Il coro rimpiange sqevno" h{bwn il vigore della giovinezza che gli avrebbe permesso di difendere i figli di Eracle; nu'n de; ajpoleivpomai-ta'" eujdaivmono" h{ba" (441-2), ma ora sono lontano dalla giovinezza beata.
Biasimi ed elogi della vecchiaia
La giovinezza corrisponde all’unica felicità possibile nella vita in molte occorrenze nella letteratura
Sentiamo Mimnermo
"Quale vita (bivo~), quale piacere (terpnovn), senza l'aurea Afrodite?
Vorrei essere morto, una volta che non mi importi più di questi beni,
l'amore furtivo e i dolci doni e il letto (eujnhv[1]):
che sono i soli fiori fugaci di giovinezza
per gli uomini e per le donne; poi quando sia giunta penosa
la vecchiaia che rende l'uomo turpe (aijscrovn) e insieme cattivo (kakovn),
sempre cattivi affanni lo consumano nell'animo,
e non prova piacere neppure alla vista dei raggi del sole,
ma è odioso (ejcqrov~) ai ragazzi, spregevole (ajtivmasto~) per le donne;
così tremenda rese la vecchiaia un dio". (distici elegiaci)
Più avanti, nel secondo stasimo, c’è un biasimo vecchiaia che grava sul capo dei vecchi compagni d'armi di Anfitrione come un carico più pesante delle rupi dell'Etna ("to; de; gh'ra" a[cqo"-baruvteron Ai[tna" skopevlwn-ejpi; krati; kei'tai" (Eracle, vv. 638-640).
La giovinezza invece è bellissima pure nella povertà (v. 648).
Se gli dèi avessero intelligenza e sapienza riguardo agli uomini donerebbero una doppia giovinezza come segno evidente di virtù a quanti la posseggono, e una volta morti, di nuovo nella luce del sole, percorrerebbero una seconda corsa, mentre la gente ignobile avrebbe una sola possibilità di vita (661-669).
Nel Miles gloriosus di Plauto si trova un locus similis : "itidem divos dispertisse vitam humanam aequom fuit: qui lepide ingeniatus esset, vitam ei longiquam darent, qui inprobi essent et scelesti, is adimerent animam cito" (vv. 730-732), parimenti sarebbe stato giusto che gli dèi distribuissero la vita umana: a colui che avesse un carattere amabile, dovrebbero dare una vita lunga, a quelli che fossero cattivi e scellerati, portargliela via presto.
Il terzo stasimo dell’ Edipo a Colono di Sofocle annuncia la sapienza silenica e maledice la vecchiaia:"Non essere nati (mh; fu'nai) supera/ tutte le condizioni, poi, una volta apparsi,/ tornare al più presto là/ donde si venne,/ è certo il secondo bene./ Poiché quando uno ha oltrepassato la gioventù/ che porta follie leggere (kouvfa" ajfrosuvna" fevron), /quale travagliosa disfatta resta fuori?/ Quale degli affanni non c'è?/Invidia, discordie, contesa battaglie,/ e uccisioni; e sopraggiunge estrema/ l'esecrata vecchiaia impotente (ajkrate;") ,/ asociale (ajprosovmilon), priva di amici (a[filon) /dove convivono tutti i mali dei mali"(vv.1224-1238).
Di questa maledizione della vecchiaia, possiamo trovare echi nella letteratura classica: un frammento[2] di Menandro dice:" o{n oiJ qeoi; filou'sin ajpoqnhvskei nevo"”, colui che gli dei amano, muore giovane".
Virgilio la chiama "tristisque senectus "(Eneide , VI, 275) mettendola in faucibus Orci (v.273), sulla bocca dell'Orco in compagnia di pianti, rimorsi vendicatori, pallidi morbi, e diverse altre presenze inamene.
Leopardi è un dichiarato nemico della vecchiaia: in Le Ricordanze del 1829 scrive:"E qual mortale ignaro/di sventura esser può, se a lui già scorsa/quella vaga stagion, se il suo buon tempo,/se giovanezza, ahi giovanezza, è spenta?"(vv.132-135). Quindi premette il verso di Menandro, come epigrafe, ad Amore e morte del 1832.
In Il tramonto della luna , del 1836, il poeta di Recanati poco prima di morire compone l'anatema definitivo dell'"età provetta": "estremo/di tutti i mali, ritrovàr gli eterni/la vecchiezza, ove fosse/incolume il desio, la speme estinta,/secche le fonti del piacer[3], le pene/maggiori sempre, e non più dato il bene"(vv.45-50).
Ebbene, a così forti biasimi vogliamo contrapporre qualche elogio della senilità cui tutti siamo avviati e alla quale arriveremo se non moriremo prima, forse schivando qualche incomodo, ma certamente perdendo parecchie occasioni, se non altre di "imparare molte cose", come ci ha insegnato Solone: “ghravskw d jaijei; polla; didaskovmeno"” (fr. 28 Gentili-Prato). E quindi consiglia a Mimnermo di cambiare quel verso dei sessant’anni e di cantare così: “ojgdwkontaevth moi'ra kivcoi qanavtou” (fr. 26 Gentili-Prato), il destino di morte mi colga ottantenne. Io andrei più in là: mi sembra solo l’età per cominciare a pensare alla pensione.
Cicerone nel De senectute (del 44 a. C.) compone l'elogio più articolato della vecchiaia, facendo dire a Catone ottantatreenne:"in moribus est culpa, non in aetate "(3), il difetto sta nei costumi, non nell'età; e la pena deriva dai sensi di colpa dovuti a una vita mal vissuta:"quia coscientia bene actae vitae multorumque benefactorum recordatio iucundissima est "(3), poiché la coscienza di una vita impiegata bene e il ricordo di molte buone azioni fatte sono fonti di dolcissima gioia.
Vengono portati esempi di vecchiaie vigorose e produttive: Platone che morì a ottant'anni "scribens ", scrivendo ancora, Isocrate che a novantatré anni compose il Panatenaico, poi visse altri cinque anni, e il suo maestro Gorgia che compì centosette anni, studiando e lavorando, tanto che disse:"Nihil habeo quod accusem senectutem "(5) non ho niente da rimproverare alla vecchiaia. Insomma, secondo Cicerone, c'è una montatura negativa nei confronti dell'età avanzata. Gli indebolimenti, almeno quelli mentali, sono dovuti alla mancanza di esercizio."At memoria minuitur ", ma la memoria diminuisce; ebbene a questa obiezione-luogo comune degli imbecilli, l'autore risponde:"credo, nisi eam exerceas, aut etiam si sis natura tardior ", lo credo, se non la si esercita, o anche se sei piuttosto stupido di natura.
Poi fa l'esempio di Sofocle che"ad summam senectutem tragoedias fecit ", compose tragedie fino alla vecchiaia estrema, e anzi si difese dall'accusa di demenza senile contestatagli da un figlio che voleva venisse interdetto, leggendo l'Edipo a Colono scritta da poco, ai giudici che naturalmente lo assolsero a pieni voti (7).
Poco più avanti (8) il De senectute ricorda anche Solone "qui se cotidie aliquid addiscentem dicit senem fieri ", che dice di diventare vecchio imparando ogni giorno qualche cosa; non solo, ma a Pisistrato che gli domandò in che cosa confidasse per opporsi a lui con tanta audacia, il vecchio legislatore rispose "senectute ", nella vecchiaia (20).
I piaceri che scemano poi sono quelli volgari del corpo: “epularum aut ludorum aut scortorum voluptates” , dei banchetti o dei giochi o delle prostitute (14) certo non paragonabili a quelli dello spirito che invece crescono. Quanto alle solite accuse di essere bisbetici (morosi ), ansiosi (anxii), iracundi , difficiles, avari, questi sono difetti dei caratteri, non della vecchiaia:"sed haec morum vitia sunt, non senectutis "(18).
Nel campo della commedia, continua Cicerone, basta guardare i due fratelli degli Adelphoe di Terenzio:"quanta in altero diritas, in altero comitas! ", quanta durezza nell'uno (Demea), dolcezza nell'altro (Micione)! Anche la vicinanza della morte non è terrificante, infatti"omnia quae secundum naturam fiunt sunt habenda in bonis", tutto quello che avviene secondo natura deve essere considerato tra i beni (19).
E noi uomini:"in hoc sumus sapientes, quod naturam optimam ducem tamquam deum sequimur eique paremus ", in questo siamo saggi che seguiamo la natura ottima guida come un dio, e le obbediamo, aveva già detto Catone nel prologo del De senectute (2).
J. Hilman è d’accordo con Cicerone: “I fatti dimostrano che, invecchiando, io rivelo più carattere, non più morte”[4].
Purtroppo non possiamo soffermarci oltre sull'argomento, che mi sta a cuore, anche per ragioni anagrafiche oramai, però voglio menzionare un moderno: Italo Svevo nella cui opera, il protagonista di Senilità , Emilio Brentani, è un trentacinquenne dall'anima stanca, mentre la vecchiaia anagrafica di altri personaggi è, come nota Magris ne L'anello di Clarisse (p.198):" libertà dall'obbligo di attestare a se stessi e agli altri il proprio valore, la propria capacità e vitalità".
Alla fine del primo stasimo dell’Eracle, il coro annuncia l’ingresso in scena dei figli di Eracle nelle loro vesti di morte (443) condotti da Megara che li trascina stretti ai suoi piedi e seguiti da Anfitrione
Pesaro 26 luglio 2022 ore 10, 53
giovanni ghiselli
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