Primo episodio da verso 140 a 235
Lico vuole interrogare il padre e la consorte di Eracle, e afferma di poter indagare a suo piacimento ( iJjstorei'n a} bouvlomai, 142) poiché è il loro padrone (despovth", 141). Il tiranno di Tebe sentenzia la loro morte: non hanno alcuna speranza, anche se si vantano. Eracle giace nell’Ade. Soffrono ujpe;r th;n ajxivan, 147, oltre i loro meriti per il fatto che devono morie: infatti non meritano di vivere.
Anfitrione sparge kovmpou" kenouv" vuote millanterie (148): che Zeus sia tuo compagno di nozze suvggamov" soi Zeuv" (149), e condivisore del figlio tevknou koinewvn. Pure Megera millanta dato che si è fatta chiamare la sposa dell’eroe ottimo (ajrivstou fwto;" ejklhvqh" davmar, 150)
Segue la svalutazione delle imprese di Eracle che ha solo ammazzato una serpe di palude (u{dran e{leion, 152), o la bestia di Nemea. Sono le prime due imprese di Eracle, compiute in Argolide. Eracle ha preso il leone di Nemea con dei lacci ejn brovcoi" (153), mentre dice di averlo ucciso strangolandolo con le braccia bracivono" ajgcovnaisin (154).
La caccia.
Platone alla fine del VII libro delle Leggi prende in considerazione la caccia "come una forma legittima di paideia...affermando l'alto valore di questa attività per la formazione del carattere"[1].
Il filosofo del resto fa delle distinzioni nell' ampio ambito semantico indicato dalla parola qhvra “caccia”. E' positiva solo quella che rende completamente migliori le anime dei giovani (823d), dunque non la caccia oziosa con la rete, né la pesca, né la caccia agli uccelli alati.
La cattura di un animale deve essere la vittoria di un'anima che ama il faticoso lavoro, altrimenti non è degna di lode (824 a): dunque rimane, migliore e sola, la caccia ai quadrupedi, con i cavalli, con i cani, con le proprie forze fisiche, cose tutte queste su cui dominano i cacciatori che cacciano di propria mano, correndo, colpendo. Positivo e sacro è questo cacciatore-corridore; negativo è il cacciatore notturno che confida nei suoi lacci e nelle sue reti.
Platone in definitiva considera la caccia un mezzo per temprare il carattere.
Si può immaginare come considererebbe il cacciatore armato di fucile! "Nel vietare l'uso di reti e trappole il codice di caccia platonico va anche al di là di quello di Senofonte"[2].
Nel Cinegetico di non sicura autenticità senofontea leggiamo che la caccia rende anche equilibrati e giusti in quanto si tratta di un’educazione nella realtà: “dia; to; ejn th`/ ajlhqeiva/ paideuvesqai” (XII, 8). Inoltre l’esercizio venatorio abitua alla fatica, il che significa preparazione al sacrificio per la salvezza della patria. Gli uomini migliori sono oiJ qevlonte~ ponei`n (XI, 18), quelli che hanno voglia di affrontare fatiche.
Un autore nostro che raccomanda la caccia al principe come "esercizio della guerra" è Machiavelli:"E quanto alle opere, oltre al tenere bene ordinati et esercitati li sua, debbe stare sempre in sulle caccie, e mediante quelle assuefare el corpo a' disagi". Il che non toglie niente all'esercizio intellettuale:"Ma, quanto allo esercizio della mente, debbe el principe leggere le istorie, et in quelle considerare le azioni delli uomini eccellenti"[3].
Svalutazione dell’arco e dell’arciere
Eracle-continua Lico- non ha mai impugnato una lancia o messo al braccio uno scudo ma con l’arco in pugno tox j(a) e[cwn, l’arma più vile (kavkiston o{plon, 161), era pronto alla fuga (th'/ fugh'/ provceiro" h\n, 161).
Il vero guerriero è l’oplita che mevnwn, a pie’ fermo, saldo nella sua schiera, osserva e fissa il solco veloce della lancia. Forse con riferimento alla mietitura.
Nell’Iliade l’arciere disprezzato è Paride. Colpisce Diomede al piede destro e ne trae vanto, ma il Tidide lo chiama toxovta parqenopi'pa (vocativo di parqenopivph", XI, 385, arciere che adocchia le ragazze-ojpipeuvw, tengo d’occhio. Mi hai solo graffiato e non me ne curo come se mi avesse colpito una donna o un bambino sciocco. Il dardo di un vigliacco è debole, mentre la mia asta fa subito un morto.
Già Ettore aveva insultato Paride chiamandolo Duvspari, ei\do" a[riste, bellimbusto, gunaimanev", donnaiolo, hjperopeutav, seduttore, privo di forza e di valore (Iliade III, 39 sgg. E glielo ripete a XIII, 769)
Paride la seconda volta risponde che non si merita i rimproveri, la prima chiede a Ettore di non rinfacciargli i doni dell’amabile Afrodite, lui, Ettore, ne ha avuti altri e nessuno può sceglierseli.
Lico procede dicendo che la sua decisione di uccidere ha della prudenza (eujlavbeian), non sfrontatezza (ajnaivdeian) poiché dopo avere ammazzato Creonte teme che i figli di Megara cresciuti diventino timwrouv" (168) vendicatori del nonno.
Anfitrione risponde che Zeus respingerà l’accusa di viltà rivolta a Eracle: deiliva è tra le parole infami, indicibili (–ejn ajrrhvtoisi, 174) per Eracle, e lo possono testimoniare gli dèi che sono stati aiutati contro i Giganti e l’altopiano del Foloe in Arcadia dove il quadrupede oltraggio- tetraskelev" u{brisma 181- la razza dei Centauri venne sconfitta dall’eroe. Il monte Dirfi dell’Eubea da dove viene Lico non può dare la stessa testimonianza.
Valutazione dell’arco e dell’arciere.
Poi Anfitrione fa la difesa dell’armatura sagittaria to; pavnsofon eu{rhma, l’invenzione più ingegnosa. L’oplita ha solo la lancia, e, spezzata quella, è perduto. Lo è anche se i suoi compagni di schiera sono vili.
L’arciere ha molte frecce con le quali può colpire a distanza e respingere i nemici-ejka;" ajfestw;" polemivou" ajmuvnetai (198). La cosa più ingegnosa in battaglia sofo;n mavlista, è salvare la vita sw/vzein to; sw'ma facendo del male ai nemici drw'nta polemivou" kakw'" (202).
Gli arcieri a Sfacteria
Gli Ateniesi avevano occupato Pilo e gli Spartani avevano sbarcato 420 olpiti a Sfacteria nell’estate del 425 di fronte alla baia di Navarino. Il più valoroso tra gli Spartani era il trierarco Brasida (Tucidide IV, 11, 4) ma rimase ferito.
Cleone, incalzato da Nicia e dalla folla, promise di partire per Pilo portando con sé peltasti e arcieri. (peltasthv" è il fante armato con uno scudo leggero, pevlth-h"-hJ)
Gli Ateniesi ridevano per queste vanterie (IV, 28)
Cleone scelse come collega Demostene tra gli strateghi di Pilo. Lo cooptò perché aveva saputo che intendeva sbarcare nell’isola (IV, 29, 2). Gli era venuta nuova fiducia da un incendio a Sfacteria. Prima temeva che la boscosità e l’assenza di strade favorisse i pochi Spartani. Gli Ateniesi sbarcarono: erano 800 opliti. Poi si aggiunsero 800 arcieri e peltasti in numero non minore per giunta i Messeni (32, 2). Occuparono le alture e mostrarono agli Spartani questa massa di militi yiloiv, nudi ossia armati alla leggera.
Questi traevano la loro forza dagli archi toxeuvmasi, dai giavellotti, ajkontivoi", dalle pietre livqoi" e dalle fionde sfendovnai" usati da lontano. Non si potevano nemmeno attaccare: potevano fuggire e contrattaccare chi si ritirava (32, 4). Gli opliti ateniesi fronteggiavano quelli spartani, mentre oiJ yiloiv stavano di fianco e dietro la schiera, e saettavano i nemici.
Se attaccati, scappavano e nella corsa erano avvantaggiati dall’essere leggeri. Gli Spartani si disorientarono (34). Cominciarono a fuggire e i fanti leggeri a inseguirli uccidendoli. Finché gli Spartani si ritirarono nel loro forte.
Lo stratego dei Messeni chiese una parte degli arcieri e della fanteria leggera per aggirare gli Spartani. Avuti i soldati, li aggirò passando per dirupi. Gli Spartani si trovarono accerchiati come alle Termopili[4] wj" mikro;n megavlw/ eijkavsai (Tc. IV, 36, 3), si parva licet componere magnis (Virgilio, Georgiche IV, 176) . Sicché cedettero.
Demostene e Cleone volevano portarli vivi ad Atene. Quasi tutti gli Spartani gettatorono gli scudi e agitarono in alto le mani- parei'san ta;" ajspivda" oiJ plei'stoi kai; ta;" cei'ra" ajnevseisan (aoristi di parivhmi e ajnaseivw IV, 38). Epitada il comandante spartano era morto. Gli era succeduto Stifone. Dei 420 opliti 292 di cui 120 spartiati furono fatti prigionieri. Gli altri erano morti. Erano passati 72 giorni dall’inizio.
Fu un fatto incredibile che gli Spartani si fossero arresi. I Messeni devastarono la Laconia. Gli Iloti fuggivano e gli Spartani erano in grande difficoltà Tuc. IV, 41)
Anfitrione continua dicendo a Lico che è sofov" nel temere la vendetta dei figli di Eracle. Comunque dubita che Zeus, il quale permette tale situazione, abbia pensieri giusti -dikaiva" frevna"- nei loro confronti (212). Chiede al tiranno di mandarli in esilio e di non usare la violenza h} peivsh/ bivan (215) o subirai violenza quando il vento del dio- qeou' pneu'ma- si trovi a essere cambiato per te (216). E’ il contrappasso.
Quindi il vecchio biasima Tebe e la Grecia le quali, aiutate da Eracle, non portano aiuto nel bisogno. Ora i figli di Eracle si aspettano l’aiuto del nonno oujde;n o[nta plh;n glwvssh" yovfon (229) il quale non è altro che suono di lingua. Le membra sono tremanti tromera; gui'a e la forza è sparita (232) . Se fosse forte, Anfitrione insanguinerebbe i riccioli biondi di Lico che fuggirebbe lontano, oltre i confini di Atlante per evitare i colpi (235).
Pesaro 25 luglio 2022 ore 16, 44
p. s
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