giovedì 2 aprile 2020

La prossima fase. Speranze e timori. La scuola (seconda versione ampliata)


Raffaello, La scuola di Atene
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La prossima fase. Speranze e timori. La scuola

Ci sono speranze che al dolore dell’attuale catastrofe segua la comprensione - il classico eschileo tw'/ pavqei mavqo"[1] - per cui diverremo meno consumisti, egoisti e cattivi. Molti sanitari, religiosi e tante persone di buona volontà e buon cuore hanno dato dei segni in questo senso.
E ci fanno sperare bene.
Ma ci sono anche avvisaglie contrarie. Per esempio la perdita di un anno scolastico con l’esame di maturità “semplificato”, come dicono. Non so come sia possibile rendere più semplice una prova che quasi tutti già superavano negli ultimi tempi. Tre anni or sono ho visto la maturità classica regalata - magari, chissà, honoris causa - a giovani che non conoscevano il greco né il latino. Quindi nemmeno l’italiano.
 Temo che l’intervallo di un anno aggravi e acceleri il decadere, già in atto da parecchio tempo, della scuola e della cultura. Questi mesi di isolamento infatti, se da una parte hanno inflitto dispiaceri anche grossi, dall’altro hanno offerto un’occasione in più per studiare. Molti docenti si sono adoperati per insegnare comunque, e non mi sembra cosa buona non distinguere i giovani che hanno studiato imparando molte cose anche nella solitudine coatta, da quelli che hanno negletto la propria preparazione oziando. Solone continuava a imparare molto ancora da vecchio[2].

E’ un metodo sbagliato, un esempio negativo quello che consiste nell’indifferenza o addirittura nella malevolenza verso lo studio e contro chi studia.
Sono emblematici in tal senso non pochi personaggi della televisione che parlano di tutto spacciandosi per conoscitori dell’universalità delle cose mentre è evidente che le conoscono tutte male.
Mi ricordano un tale menzionato negativamente da Socrate nell’Alcibiade secondo di Platone: uno che sapeva molte cose, ma le sapeva tutte male poll¦ mn ºpstato œrga, kakîj de; ºp… stato p£nta (147b). Secondo il maestro di Platone, il massimo oggetto di scienza è il Bene, e chi non arriva a questa conoscenza ontologica limitandosi a echeggiare una disordinata congerie di nozioni e di luoghi comuni, si troverà in una grande tempesta senza un nocchiero, continuando a correre sul mare, non a lungo del resto. Ora infatti il naugragio è arrivato.

D’altra parte per giungere all’ ™pist»mh toà belt … stou, la scienza di quanto è ottimo, si deve studiare molto e bene.
A questo proposito mi viene in mente e voglio ricordare a chi mi legge il De nuptiis Philologiae et Mercurii del retore cartaginese Marziano Capella (IV - V secolo d. C.)
Filologia ha nascita terrena ma ha preso dalla madre Phronesis l’intento di salire alle stelle come riuscì a Omero e Orfeo. Filologia simbolizza l’umano capax dei. Quindi ella deve rappresentare l’insieme delle arti.
Filosofia è una “gravis insignisque femina”, dalla folta chioma, colei che intercede presso Giove perché il dio conceda agli uomini eccellenti “ascensus in supera”. Filologia dovrà sposare Mercurio, l’interprete che conduce a comprendere la Mente (nous). Tale comprensione sarà opus e labor di Filosofia la quale condurrà Filologia alla corte di Giove dove avverranno le nozze.
Per ascendere attraverso i circoli dei pianeti fino al sole, platonicamente chiamato “prima propago” dell’eccelsa potenza del padre inconoscibile, Filologia dovrà bere la bevanda dell’immortalità che Atanasia custodisce. Prima però deve vomitare “coactissima egestione” tutto ciò di cui è piena, ossia l’erudizione umana, troppo umana.
Poi quella nausea ac vomitio si trasforma in un’abbondanza di lettere, volumi che le Arti e le Muse raccolgono. Il sapere di Filologia diventa sapienza. “Passa, per così dire, da potenza ad atto soltanto allorché Filologia inizia il cammino con Filosofia in supera, soltanto nel momento in cui ella desidera ardentemente l’immortalità”[3].

Ora non vorrei che i giovani, suggestionati quali spettatori dai tanti ciarlatani saliti alla ribalta dove si spacciano per grandi bacalari[4], e incoraggiati per giunta come studenti da questa “semplificazione” della prova di maturità, quella che era massimo agone - ajgw;n mevgisto" - della scuola secondaria superiore, di fatto una riduzione al quasi niente proposta dalla ministra simplici mente, giungessero a svalutare lo studio e la scuola. Quando non funziona la scuola, l’ho detto e scritto diverse volte, non funziona più niente: dalle navi, agli aerei, alle banche, agli ospedali.
Bisogna comunque lottare perché la sostanza dell'umanesimo rimanga nella scuola italiana. E non solo nella scuola: "Si sa o si intuisce che quando il pensiero non è puro e vigile, quando la venerazione dello spirito non è più valida, anche le navi e le automobili incominciano presto a non funzionare, anche il regolo calcolatore dell'ingegnere e la matematica delle banche e della borsa vacillano per mancanza di valore e di autorità, e si cade nel caos (…) Erano tempi feroci e violenti, tempi caotici e babilonici nei quali popoli e partiti, vecchi e giovani[5], rossi e bianchi non s'intendevano più. Andò a finire che, dopo sufficienti salassi e un grande immiserimento, sempre più forte si fece sentire il desiderio di rinsavire, di ritrovare un linguaggio comune, un desiderio di ordine, di costumatezza, di misure valide, di un alfabeto e di un abbaco che non fossero dettati dagli interessi dei grandi, né venissero modificati a ogni piè sospinto. Sorse un bisogno immenso di verità e giustizia, di ragionevolezza, di superamento del caos" [6].

Temo per giunta che tanti mesi di interruzione dello studio serio, impegnativo e faticoso, ingenerino una assuefazione alla pigrizia da cui sarà molto difficile liberarsi
Vi cito a questo proposito alcune righe dall’Agricola di Tacito:
nunc [7] demum redit animus (…) natura tamen infirmitatis humanae tardiora sunt remedia quam mala, et, ut corpora nostra lente augescunt, cito extinguuntur, sic ingenia studiaque, oppresseris facilius quam revocaveris. Subit quippe etiam ipsius inertiae dulcedo, et invisa primo desidia postremo amatur " (3), ora torna finalmente uno stato d’animo buono. Tuttavia per natura della debolezza umana i rimedi sono più lenti dei mali, e, come i nostri corpi crescono con lentezza e si estinguono tosto, così gli ingegni e gli studi si possono più facilmente affondare che fare riemergere. Subentra infatti anche il piacere della stessa inattività e l’ozio, dapprima odiato, finisce con l’essere amato.
Un abbraccio a chi studia e impara.

Bologna 2 aprile, giovanni ghiselli


[1] Eschilo, Agamennone, 177
2 “ghravskw d j aijei; polla; didaskovmeno" (fr. 22 RD.), invecchio imparando sempre molte cose
3Massimo Cacciari, La mente inquietaSaggio sull’Umanesimo, cap. terzo Philosophica Philologia, p. 38.
[4] Cfr. Boccaccio, Decameron, 2, 5. Di fatto “era ruffiano della buona femmina”
[5] Oggi aggiungerei “maschi e femmine” (ndr).
[6] H. Hesse, Il giuoco delle perle di vetro, p. 33 e p. 368.
[7] Dopo la morte di Domiziano, con Nerva (96 - 98) il quale avrebbe associato la libertà al proprio potere di princeps. Traiano poi (98 - 117) avrebbe accresciuto ogni giorno la prosperità dei tempi.

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