Ezra Pound |
La difformità dai luoghi comuni ordinari
La incoraggiai a parlarmi ancora di sé, a fidarsi.
La incoraggiai a parlarmi ancora di sé, a fidarsi.
Le
dissi che sentivo tra noi un’empatia alta e profonda: era lei la donna che io,
spezzone di essere umano, cercavo da sempre.
Le tradussi
in qualche modo in inglese il meglio di quanto avevo pensato sul
conto suo da quando l’avevo vista entrare raggiante di spirito.
Päivi
volle mettermi in guardia dicendo di non essere una persona lieta; anzi precisò
che era piuttosto infelice poiché si sentiva chiusa nel cerchio dell’io: al
pari di un bambino o di un narcisista che vede il mondo e la gente soltanto in
relazione ai propri bisogni e desideri.
“Ecco
perché non sono ottimista, come cerchi di essere tu”, disse, “temo che non
potrò aprire mai la gabbia dell’io e farne uscire la mia libido introversa”.
“Con me puoi
renderla estroversa quando vuoi ”, sussurrai con un sorriso. Poi aggiunsi:
“insieme possiamo dare una spinta al destino. Io l’ho già fatto una volta
aiutato da un amico[1]”.
Non ci fece
caso e aggiunse che le nostre strutture mentali da un lato si assomigliavano,
siccome eravamo entrambi cercatori eterni di qualche cosa, però, d’altra parte,
differivano, in quanto lei disperava di uscire dal pozzo cupo del suo
egocentrismo, mentre io potevo ancora trovare la felicità che mi aspettavo, e,
probabilmente, mi spettava: “tu non sei infelice né sfiduciato” fece
guardandomi mentre la osservavo attentissimamente “sei nervoso perché non sai
bene quello che vuoi: tu hai solo bisogno di tempo. Devi rafforzare l’Io, la
tua parte cosciente, renderla autonoma rispetto all’autoritarismo del Super io
e metterlo in grado di conquistare e annettersi nuove zone dell’Es. Sei sulla
strada giusta, gianni”.
“Fiam
Ioannes, diventerò quel gianni che prevedi. Ancora in effetti non lo
sono abbastanza”. Il ricordo di quanto mi ha detto questa donna mi ha motivato
a fare quanto devo a me stesso anche a costo di sacrifici grandi. Non ho ancora
compiuto questa impresa. Dovrò farlo prima di morire. Non troppo presto, spero.
Mentre
continuava a parlare, Päivi mi dava sempre più la sensazione che avevo
incontrato una creatura della mia specie spirituale, del mio stampo,
della mia levatura qualunque essa fosse.
Verso le sei
le proposi la gita, per me rituale, a Hortobágy: avrei gradito la presenza di
Fulvio, e di un’altra finnica, come nel ’71 quando tutto era filato liscio con
Helena, ma l’amico purtroppo non c’era, e dovetti accontentarmi di Bruno e
Silvano che stavano invitando due tedesche.
Päivi li
definì subito “ persone qualunque”, autorizzando la mia radicale diversità
dalla gente usuale. Quella ragazza con la forza della sua intelligenza e
cultura, come già Fulvio con la sua saggezza nobile e antica, come poi Ifigenia
con la potenza della sua bellezza, hanno incoraggiato la mia difformità dalle
persone ordinarie, gli indistinti che professano e mettono in pratica i luoghi
comuni.
Faccio
qualche esempio di mia difformità, o, secondo i malevoli, deformità.
Io comunque ne vado fiero.
Le
righe seguenti possono non essere lette poiché non fanno parte di questa
storia.
Una
volta si “doveva” fumare, o ci si “doveva” sposare; ora si “deve” avere il
telefonino e ci si “deve” far credere ricchi.
Io non ho
mai fumato uno spinello né una sigaretta, non ho mai voluto e non voglio il
telefonino, baso le mie spese sulla pensione di insegnante, pago tutte le tasse
dovute e non mi lesino niente. Certo non i libri, i film e il teatro.
Semplicemente
non spreco.
"Non
esse emacem vectigal est"[2]
Quando
un ex boss dell’edilizia pesarese mi offrì molto denaro per della terra che,
data in affitto a un coltivatore diretto, mi rende poco ma viene
coltivata bene, lo rifiutai.
Mi pregio di
nominarmi “il poverello di Pesaro”, il mendicante della bellezza, l’accattone
degli affetti e così via. Mi ripugna la gente che sfoggia il denaro e ancora di
più quelli che fingono, risibilmente, di averlo. Mi disgusta ogni forma di
affettazione. Trovo disgustoso chi va in televisione o altrove mettendo in
mostra i propri libri e dicendo o facendo dire “comprateli!”. Io in passato ne
ho prodotti e pure venduti bene con Loffredo, ma ora, da persona matura e
meglio cosciente, dico: non comprateli, ho tutto nel computer, li ho resi più
belli da allora e ve li mando gratis attraverso la posta elettronica. Mi sembra
più elegante, degno di me e del mio comunismo aristocratico.
Anzi, cito
un poeta addirittura fascista con il quale condivido l’amore per la cultura e
l’odio per l’usura:
For I am
homesick after my own kind
And ordinary
people touch me not.
And I am
homesick
After my own
kind that know, and feel
And have
some breath for beauty and the arts (Ezra Pound, In Durance, 1907)
gianni
Bologna 13
aprile 2013. Buona Pasquetta di solitudine.
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