia e di amore. Poi quelle speranze hanno fatto la fine delle adolescenti leopardiane, le speranze  del poeta incarnate in Silvia e Nerina.
Le nostre sono state uccise dalla religio del profitto che al pari di quella condannata da Lucrezio ha spinto i suoi infernali sacerdoti a coprire e macchiare di stragi la terra  per ogni “cagion qual si sia ch’ad auro torni” (Leopardi, Palinodia al marchese Gino Capponi, v. 68)
I cultori del lucro per pochi, con i loro servi e i loro sicari, hanno cancellato lo statuto dei lavoratori che promulgato dal socialista di Recanati Giacomo Brodolini, rispecchiava almeno in parte quella libertà di tutti per la quale era morto il partigiano della nostra canzone.
La Costituzione della Repubblica italiana  è rimasta in gran parte inattuata. Anzi, rispetto a quello statuto è regredita.  Penso in particolare all’articolo 3 che attribuisce “pari dignità sociale” a tutti i cittadini e assegna alla Repubblica il compito di “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del paese”.
Ci si stava avvicinando a questo traguardo. Poi dal dicembre del 1969, per almeno tre lustri, le stragi pensate, preparate e attuate con la strategia della tensione hanno ingenerato il sospetto, la paura e, di conseguenza, determinato  il declino e la caduta della solidarietà tra noi umani. Questa orrenda nuova controriforma con tanto di roghi e supplizi, un poco alla volta ha ottuso le menti, ha involgarito la scuola, ha imbarbarito gli animi. Ai giovani che cantavano Bella ciao e Bandiera rossa sono succeduti quelli dell’happy hour impregnati di aperitivi, ignoranza e menefreghismo.
Nel luglio del 2015 ero in Grecia. Gli Elleni aspettavano l’esito del referendum. Quando seppero il risultato, scesero in piazza per festeggiare.
Per me fu un momento di rinnovata speranza. Ero in piazza Syntagma. Intonai Bella ciao e mi seguirono in tanti. Eravamo felici. Poi le speranza sono di nuovo cadute.
Ora cantiamo di nuovo la nostra bella canzone. Se vogliamo che significhi davvero qualcosa dobbiamo identificare l’invasore, combatterlo e sconfiggerlo. Quello degli ultimi 40 anni che è ancora vivo e continua a farci del male.
Invero gli invasori sono tanti: l’ignoranza, l’egoismo, la brutalità le sperequazioni, lo sfruttamento,  le ingiustizie, l’inimicizia tra gli uomini, tra le donne, tra gli uomini e le donne.
Se penso che Bella ciao è solo un ricordo di tempi migliori, un canto corale soltanto nostalgico o retorico, mi succede quanto mi accadde nell’estate del 2015 quando sul ponte della nave che mi riportava in Italia sentivo quel canto “lontanando morire a poco a poco” e similmente mi si stringe il core[1].

 giovanni ghiselli




[1] Cfr. Leopardi,  La sera del dì di festa, vv. 45-46: gli ultimi due endecasillabi della poesia

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