Attualità
dell'Edipo re: da Sofocle a Visconti,
Fellini e Mastroianni.
Si può inserire sotto i vv. 878 e sgg.
Ovidio in
Amores (I,15,15) predice che alla tragedia di Sofocle il tempo non porterà
alcun danno:"Nulla Sophocleo veniet
iactura cothurno ". I secoli gli hanno dato ragione. Per quale motivo la lettura dell'Edipo
re sofocleo è ancora oggi proficua, produttiva di idee e sentimenti? Non solo
perché è un'opera densa di significati molteplici e tuttora vivi, ma anche per
il fatto che parla di noi tutti e arricchisce l'autocoscienza di ciascuno.
Werner
Jaeger in Paideia (I vol. p. 482)
afferma che l'idea della misura greca si può contemplare come da una vetta
collocandosi sul punto dove è Sofocle. Ebbene, tale misura è quella delfica del
"nulla di troppo" e del "conosci te stesso"; è
l'ingrandimento dell'Io a spese dell'Es, che, per dirla con Freud, va
bonificato al pari di una palude; è il pio riconoscimento di una giustizia
insita nelle cose, e, in definitiva, è il reperimento dell'armonia tra se
stessi e la vita: valori da considerare eterni.
Leggiamo
alcune parole di Freud"Rafforzare l'Io rendendolo più indipendente dal
Super Io, ampliare così il suo campo percettivo e perfezionare la sua
organizzazione, così che possa annettersi nuove zone dell'Es, è il compito
della psicoanalisi: dove era l'Es deve subentrare l'Io. E' un'opera di civiltà,
come, ad esempio, il prosciugamento dello Zuiderzee"[1].
Viceversa,
come scriveva Oscar Wilde In carcere et vinculis :" Il vero
stolto, quello che gli dèi scherniscono o riducono in rovina, è colui che non
conosce se stesso"[2].
Un
poeta tanto più è universale, quanti più persone e situazioni umane la sua
opera abbraccia e comprende, quanto più profonde sono le caverne dell'anima
nelle quali si interna. Questo dramma
possiede la forza di condurre chi lo ascolta, o lo legge, a inabissarsi in se
stesso, come può fare un sogno molto denso di significati, rappresentato però
con chiarezza apollinea. E' il massimo pregio di Sofocle e dell'Edipo re.
Ma ci sono altri aspetti che possono andare
incontro ai bisogni spirituali dei giovani e dei non giovani. C'è la lotta
dell'anima religiosa contro la sofistica. Questa tendeva a screditare, smontare
o abbattere tutti i monumenti della tradizione sacra, cominciando dagli oracoli attraverso i quali
il popolo devoto sentiva pullulare il numinoso e risuonare la volontà degli dei
intesa a dare una forma e un significato alla vita umana altrimenti caotica e
insensata.
Il poeta tradizionalista ingaggia una
battaglia contro il relativismo gnoseologico diffuso tra gli intellettuali come
Protagora che influivano pure sulla direzione politica della città. All'uomo
misura di tutte le cose, e dunque sfrenato nel proprio arbitrio, Sofocle
contrappone il punto fermo della fede negli dei olimpi che non possono
tramontare né invecchiare senza che il mondo ripiombi nel caos primordiale. Per
lui, misura di tutte le cose è Dio. Tale idea del resto si può trovare in
autori religiosi di altri tempi e di altri luoghi. Tolstoj, in Guerra e pace (p. 1607) scrive:"
Per noi, con la misura del bene e del male dataci da Cristo, non esiste nulla
di incommensurabile e non c'è grandezza là dove non c'è semplicità, bene,
verità".
Certamente il poeta di Colono non poté
cambiare il corso della storia, però ebbe l'ardire di nuotare contro le onde
della moda culturale del suo tempo. La parabola della religione olimpica di
fatto era in fase discendente, ma il bisogno del sacro è insopprimibile
nell'uomo, e l' Edipo re, ancora
oggi, dà voce a questa esigenza, indicando con dito teso le nefandezze cui può
giungere l'intelletto quando presume troppo di sé, e, gonfio di vano orgoglio,
soffoca la vita con la dialettica atea e
con i sofismi.
Il tiranno Edipo è l'antieroe esemplare
dell'individuo che, fidando ciecamente nella propria intelligenza, produce una
dicotomia tra la sua esistenza effimera e la vita eterna del cosmo significata
da oracoli e profeti. Il figlio di Laio fallisce per l’angustia della propria visione mentale
che si allargherà solo in un secondo tempo, in seguito alla perdita del potere e della superbia derivata
dai suoi orpelli ingannevoli, e, paradossalmente, anche a quella della vista
oculare. Allora il despota, degradato a mendicante, comprenderà che nella fase
dei presunti successi, quando credeva di capire tutto e di arrivare dovunque
volesse, aveva danneggiato la natura e offeso la vita. A questa affermazione
colpevolista si può obiettare che Edipo ha ucciso il padre e sposato la madre
senza saperlo. Supporto autorevole a tale difesa è un passo della Poetica (1453a), dove Aristotele dice che il
protagonista del nostro dramma è tale da suscitare pietà e terrore, e dunque
funziona bene nell'ingranaggio tragico, in quanto si trova in condizione atroce
senza essersela meritata completamente, e piomba sì nell'infelicità con
peripezia precipitosa, ma solo per un qualche errore, di j aJmartivan tinav, un difetto
piuttosto intellettuale che morale.
Noi riteniamo che Sofocle abbia voluto denunciare
entrambe le carenze del protagonista: quella etica e quella mentale, le quali
del resto coincidono. Il ragazzo che si allontana da Corinto misurandone la
distanza con le stelle (v.795) ha perpetrato comunque una strage ammazzando
quattro uomini, tra i quali un anziano che per giunta gli assomigliava (v. 743)
insomma reagendo a una spinta del
guidatore e a un colpo del vecchio con
spropositato puntiglio omicida. Così il trovatello "piedone",
divenuto principe di Corinto, e poi vagabondo, ha imbrattato la madre terra con
il sangue delle sue creature e l'ha offesa, per la simpatia organica che la
lega a queste. Già Eschilo nell'Orestea aveva proclamato che il sangue, soprattutto
se di un genitore, versato al suolo non si raccatta né si riscatta ( Eumenidi vv.260 e sgg.); che vana è la
fatica di spargere tutti i libami per cancellare una goccia sola di sangue (Coefore
vv.520-521); e che il nero sangue di un uomo, una volta caduto sulla
terra, nessuno può chiamarlo indietro con incantesimi (Agamennone vv.1019-1021).
Sulla stessa linea si trova il Manzoni quando, nelle Osservazioni sulla morale cattolica (cap. VII) scrive:" Il sangue di un uomo
solo, sparso per mano del suo fratello, è troppo per tutti i secoli e per tutta
la terra".
I delitti di Edipo dunque continuano a
girare nel mondo finché egli non viene confutato dalla umiliazione di quel suo
intelletto orgoglioso e violento il quale aveva osato proclamare la propria
superiorità nell'indipendenza dai segni del cielo e della terra che i vati invece
considerano divini.
Uno dei centri ideologici del dramma è
costituito dai versi 396-398:"arrivato io ejgw; molwvn,/ Edipo, che non sapevo nulla, la feci
cessare e[pausav
nin/
azzecandoci con l'intelligenza e senza avere imparato nulla dagli uccelli gnwvmh/ kurhvsa" oujd j ajp j oijwnw'n maqwvn -".
Sofocle vuole insegnarci che la vita umana
in disarmonia rispetto al ritmo di
quella cosmica, prima si inalbera in convulsioni atroci, poi diviene identica
al nulla (v.1188).
Egli è abilissimo nel condurci passo dopo
passo fino alla soluzione del mistero che avvolge la città di Tebe: questa ha
un ottimo re, paterno e generoso verso i sudditi che lo considerano, se non
proprio uguale agli dei (v.31), certamente il primo degli uomini (v.33), eppure
soffre di peste e sterilità, i mali che solitamente toccano alle comunità
dominate da un capo cattivo la cui nequizia si riverbera sulla sua gente. Si
tratta di un tovpo" letterario già
presente e vivo nell'Odissea: :"h\ gavr seu klevo" oujrano;n eujru;n ijkavnei,-
w{" tev teu h] basilh'o" ajmuvmono", o{" te qeoudh;"-
ajndravsin ejn polloi'si kai; ijfqivmoisin ajnavsswn- eujdikiva"
ajnevch/si, fevrh/si de; gai'a mevlaina-purou;" kai; kriqav",
brivqh/si de; devndrea karpw'/,- tivkth/ d& e[mpeda mh'la, qavlassa de; parevch/
ijcqu'"- ejx eujhgesivh", ajretw'si de; laoi; uJp j aujtou'.", ché la tua fama l'ampio cielo raggiunge,/ proprio come
quella di un re irreprensibile che timoroso di dio,/ regnando su uomini
numerosi e gagliardi,/ tenga alta la giustizia; allora produce la nera
terra/frumento e orzo, e si piegano gli alberi per i frutti,/ e figliano
costantemente le greggi, e il mare gli porge i pesci,/ in seguito al suo buon
governo, prospera il popolo sotto di lui (XIX,108-114).
E’ Odisseo che parla a Penelope prima di
farsi riconoscere.
Nel poema Opere e giorni di Esiodo
(vv.240-244) troviamo l’altro lato di questa medaglia.
Il
lettore, o lo spettatore, anche solo mediamente colto, sa bene che pure nel
caso di Tebe sconciata,"la mala condotta/ è la cagion che il mondo ha
fatto reo".
Ho citato anche Dante (Purgatorio XVI,103-104) per spiegare Sofocle, con l'intenzione di
significare che la sintesi del poeta di Colono influenza, direttamente o
indirettamente, i successivi monumenti
letterari, in quanto tutta la letteratura europea, come dice bene T. S. Eliot,
da Omero in avanti ha un'esistenza simultanea grazie ad autori i quali
utilizzano la tradizione apportandovi il loro contributo e consegnandola ai
successivi rinnovata e arricchita. L'atteggiamento morale del capo (il cardinal
Federigo Borromeo) verso i sudditi è definito bene da Manzoni nel ventiduesimo
capitolo di I Promessi Sposi :" Ma egli, persuaso in cuore di ciò che
nessuno il quale professi cristianesimo può negar con la bocca, non ci
esser giusta superiorità d'uomo sopra gli uomini, se non in loro servizio,
temeva le dignità..."
La storia di Edipo è già presente nel canto
dei morti dell'Odissea, l'undicesimo
(vv.271-280). La versione del mito però in Omero è differente, a cominciare dal
nome della madre-moglie che si chiama Epicasta. Tale diversità fa venire in
mente la grande madre mediterranea, quella che il Prometeo incatenato di
Eschilo chiama:
pollw'n ojnomavtwn morfh; miva (vvv.210), una sola forma di molti nomi.
E. Fromm in Il linguaggio dimenticato
considera il parricida Edipo, e Giocasta, quali rappresentanti di quella
civiltà matriarcale, antiautoritaria, antistatale, che viene faticosamente
sconfitta dalla seguente cultura patriarcale, foriera del principio di autorità
impersonato da Creonte. In questo conflitto, il desiderio sessuale del figlio
per la madre non entra: "Nel mito non vi è indizio alcuno che Edipo sia
attratto o si innamori di Giocasta"(p.192). L'interpretazione dello
psicoanalista americano è fondata sulla lettura di parti del Mutterrecht di Bachofen, contaminate con
l'Estetica di Hegel, e polemizza con quella di S. Freud il quale sostiene che in
parecchi miti di vari popoli, l'eroe è il giovane che sopravvive alla
malevolenza del padre, quindi lotta contro di lui per il possesso della madre
fino ad uccidere l'aborrito rivale, realizzando così il desiderio inconscio di
tutti i maschi.
Ma vediamo alcune parole di L'interpretazione
dei sogni :"Il destino
di Edipo ci commuove perché sarebbe potuto diventare anche il nostro, perché
prima della nostra nascita l'oracolo ha decretato la medesima maledizione per
noi e per lui. Forse a noi tutti era dato in sorte di rivolgere il primo
impulso sessuale alla madre, il primo odio e il primo desiderio di violenza
contro il padre: i nostri sogni ce ne danno la convinzione. Il re Edipo che ha
ucciso suo padre Laio e sposato sua madre Giocasta, è soltanto l'appagamento di
un desiderio della nostra infanzia (...) Davanti alla persona in cui si è
compiuto quel desiderio primordiale dell’infanzia indietreggiamo inorriditi,
con tutta la forza della rimozione che questi desideri hanno subito da allora
nel nostro intimo"(p.248).
Sofocle è dunque da un lato poeta
arcaicizzante e omerida siccome ripropone uomini disposti ad affrontare
l'estrema rovina pur di non cedere alla pressione della norma e di salvare la
propria identità minacciata, o anche solo di conoscerla; dall'altro offre spunti e suggerimenti agli autori dei secoli
successivi. Molti ne ho indicati nel commento al testo, e uno ne voglio
aggiungere in questa parte conclusiva: come Edipo trova la sua dimensione
positiva nella passività di Colono, dopo avere fatto soffrire e avere sofferto
assai nella fase dell'attività sconsiderata, così Giovanni Drogo in Il deserto dei Tartari di Buzzati
scopre"l'ultima sua porzione di stelle"(p.250) e sorride nella stanza
di una locanda ignota, completamente solo, mangiato dal male, accettando la più eroica delle morti, dopo
avere sperato invano, per decenni, di battersi"sulla sommità delle mura,
fra rombi e grida esaltanti, sotto un azzurro cielo di primavera". Invece
il suo destino si compie al lume di una candela, dove"non si combatte per
tornare coronati di fiori, in un mattino di sole, fra i sorrisi di giovani
donne. Non c'è nessuno che guardi, nessuno che gli dirà bravo".
Del resto gli eroi della passività nella
letteratura moderna sono tanti, da Oblomov di Gončarov, a Zeno di Svevo, per dire solo i più noti, e il
prototipo può essere considerato l'Edipo
a Colono del quale Nietzsche ne La
nascita della tragedia (p.67) scrive:" L'eroe
raggiunge appunto nell'attitudine puramente passiva la sua attività suprema, la
quale continua ad agire molto al di là della sua stessa vita, mentre il
cosciente tendere e sforzarsi della sua
vita precedente lo ha condotto solo alla passività".
La soluzione positiva si trova nell'ultimo
dramma, quando il cieco comprenderà di avere agito senza l'uso supremo della
coscienza (cfr. Edipo a Colono,
vv.266-267:" ejpei;
tav g j e[rga mou-peponqovt j ejsti;
ma'llon h] dedrakovta", le mie
azioni piuttosto che compierle io le soffersi"), e allora gli dei che lo
avevano abbattuto, lo rimettono in piedi (v.394).
Il
lunatic king Shakespeare dirà parole simili: E il lunatic kung: “I am a man/more sinned against than sinning”
(King Lear, III, 2), io sono un uomo
contro il quale si è peccato , più che un peccatore
Non so se Buzzati conoscesse Edipo. E'
probabile. Sono certo però che la poesia di Sofocle è un momento cruciale della
letteratura europea, è una di quelle grandi arterie dove passa la corrente
sanguigna della nostra civiltà, e non è possibile ignorarla senza anemia
culturale.
Nel Satyricon
il poeta Eumolpo afferma la necessità di
una cultura letteraria assai ampia e profonda per il raggiungimento di
risultati significativi :"ceterum neque generosior spiritus vanitatem
amat, neque concipere aut edere partum mens potest nisi ingenti flumine
litterarum inundata" (118, 3), del resto uno spirito di razza non ama
il vuoto, né una mente può concepire o produrre un'opera se non è inondata
dall'ampio fiume della letteratura
In occasione della morte di Federico
Fellini, rivisitando Otto e mezzo con la sensibilità attizzata dai drammi di
Sofocle, ho notato un'accettazione edipica del destino e di se stesso anche
nelle parole conclusive del protagonista del film, il regista Guido, alter ego del maestro riminese:"Tutto
é di nuovo confuso. Ma questa confusione sono io; io come sono, non come vorrei
essere". In questi giorni di correzione delle bozze è morto anche Marcello
Mastroianni cui voglio rendere omaggio come a un grande interprete di caratteri
e a un uomo umano e classico poiché amava il bello con semplicità.
L'Edipo re
dunque serve a interpretare
con qualche consapevolezza non pochi fatti della vita, privata e politica: le
angosce personali, i meccanismi del potere, l'ascesa più o meno irresistibile e
la caduta ineluttabile di uomini
arroganti, che, come il re di Tebe, sono stati portati su alti fastigi dalla
miseria dei tempi e dalla loro stessa tracotanza, ma poi sono precipitati nella
necessità scoscesa (ajpovtomon
eij" ajnavgkan v. 877).
Anticipo questa conclusione sul significa
dell’Edipo di Sofocle
“Oedipus is great, not in virtue of a great wordly
position-for his wordly position is an illusion which will vanish like a dream-
but in virtue of his inner strength: strength to pursue the truth at whatever
personal cost, and strength to accept and endure it when found. “This horror is
mine’, he cries, ‘and none but I is strong
enough to bear it (1414).
Oedipus is great because he accepts the responsibility
of all his acts, including those
which are objectively most horrible, though subjectively innocent. To me
personally Oedipus is a kind of symbol of the human intelligence which cannot
rest until it has solved all the riddles-even the last riddle, to which the
answer is that human happiness is built on an illusion (…) Certainly in the
last lines of the play (which I firmly believe to be genuine) he does
generalize the case, does appear to suggest that in some sense Oedipus is every
man and every man is potentially Oedipus. Freud felt this (he was not
insensitive to poetry), but as we know he understood it in a specific psycological
sense.”[3]
Edipo è grande, non in virtù di una grande
posizione nel mondo-poiché la sua posizione mondana è un’illusione che svanirà
come un sogno.- ma in virtù della sua forza interiore: la forza di perseguire
la verità a qualunque costo personale, e la forza di accettarla e sopportarla
quando essa è stata trovata.
“Questo orrore è mio-egli grida. E nessuno
tranne me è forte abbastanza da sostenerlo.
Edipo è grande poiché egli accetta tutta la
responsabilità dei suoi atti, incluso quello che è obbiettivamente il più
orribile, benché soggettivamente innocente, secondo me Edipo è una specie di
simbolo dell’intelligenza umana che non può fermarsi finché non ha risolto
tutti gli enigmi, anche l’enigma estremo, la cui risposta è che la felicità
umana è costruita su un’illusione (…) Certamente gli ultimi versi della
tragedia –che io credo sicuramente autentici- egli generalizza il caso e sembra
suggerire che in un certo senso Edipo è pgni uomo e ogni uomo è Edipo. Freud ha
sentito questo( egli non era insensibile alla poesia) ma ecome sappiamo egli lo
ha compreso nel particolare significato psicologico.
Aggiungo
che Sofocle con Edipo insegna non solo a capire attraverso il dolore, come ha
già fatto Eschilo, ma a ribaltare la svetura in uno strumento di progresso, di
crescita, addirittura di beatificazione
Bologna 2 giugno 2022 ore 10, 35
giovanni ghiselli
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