Raffaello, La scuola di Atene |
La prossima
fase. Speranze e timori. La scuola
Ci sono
speranze che al dolore dell’attuale catastrofe segua la comprensione - il
classico eschileo tw'/ pavqei mavqo"[1] - per cui diverremo meno consumisti, egoisti e cattivi.
Molti sanitari, religiosi e tante persone di buona volontà e buon cuore hanno
dato dei segni in questo senso.
E ci fanno
sperare bene.
Ma ci sono
anche avvisaglie contrarie. Per esempio la perdita di un anno scolastico con
l’esame di maturità “semplificato”, come dicono. Non so come sia possibile
rendere più semplice una prova che quasi tutti già superavano negli ultimi
tempi. Tre anni or sono ho visto la maturità classica regalata - magari,
chissà, honoris causa - a giovani che non conoscevano il greco né
il latino. Quindi nemmeno l’italiano.
Temo che
l’intervallo di un anno aggravi e acceleri il decadere, già in atto da
parecchio tempo, della scuola e della cultura. Questi mesi di isolamento
infatti, se da una parte hanno inflitto dispiaceri anche grossi, dall’altro
hanno offerto un’occasione in più per studiare. Molti docenti si sono adoperati
per insegnare comunque, e non mi sembra cosa buona non distinguere i
giovani che hanno studiato imparando molte cose anche nella solitudine coatta,
da quelli che hanno negletto la propria preparazione oziando. Solone continuava
a imparare molto ancora da vecchio[2].
E’ un metodo sbagliato, un esempio negativo
quello che consiste nell’indifferenza o addirittura nella malevolenza verso lo
studio e contro chi studia.
Sono emblematici in tal senso non pochi personaggi
della televisione che parlano di tutto spacciandosi per conoscitori
dell’universalità delle cose mentre è evidente che le conoscono tutte male.
Mi ricordano un tale menzionato negativamente da
Socrate nell’Alcibiade secondo di Platone: uno che sapeva molte cose, ma le sapeva tutte male poll¦ mn ºp…stato œrga, kakîj de; ºp… stato p£nta (147b). Secondo il maestro di Platone, il
massimo oggetto di scienza è il Bene, e chi non arriva a questa conoscenza
ontologica limitandosi a echeggiare una disordinata congerie di nozioni e di
luoghi comuni, si troverà in una grande tempesta senza un nocchiero,
continuando a correre sul mare, non a lungo del resto. Ora infatti il naugragio
è arrivato.
D’altra parte per giungere all’ ™pist»mh toà belt … stou, la scienza di quanto è ottimo, si deve studiare
molto e bene.
A questo
proposito mi viene in mente e voglio ricordare a chi mi legge il De nuptiis Philologiae et Mercurii del retore cartaginese
Marziano Capella (IV - V secolo d. C.)
Filologia ha nascita terrena ma ha
preso dalla madre Phronesis l’intento di salire alle stelle come riuscì a Omero
e Orfeo. Filologia simbolizza l’umano capax dei. Quindi ella deve rappresentare
l’insieme delle arti.
Filosofia è una “gravis
insignisque femina”, dalla folta chioma, colei che intercede presso Giove
perché il dio conceda agli uomini eccellenti “ascensus in supera”.
Filologia dovrà sposare Mercurio, l’interprete che conduce a comprendere la Mente
(nous). Tale comprensione sarà opus e labor di
Filosofia la quale condurrà Filologia alla corte di Giove dove avverranno le
nozze.
Per ascendere attraverso i circoli
dei pianeti fino al sole, platonicamente chiamato “prima propago”
dell’eccelsa potenza del padre inconoscibile, Filologia dovrà bere la bevanda
dell’immortalità che Atanasia custodisce. Prima però deve vomitare “coactissima
egestione” tutto ciò di cui è piena, ossia l’erudizione umana, troppo
umana.
Poi quella nausea ac vomitio si
trasforma in un’abbondanza di lettere, volumi che le Arti e le Muse raccolgono.
Il sapere di Filologia diventa sapienza. “Passa, per così dire, da potenza ad
atto soltanto allorché Filologia inizia il cammino con Filosofia in
supera, soltanto nel momento in cui ella desidera ardentemente
l’immortalità”[3].
Ora non vorrei che i giovani, suggestionati quali
spettatori dai tanti ciarlatani saliti alla ribalta dove si spacciano per
grandi bacalari[4], e incoraggiati per giunta come studenti da questa
“semplificazione” della prova di maturità, quella che era massimo agone - ajgw;n mevgisto" - della scuola secondaria superiore, di fatto una
riduzione al quasi niente proposta dalla ministra simplici mente,
giungessero a svalutare lo studio e la scuola. Quando non funziona la scuola,
l’ho detto e scritto diverse volte, non funziona più niente: dalle navi, agli
aerei, alle banche, agli ospedali.
Bisogna
comunque lottare perché la sostanza dell'umanesimo rimanga nella scuola
italiana. E non solo nella scuola: "Si sa o si intuisce che quando il
pensiero non è puro e vigile, quando la venerazione dello spirito non è più
valida, anche le navi e le automobili incominciano presto a non funzionare,
anche il regolo calcolatore dell'ingegnere e la matematica delle banche e della
borsa vacillano per mancanza di valore e di autorità, e si cade nel caos (…)
Erano tempi feroci e violenti, tempi caotici e babilonici nei quali popoli e
partiti, vecchi e giovani[5], rossi e bianchi non s'intendevano più. Andò a finire che, dopo
sufficienti salassi e un grande immiserimento, sempre più forte si fece sentire
il desiderio di rinsavire, di ritrovare un linguaggio comune, un desiderio di
ordine, di costumatezza, di misure valide, di un alfabeto e di un abbaco che
non fossero dettati dagli interessi dei grandi, né venissero modificati a ogni
piè sospinto. Sorse un bisogno immenso di verità e giustizia, di
ragionevolezza, di superamento del caos" [6].
Temo per giunta
che tanti mesi di interruzione dello studio serio, impegnativo e faticoso,
ingenerino una assuefazione alla pigrizia da cui sarà molto difficile liberarsi
Vi cito a
questo proposito alcune righe dall’Agricola di Tacito:
“nunc [7] demum redit animus (…) natura tamen infirmitatis
humanae tardiora sunt remedia quam mala, et, ut corpora nostra lente augescunt, cito
extinguuntur, sic ingenia studiaque, oppresseris facilius quam revocaveris.
Subit quippe etiam ipsius inertiae dulcedo, et invisa primo desidia postremo
amatur " (3),
ora torna finalmente uno stato d’animo buono. Tuttavia per natura della
debolezza umana i rimedi sono più lenti dei mali, e, come i nostri corpi
crescono con lentezza e si estinguono tosto, così gli ingegni e gli studi si
possono più facilmente affondare che fare riemergere. Subentra infatti anche il
piacere della stessa inattività e l’ozio, dapprima odiato, finisce con l’essere
amato.
Un abbraccio
a chi studia e impara.
Bologna 2
aprile, giovanni ghiselli
[1] Eschilo, Agamennone, 177
2 “ghravskw d j
aijei; polla; didaskovmeno" (fr. 22 RD.), invecchio imparando sempre molte
cose
3Massimo
Cacciari, La mente inquieta, Saggio sull’Umanesimo,
cap. terzo Philosophica Philologia, p. 38.
[6] H.
Hesse, Il giuoco delle perle di vetro, p. 33 e p. 368.
[7] Dopo la morte di Domiziano,
con Nerva (96 - 98) il quale avrebbe associato la libertà al proprio potere di
princeps. Traiano poi (98 - 117) avrebbe accresciuto ogni giorno la prosperità
dei tempi.
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