Nietzsche La nascita della tragedia, capitolo XIX (pp. 124-133)
La cultura socratica si può anche chiamare cultura dell’opera. Innanzitutto Nietzsche ricorda lo stile del recitativo dei melodrammi. Il cantante più che cantare parla accentuando il pathos. Il recitativo è la mescolanza dell’esposizione epica e di quella lirica, una conglutinazione però del tutto esteriore, come un mosaico. Gli inventori del recitativo credettero di svelare con quello stilo rappresentativo il mistero della musica antica, quello di un Orfeo o di un Anfione.
Si considerò quello stile la rinascita della musica greca. Il recitativo fu considerato il linguaggio riscoperto dell’uomo primitivo idillicamente o eroicamente buono. Ma la genesi di questa nuova forma d’arte è la soddisfazione di un bisogno non estetico, ossia la volontà di concepire come buono l’uomo primitivo.
L’opera è edificata sugli stessi principi della cultura alessandrina, è un prodotto dell’uomo teoretico, del critico profano, non dell’artista. Che si debba capire la parola è una pretesa degli ascoltatori non musicali. E’ rozza l’opinione che la parola debba prevalere.
Invero la cultura greca nel IV secolo divnts assolutamente logocentrica.
L’uomo colto del Rinascimento si fece ricondurre alla tragedia greca da questa sua cultura operistica[1].
L’uomo idillico, il pastore che eternamente canta deriva dall’ottimismo che ha come base la cultura socratica poi di lì degenera ancora esalando un profumo dolciastro. Dall’opera dunque deriva il facile piacere per una realtà idillica, ma si tratta di uno sciocco baloccarsi. L’opera è un essere bamboleggiante che deriva dalla serenità alessandrina e non ha nulla a che vedere con la terribilità della natura.
Il mondo parassitario dell’opera non è nutrito dai succhi dell’arte vera. L’uomo eschileo sta alla serenità alessandrina, come l’opera moderna alla tragedia. Eppure nell’epoca attuale sta risvegliandosi lo spirito dionisiaco. Eracle non è rimasto per sempre infiacchito nella voluttuosa soggezione a Onfale[2] (cfr. Trachinie, v. 70).
Nelle Trachinie di Sofocle, Illo dice alla madre Deianira che Eracle, padre e marito dei due,” la scorsa stagione per tutto il tempo ha faticato al servizio di una donna di Lidia-Ludh`/ gunaikiv fasiv nin lavtrin ponei`n (v. 70).
Dal fondo dionisiaco dello spirito tedesco è uscita una forza terribile e inesplicabile per la cultura socratica: la musica tedesca dal potente corso solare: da Bach a Beethoven a Wagner.
E’ un demone che scaturisce da insondabili profondità e il socratismo non può batterlo partendo dai merletti e dagli arabeschi della melodia operistica. Dalla stessa sorgente della musica tedesca deriva la filosofia di Kant e di Schopehauer che è la sapienza dionisiaca espressa in concetti.
Ora sembra che procediamo in ordine inverso rispetto ai Greci: dall’età Alessandrina al periodo della tragedia. Lo spirito tedesco ora può presentarsi davanti ai popoli ardito e libero senza la briglia di una civiltà romanza, purché sia disposto a imparare dai Greci, imparare dai quali è già un’alta gloria e una rarità che distingue (p. 133).
Goethe Schiller e Winckelmann hanno condotto una nobilissima lotta per la cultura.
Winckelmann nella Storia dell’arte dell’antichità (1764) ha dato all’arte greca i predicati di edle Einfalt und stille Grösse, nobile semplicità e quieta grandezza.
Tuttavia gli sforzi di molti per giungere al nocciolo della cultura greca non sono efficaci. Si sente una retorica priva di effetto sull’armonia greca, la bellezza greca, la serenità greca.
La cultura degli istituti superiori va scemando ed è il giornalista il cartaceo schiavo del giorno che riporta la vittoria sull’insegnante superiore il quale oramai si muove anch’egli nell’eloquio giornalistico.
Leopardi nella Palinodia al marchese Gino Capponi, scrive: “viva rifulse/agli occhi miei la giornaliera luce/delle gazzette” (vv. 18-20).
Nella lettera a Pietro Giordani del 16 gennaio 1818, il Recanatese scrive: “né io sarò meno virtuoso né meno magnanimo (dove ora sia tale) perché un asino di libraio non mi voglia stampare un libro, o una schiuma di giornalista parlarne”.
Una cultura così debole odia la vera arte poiché da essa vede la sua fine . Eppure la debole e gracile cultura attuale è l’esaurimento di quella socratico-alessandrina. Nemmeno Goethe e Schiller riuscirono a forzare la porta stregata che conduce alla montagna incantata ellenica, non sono andati oltre il nostalgico sguardo che l’Ifigenia goethiana manda dalla barbarica Tauride alla patria oltre il mare. Ma la musica tragica è risorta. Solo nella rinascita dell’antichità ellenica troviamo la speranza per un rinnovamento e una purificazione dello spirito tedesco attraverso la magia di fuoco della musica (p. 136)
Nella cultura attuale c’è solo polvere, sabbia, irrigidimento. Schopenhauer, cui mancò ogni speranza, che volle la verità. è paragonabile al Cavaliere con la morte e il diavolo di Dürer (incisione a bulino del 1513) imperturbato dai suoi orrendi compagni, solo col destriero e il cane.
La magia dionisiaca però afferra come un turbine tutto ciò che è spento, marcio, rotto, appassito, e come un avvoltoio lo porta in alto. In mezzo a questa sovrabbondanza di vita, di dolore, di piacere, c’è la tragedia che narra delle Madri dell’essere.
Il tempo dell’uomo socratico è finito: inghirlandatevi di edera, prendete in mano il tirso e non meravigliatevi se la tigre e la pantera si accovacciano carezzevolmente ai vostri piedi.
Su Kant, Nietzsche cambierà idea: “Del resto Solone può fare parte dei “veri filosofi che sono dominatori e legislatori”. I vari Kant e Hegel sono “operai della filosofia” i quali “ hanno il compito di accertare e ridurre in formule una vasta gamma di valutazioni”[3].
In Crepuscolo degli idoli o come si filosofa col martello (del 1888), Nietzsche scrive: “La mancanza di realismo, la fuga dalla realtà è decadenza:"Separare il un mondo "vero" dal un mondo "apparente", sia alla maniera del cristianesimo, sia alla maniera di Kant (in ultima analisi, uno scaltro cristiano), è soltanto una suggestione della décadence - un sintomo di vita declinante…L'artista tragico non è pessimista-egli dice precisamente sì anche a tutto quanto è problematico e orrido, egli è dionisiaco"[4].
Quindi: “Eraclito avrà eternamente ragione in questo, che l’essere è una vuota finzione. Il mondo “apparente” è l’unico: il “mondo vero” è soltanto un’aggiunta menzognera”[5] .
Pesaro 19 luglio 2022- ore 9, 35
giovanni ghiselli
[1] L’opera nasce alla fine del Cinquecento nella Camerata fiorentina.
[2] Antenata di Candaule secondo Erodoto che però la considera una schiava lidia . Dalla unione di questa donna con Eracle sarebbe scaturita la stirpe degli Eraclidi terminata con Candaule (Storie, I, 7)
[3] Di là dal bene e dal male, Noi dotti.
[4] Crepuscolo degli idoli, La “ragione nella filosofia”, 6.
[5] Crepuscolo degli idoli, La “ragione nella filosofia”, 2.
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