NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

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martedì 12 luglio 2022

Nietzsche, La nascita della tragedia. Capitolo V (pp. 39-45)


 

Progenitori della poesia greca sono stati Omero e Archiloco.

Entrambi, e più degli altri, creature originali. Omero è il tipo dell’artista apollineo, Archiloco è il battagliero servitore delle Muse.

 

Fiorito intorno alla metà del settimo secolo, nato a Paro, vissuto tra questa isola dell'Egeo e quella più settentrionale di Taso, fu poeta e soldato mercenario, secondo la presentazione che egli stesso fece di sé con questi due versi:

"io sono servo di Ares signore

e conosco l'amabile dono delle Muse"(frammento 1 D.) in greco è un distico elegiaco

Una doppia parte che si sono attribuita anche Foscolo e D'Annunzio, tanto per nominare due poeti-soldati italiani

 

L’estetica moderna contrappone Arciloco quale primo poeta soggettivo al poeta oggettivo. Ma l’artista soggettivo è cattivo artista. Eppure il lirico dice “io” e canta l’intera scala cromatica delle sue passioni e dei suoi desideri.  

Schiller in una lettera a Goethe (18 marzo 1796) scrive che il proprio stato preparatorio alla creazione è una “disposizione d’animo musicale” cui segue l’idea poetica. Il lirico antico era poeta e musicista. In confronto la lirica moderna senza musica è il simulacro di un dio senza testa.

In effetti il melodramma viene seguito ed è conosciuto più delle raccolte di liriche senza lira, prive di musica.

Il lirico dalla poesia musicata dunque diviene una cosa sola con l’uno originario prima di creare musica come primo riflesso del dolore originario e parole come secondo riverbero. L’artista allora elimina la sua soggettività nel processo dionisiaco e si unisce al cuore del mondo. L’io del lirico dunque risuona dall’abisso dell’essere. Quando Archiloco manifesta il suo amore alle figlie di Licambe, non è la sua passione a danzarci davanti in orgiastica ebbrezza: vediamo Dioniso e le Menadi, vediamo l’invasato Archiloco sprofondato nel sonno, il sonno come è descritto da Euripide nelle Baccanti-il sonno sugli alti pascoli alpestri, nel sole di mezzogiorno.

Cito alcuni versi chiave di questa tragedia incompresa e calunniata da Schopenhauer che non la capisce e la squalifica come “un indegno pasticcio in onore dei sacerdoti pagani” [1].

Messo

“ Poco tempo fa spingevo al pascolo verso l’alta vetta

del monte le mandrie dei bovini, quando il sole

manda i raggi di luce a scaldare la terra.

Allora vedo tre gruppi di schiere  femminili,                                       

di una delle quali era a capo Autonoe, della seconda

la madre tua Agave, della terza schiera Ino.

Dormivano tutte, rilassate nei corpi,                                                    

alcune appoggiate di schiena alla fronda di abete,

altre invece posato il capo casualmente in terra

sulle foglie di quercia con compostezza (swfrovnw~) e non andavano, come tu dici,

a caccia di Venere appartate sotto la selva

qhra`n kaq j u{lhn Kuvprin hjrhmwmevna~-

ebbre di vino del cratere e del frastuono del flauto” (vv 677-.689).  

 

Ed ecco che Apollo si accosta al poeta e lo tocca con l’alloro. L’incantesimo del dormiente ora sprizza intorno a sé faville di immagini, poesie liriche, incunaboli di tragedie. L’epico e lo scultore plasmano immagini, mentre il musicista esprime il dolore dell’uno originario con il quale si è identificato. Le sue immagini sono solo diverse oggettivazioni di lui stesso. In questo senso dice “io” Quell’io è l’unico io eterno, riposante sul fondo delle cose.

La poesia insomma deve esprimere quanto è universale e riguarda tutti.

L’io di Archiloco è il genio del mondo che esprime simbolicamente in quell’immagine dell’uomo Archiloco il proprio dolore primigenio. Nietzsche cita un brano del Mondo come volontà e rappresentazione in cui Schopenhauer  scrive che considera la lirica una forma d’arte mista dove il volere e la pura intuizione dell’ambiente, il puro conoscere si mescolano.

Nietzsche obbietta che il volere, lo stato non estetico, non può fondersi e confondersi con il puro contemplare dell’arte. Il soggetto che vuole i suoi scopi egoistici è nemico dell’arte. L’artista è un uomo che si è liberato dalla sua volontà individuale ed è divenuto medium attraverso il quale l’unico soggetto che veramente è celebra la sua liberazione nell’illusione che giustifica l’esistenza come fenomeno estetico. Il genio si fonde con l’artista originario del mondo ed è contemporaneamente soggetto e oggetto, poeta attore e spettatore

Schopenhauer sostiene che la musica è l’immagine della volontà stessa, non l’immagine delle idee come le altre arti. Perciò l’effetto della musica è tanto più potente e insinuante (Il mondo come volontà e rappresentazione, III, 52, p. 346)

Pesaro 12 luglio 2022 ore 17, 58

giovanni ghiselli

p. s

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[1] A. Schopenhauer, Supplementi, p. 113.

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