Antonio Canova, Le Grazie e Venere danzano davanti a Marte |
La partenza per la Finlandia. Il nobile gesto di Alfredo
I visitatori del mio blog sono diventati più di 936 mila mila, e io
continuo a scrivere con maggior lena, siccome ho questa prospettiva sicura: una
quantità e, credo, una qualità di lettori che mancano alla maggior parte degli
scarabocchiatori pennivendoli i quali si elogiano o si beccano a vicenda in
quella gabbia dei raccomandati e ripetitori di pubblicità, di banalità, di
falsità che è la televisione.
Credo che siano davvero pochi i lettori dei luoghi comuni continuamente
ripetuti dai tanti gazzettieri e pennivendoli. Più numerosi sono tali
pseudoscrittori dei lettori reali.
Dice bene Leopardi: “ Il solo popolo ascoltatore può far nascere
l’originalità la grandezza e la naturalezza della composizione”[1].
Se non avessi avuto il vostro riscontro, lettori, giudici veri queste
righe, non avrei continuato.
Riprendo dunque con la storia di Päivi. Il vostro aedo, sebbene già
vecchio, unisce le Grazie alle Muse, dolcissimo tiaso e fa risuonare la Memoria[2].
Dalla nave tra Danzica ed Helsinki, il 28 agosto, Päivi scrisse che
soffriva la mia mancanza, tuttavia doveva prepararsi a passare un lungo periodo
senza di me; il 30, appena sbarcata, aggiunse che la Finlandia fredda e
semivuota non le piaceva, ma questo non la esentava dal dovere di lavorare e
vivere nella terra che era comunque la sua. Al messaggio che mi annunciava lo
sbarco, seguirono due settimane di silenzio del quale non mi preoccupai troppo
, siccome pensavo che la probabile pregnante avesse bisogno di tempo per sapere
con certezza se davvero aspettava un figlio, e se lo voleva.
Dalla sua decisione avrei fatto dipendere la mia.
La lettera fatale arrivò verso metà settembre a Pesaro, dove mi trovavo in
attesa di notizie da Yväskylä, mentre aspettavo l’inizio del nuovo anno
scolastico a Bologna dove avevo ottenuto il trasferimento dopo cinque anni di
insegnamento nella scuola media Ugo Foscolo di Carmignano di Brenta. Un ciclo
scolastico esaurito. Rimanevano e sarebbero rimasti alcuni affetti belli.
Päivi aveva scritto che il figlio presentito lo aspettava davvero, ma non
sapeva se esserne felice o triste: voleva parlarne con me. Intanto lo stava
facendo con il suo ex “boyfriend”, un certo Jussi un architetto, un uomo che
lei, mi aveva detto a Debrecen, aveva lasciato nella primavera precedente
poiché la annoiava, nonostante fosse una persona discretamente creativa. Aveva
aggiunto che comunque non le piaceva. Questo ex compagno le aveva proposto di
tornare con lui, anche con il figlio di un altro, se voleva tenerlo; ebbene,
tanta devozione l’aveva commossa, ma lei aveva bisogno di me per parlare e
decidere che cosa fare. Chiedeva il mio aiuto in quanto si sentiva come
sdoppiata o divisa, e non poteva vedere da un solo punto di vista, cioè
unitariamente, la sua situazione triste e felice.
In ogni caso era sicura di amarmi: la sera, andando a letto, sperava di ammirare
il mio volto in qualche bel sogno; di giorno, aspettava il mio arrivo. D’altra
parte era ben cosciente che l’amore per me e la nascita della nostra creatura,
potevano diventare problemi seri, ossia ostacoli, alti e impervi come montagne,
ai suoi studi che la interessavano sempre molto, probabilmente sopra ogni altra
cosa al mondo.
Io volevo l’amore di Päivi, o piuttosto volevo continuare a pensare che
Päivi mi amasse, e finché ne ebbi bisogno per accrescere la mia identità, e
fino a quando non fu del tutto impossibile continuare a pensarlo, lo feci. Di
fatto, tale illusione mi stimolava a studiare, a riflettere, a comprendere.
Però in quel tempo, sulla soglia assai vicina dei trenta[3], non sapevo se volere la bambina attesa:
da una parte la desideravo, dall’altra avevo paura che il pensiero e
l’occupazione di un figlio avrebbe messo dei ceppi ai miei piedi ancora agili.
Anche io, come Päivi volevo imparare dai libri senza ostacoli di nessun
genere, se non altro perché mi ero identificato con lei, con quanto affermava,
con l’immagine che dava di sé.
Invero è da allora che ho cominciato a studiare seriamente, metodicamente e
pure un poco maniacalmente: prima con fatica, poi con scioltezza, quindi con
piacere.
Infine studiare è diventato un bisogno, una necessità, come mangiare, bere
e respirare. Come pregare per i sacerdoti santi, o sedurre per i seduttori
professionisti.
Comunque in quei giorni del settembre del 1974 volevo un colloquio tra noi
e avrei voluto che la decisione sulla creatura nostra la prendessimo insieme.
Così andai a prenotare un posto nel primo aereo per Helsinki che partiva da
Rimini alle 14 del 20 di quel mese fatale. Il giorno seguente sarebbe inizito
l’autunno, in tutti i sensi.
Un’ora prima che il velivolo prendesse il volo, all’aeroporto arrivò
Alfredo da Roma, appositamente per incoraggiarmi a fare nascere “la
finlandesina bella e intelligente”, disse, e mi diede un regalo, un fazzoletto
di ottimo gusto da portare alla mia donna, alla nostra amica, disse.
Fu un segno di anima fine, delicata, e lo ricordo in onore dell’amico che,
carente di successi con le ragazze, a Debrecen si era sentito compreso e
rassicurato dalla mia compagna impegnata a capire le debolezze degli esseri
umani. Forse perché dietro la sua apparenza calma e sicura, dietro quel volto
da donna abituata a pensare i pensieri intelligenti che avevano formato tutto
il suo aspetto, sotto quei lunghi capelli fulvi, simili a una nuvola che
rosseggia per i raggi infiammati del sole cadente, sotto quella chioma da
leonessa bipede, era una debole creatura anche lei.
Nel 1918 l’amico Alfredo è morto. Pochi giorni fa è morto Fulvio, amico
ancora più caro. Le belle persone di un tempo scompaiono una per volta. Anche
io un giorno sono nato e un giorno morirò, ma fino a quell’ultimo continuerò a
studiare, non senza unire le Grazie alle Muse, come il vecchio maestro e amico
Euripide.
Con l’avvicinarsi della catastrofe, la storia diventa sempre più
soggettiva, poiché la soggettività è un segno di decadenza. Il nostro rapporto
stava naufragando nell’individualismo e nell’egoismo dell’uno e dell’altra.
[1] Leopardi, Zibaldone,
146.
[2] Cfr. l’Eracle di Euripide: "non
cesserò mai di unire le Grazie alle Muse ta;"
Cavrita" - tai'" Mouvsaisin,
dolcissimo connubio. Che io non viva senza la Poesia ma sia sempre tra le
corone. Ancora vecchio l'aedo fa risuonare la Memoria"( e[ti
toi gevrwn ajoido;" - keladei' Mnamosuvnan,
vv. 673 - 679).
[3] …”Ed ecco la
trentina
inquietante, torbida d’istinti
moribondi (…) ecco poi la quarantina
spaventosa, l’età cupa dei vinti,
poi la vecchiezza, l’orrida vecchiezza
dai denti finti e dai capelli tinti”.
Guido Gozzano, I colloqui, 10 - 15
Nessun commento:
Posta un commento