Maurizio Bettini
Il grande racconto dei miti classici il Mulino, Bologna, 2014. Terza parte
XIX Orfeo e Euridice
Jacopo del Sellai Aristeo e Euridice 1480 Rotterdam Museo Boijmans Van Beuningen
Canova Orfeo e Euridice 1774 Venezia Museo Correr
Edward John Porter, Orfeo e Euridice 1862 collezione privata
Giorgio De Chirico Orfeo solitario 1973, Roma, Museo Bilotti
Orfeo negro film di Marcel Camus 1959
XX Per un punto Orfeo perse la cappa
Bettini non crede che tutti i miti siano solo allegorie delle passioni umane o delle cose divine. Hanno comunque una potenza culturale e suscitano riflessioni
Certe cose non si devono vedere cfr. Semele o Psiche
A Roma c’era il divieto di guardare un fantasma: “ne respexeris!”
Guardare le creature dell’aldilà vuol dire divenirne preda.
Non si deve stabilire alcun contatto visivo con il mondo dei morti
Orfeo dimentica l’ordine. L’oblio per Lévi-Strauss è un difetto di comunicazione con noi stessi, mentre la nostalgia è un eccesso di comunicazione con noi stessi
Orfeo dopo che ha perso Euridice diventa nostalgico e non comunica più con altri, pur essendo stato un grande comunicatore
Inoltre Orfeo è stato nel regno dei morti dove i defunti sono teste svigorite
yucaiv sono soffi poiché yuvcw significa “soffio”
Le yucaiv si accostano "prive di coscienza, o al massimo dotate di una semi-coscienza crepuscolare"[1], tranne Elpenore, poiché il suo corpo non è ancora stato bruciato, e il vate Tiresia che per grazia di Persefone ha conservato anche il dono profetico. Gli altri, le teste svigorite (“ajmenhna; kavrhna", XI, 29) vogliono avvicinarsi al sangue degli animali sgozzati e devono berlo per esprimersi umanamente e veracemente.
“È qui, sulla montaliana “opposta riva”, sulla “ferrigna costa”, che trova Ade, abitata dalle psychai, da quelle ombre, quei soffi senza nervi, quei “fiati senza materia o voce traditi dalla tenebra” che sono i morti; e dal loro aspetto, dalle parole che essi pronunciano, egli scopre “das Sein des Gewesenen”[2]: l’essere dell’essere stati, un’essenza umbratile, un ‘essere-in-morte’ ed ‘essere-nel-passato’diverso dal nostro transeunte di vivi ed essere ciechi, muti e sordi finché il sangue fumante delle vittime non restituisca memoria, occhi per riconoscere, parola, e tristezza infinita. Questa, dunque, la nostra prima ombra: un viaggio, anzi, ‘per umbram ad umbras’, verso il mondo mitico, ma sempre aperto sull’orizzonte della nostra esistenza di uomini; un viaggio verso occidente, verso il tramonto del sole. Celebrando Terone nella terza Olimpica, Pindaro dirà che il nome del tiranno di Agrigento, vincitore nelle gare, ha raggiunto l’eschatia, il margine o limite, colmando la distanza “da casa fino alle colonne d’Ercole” “Quel che è aldilà - commenta il poeta - non può esser percorso né dai sapienti né dagli ignoranti”.
Nella quarta Nemea, tornerà sul tema: “Nessuno può passare allo zophos - all’oscurità dell’occidente-aldilà di Gadeira”. Metaforicamente, dunque, nel “discorso mitico[3], navigare oltre Gibilterra significa varcare una soglia ontologica, oltrepassare il limite (peras) assegnato all’uomo, in direzione di una tenebra transnaturale. Ecco dunque stabiliti i confini ad un colpo della conoscenza e della vita, i due alberi proibiti all’umanità nel giardino dell’Eden, a oriente. Non desterà meraviglia che, in una civiltà fondata sul mare, ancora una volta sia la metafora della navigazione ad incarnare, per bocca dello stesso Pindaro, nella terza Nemea, la prescrizione divina:
Non è facile viaggiare aldilà
Sul non battuto mare
Oltre il limite delle colonne d’Eracle.
Le pose l’eroe-dio a chiaro segno
Dei confini del navigare. Nel pelago spezzò
Mostruose bestie, solo seguì le correnti
Sui bassi fondali e raggiunse del ritorno la fine:
fece conosciuta la terra.
Laconoscenza del mondo ha ben precisi confini nautici (nautilias eschatas), i quali coincidono col limite (peras) delle Colonne, testimoni rinomati, “riguardi” segnati da Eracle “acciò che l’uom più oltre non si metta”. Là si trova l’estremo che rimanda gli uomini a casa, la “fine del ritorno”.
Ebbene, il mito - e la poesia - parlano chiaro: Odisseo, l’eroe per eccellenza del nostos, del ritorno che s’avvolge su se stesso come un simbolico labirinto[4], ha navigato al di là del suo temine ultimo, verso le tenebre. Da quest’ombra è poi, vivo, tornato al mondo dei vivi, per fare dei morti racconto ad Alcinoo, “con arte, come un aedo”[5].
“Sul piano esistenziale, egli si dirigerà, oltrepassando i limiti ontologici delle Colonne, verso il destino di ognuno di noi; trasgressore dell’essere, andrà tragicamente incontro al non-essere. Sul piano figurale e storico, al momento opportuno Ulisse farà invece vela, con i navigatori moderni, verso il Nuovo Mondo”[6].
Queste parvenze dei morti i Greci le chiamavano anche ei[dwla. Cfr Odissea 24, 4: “yucaiv, ei[dwla kamovntwn, le anime spettri dei morti.
La radice id- indica l’attività di vedere. ijd- lat video.
Tedesco wissen sapere.
Un’archeologa e storica americana, Emily Vermeule ha scritto uno studio sul mondo dei morti in Omero e si poneva questa domanda: “perché i Greci concepivano i morti come degli sciocchi?”
Forse Orfeo era stato contagiato da questo oblio dei morti?
Per un punto Martin perse la cappa: un monaco non venne promosso priore perché aveva dimenticato di mettere un punto ortografico.
Achille per il tallone che non fu immerso nello Stige, Demofonte per il grido della madre Metanira mentre Demetra lo metteva nel fuoco.
Titone. L’Aurora ottiene per lui l’immortalità ma non chiede l’eterna giovinezza. Divenne vecchio con l’aspetto di una cicala con un corpo diafano e leggero.
Gli uomini non potranno mai vincere la morte: questo dice il racconto di Orfeo e di Sisifo. Ma questi miti dicono pure che ci si può provare ancora. Orfeo ce l’aveva quasi fatta. Solo un incidente glielo ha impedito
La morte come incidente dunque.
XXI Aristeo. Morte e rinascita delle api, insetti divini. p. 274
Aristeo fa morire Euridice e le sue api muoiono
La madre Cirene lo manda da Proteo il trasformista che alla fine parla
Cfr. Odissea IV dove Menelao racconta il suo incontro con Proteo, il vecchio marino verace "gevrwn aJvlio" nhmerthv""(v. 349).
Proteo ad Aristeo che la morte di Euridice e Orfeo ha suscitato l’ira divina
Cirene dice al figlio che deve fare un sacrificio.
Sgozzare 4 tori e 4 giovenche poi lasciarne imputridire i corpi. Tornare dopo 9 giorni, Orfeo obbedisce e vede che dai corpi putrescenti si alza uno sciame di api. È la bougonìa, generazione dal bue.
XXII Le Danaidi. Il grembo senza fondo. 281
Argo è il prototipo del guardiano: ha un corpo cosparso di occhi
Iò suscita la gelosia di Era. Zeus è un donnaiolo ed è il custode dei giuramenti ma giura il falso in cose d’amore. In questo campo si può, scrive Ovidio.
Ermes uccise Argo ed ebbe il titolo di ajrgeifovnte~, uccisore di Argo.
Allora Era mandò un tafano, oi\stro~ a pungere Iò. In latino asīlus.
La ragazza-vacca cominciò a vagare, passò il Bosforo che da lei prese nome, arrivò in Scizia dove vide Prometeo poi andò in Egitto dove partorì Epafo dopo il toco (ejpafhv, ejpafavw) datole Zeus. I Greci la identificarono con Iside. Invece di chiamare Iside falsa e bugiarda, i Greci la traducono in qualche cosa che appartiene anche a loro. Questo crea dialogo e contiguità tra le culture.
Plutarco in De Iside et Osiride etimologizza il nome Iside con oi\da-so-; più precisamente il tempio jIsei`on con il futuro ei[somai-saprò- poiché vi conosceremo to; o[n, l’essere 352).
Inoltre \Isin kalou`si para; to; i{esqai met j ejpisthvmh~ kai; fevresqai, kivnhsin ou\san e[myucon kai; frovnimon
(375c) la chiamano Iside per il lanciarsi con sapere e da essere mosso in quanto ella consiste in un movimento animato e sapiente.
Da Epafo discendono Egitto e Danao. Poi i cento figli.
I due fratelli si odiano come spesso accade e le cugine odiano i cugini. Costrette a sposarli le cugine li uccidono, tranne Ipermestra che risparmia Linceo.
Le 49 finiscono nel Tartaro dove devono riempire vasi senza fondo.
Secondo Bettini questo significa che non hanno raggiunto il loro tevlo~, il matrimonio e la maternità. Il secchio non accoglie l’acqua come il loro ventre non ha accolto il seme del marito.
Lucrezio scrive invece che la pena delle Danaidi significhi l’incontentabilità umana, l’appetito disonesto degli umani.
XXIII Melampo, donne calve, piedi neri e orecchie leccate
Da Ipermesta e Linceo nascono Preto e Acrisio che litigavano già nel ventre della madre.
Preto fuggì in Licia presso il re Iobate, poi tornò in Grecia e divenne re di Tirinto. Ebbe tre figlie: le Pretidi che come le loro prozie rifiutavano il matrimonio e avevano offeso Era (cfr. Bacchilide Epinici, 11, 26-78)
Dissero che Preto la superava in ricchezza. Era gettò pensieri confusi nel loro petto. Sicché vennero colpite da Alopecia ajlwpekiva, la malattia della volpe. Inoltre divennero pazze, folli di maclosuvnh, impudicizia mavclo~, libidinoso. Inoltre si sentivano vacche e muggivano vagando per i boschi
Sopraggiunse un indovino, Melampo, l’uomo dal piede nero poiché la madre lo aveva lasciato al sole senza averglielo fasciato. Le guarisce in cambio di un terzo del regno
Era un indovino che intendeva il canto degli uccelli perché due serpenti gli avevano leccato gli orecchi
Nell’Edda antica islandese c’è un racconto del genere.
L’eroe Sigurdh si era messo in bocca il pollice che aveva toccato il sangue del drago ucciso.
Nella Alte Pinakothek di Monaco cìè un dipinto di Rubens Due satiri (1619
Caravaggio uno Scudo con la testa di Medusa 1597, Uffizi
XXIV Il complesso di Ificlo323
Melampo va a razziare i buoi del re Filaco per aiutare suo fratello Biante innamorato di una ragazza dal padre esoso: voleva i buoi di Filaco. Spesso i suoceri sono ostili ai futuri generi. Melampo viene catturato e messo in prigione. Qui capisce il linguaggio dei tarli. Quando Filaco viene a saperlo gli chiede aiuto contro la sterilità del figlio Ificlo. Melampo convoca gli uccelli e ottiene una risposta da un aijgupiov~, un avvoltoio, un uccello filovtekno~. Ificlo era rimasto traumatizzato vedendo il padre che castrava dei montoni. Era scappato via e il padre arrabbiato gli aveva lanciato dietro il coltello insanguinato. Questo si era ficcato in un albero. Bisognava trovarlo, grattarne la ruggine, metterla in un bicchiere di vino e farla bere a Ificlo. La cura riuscì.
È il principio della omeopatia: ciò che produce il male è anche in grado di curarlo.
È anche il caso di Telefo guarito dalla ruggine della lancia di Achille che lo aveva ferito. I Greci dicevano oJ trwvsa~ ijavsetai, chi ha ferito sanerà.
Freud direbbe che Ificlo è guarito mettendo di nuovo in scena ciò che ha prodotto il trauma
XXV in groppa a Pegaso. Bellerofonte
Preto aveva in moglie Antea, chiamata anche Stenebea
A Tirinto giunse Bellerofonte che aveva ucciso il proprio fratello e voleva essere purificato dal mivasma. Aveva ucciso anche Bellero tiranno di Corinto
Bellerofonte è figlio di Glauco, figlio di Sisifo.
Antea se ne innamora. Bellerofonte la rifiuta e Antea lo accusa di avere cercato di violentarla. , Come Fedra e come la moglie di Putifarre
Preto lo invia dal proprio suocero, Iobate, re della Licia. Gli dà una tavoletta con segni funesti
Nel VI canto dell'Iliade leggiamo che Preto re di Argo, aizzato dalla moglie Antea che bramava unirsi in amore furtivo con Bellerofonte e, respinta da lui, lo aveva accusato di averla tentata, si infuriò, e, non osando ucciderlo direttamente, lo mandò in Licia dal suocero suo con segni funesti ("shvmata lugrav", v. 168) dopo avere scritto su una tavoletta piegata molti segnali di morte ("gravya" ejn pivnaki ptuktw'/ qumofqovra pollav", v. 169). Il problema sta "nel significato da attribuire a shvmata lugrav.
Già gli scoli erano divisi sul valore da assegnare a shvmata, intendendo taluni il termine come ei[dwla (figure), altri invece come gravmmata (lettere alfabetiche). È difficile sottrarsi all'impressione che questo passo alluda alla scrittura, contenendo anche un riferimento al materiale scrittorio (pivnax). Ma solo se si potesse dimostrare che questi "segni" vanno identificati con una scrittura alfabetica il passo assumerebbe un'importanza decisiva, in quanto testimonierebbe la conoscenza di quella rivoluzionaria scoperta avvenuta in Grecia nel corso dell'VIII secolo. Ma questa supposizione non è chiaramente dimostrabile; altrettanto infondato appare qualsiasi tentativo di identificare nei shvmata altri tipi di scrittura, quali il geroglifico ittita o il lineare B. Quanto sembra certo, è che l'episodio di Bellerofonte conosce la pratica della scrittura. Quale sarà allora il valore da assegnare a questa testimonianza? È verosimile supporre che il motivo della lettera fosse parte integrante di un racconto mitico giunto a Omero già strutturato nei suoi elementi e da lui soltanto rielaborato e adattato al contesto dell'Iliade. L'ipotesi dell'origine orientale della storia appare come la più probabile, e non tanto per il fatto di essere ambientata in Licia.
Secondo Bettini potrebbero essere pittografie, disegni di oggetti, con un messaggio di morte
Iobate affida a Bellerofonte compiti impossibili come Pelia aveva fatto con Giasone
Lo manda a uccidere la Chimera. Coda di serpente, corpo di leone e tre teste, una di capra che sputa fuoco. Figlia di Echidna e di Tifone. Un misto di mostri. Bellerofonte ha Pegaso, un cavallo alato, balzato fuori dal collo della Medusa mozzato da Perseo
Bellerofonte uccide la Chimera (civmaira capra)
Poi Iobate lo manda a combattere i Solimi, poi le Amazzoni
Significa priva di mammella aj privativo e mazòs privo di mammella (che però si dice mastov~ oJ, mammella).
Facevano paura perché contraddicevano gli stereotipi della cultura maschilista
Bellerofonte vince anche le Amazoni poi i guerrieri di Licia che gli tendono un agguato. Allora Iobate gli dà in moglie la figlia
Nel romanzo di T. Mann, Putifarre è un castrato e sua moglie Mut da fanciulla “era spensierata, allegra, limpida, libera. Era come un fiore acquatico, che galleggiando sullo specchio delle acque sorride ai baci del sole, ignaro che il suo lungo stelo ha radici nell’oscuro fango della profondità”[7]. Poi, da sposata, divenne “una casta sacerdotessa della luna, mondanamente fredda”[8], finché una notte sognò Giuseppe che era al servizio di suo marito, “l’inerte marito”[9], ed era straordinariamente bello. Quindi si innamorò di lui. “Anche Mut-em-enet, moglie di Potifar…era una creatura umana messa alla prova, sopraffatta, una menade vittima del dio straniero da cui fu visitata, e la costruzione artificiosa della sua vita crollò miseramente per opera di potenze infere di cui ella, non conoscendole, aveva creduto di potersi far beffa; e furono esse invece che si fecero beffa delle sue consolazioni e iperconsolazioni”[10].
XXVI Perseo e il patto senza rifiuto 342
Zeus si trasforma in pioggia d’oro per fecondare Danae chiusa in una stanza sotterranea foderata di bronzo. Bettini nota che drovso~ “rugiada”, al plurale drovsoi significa cucciolo e yakav~, “pioggia fine”, nel diminutivo yavkalon significa neonato di animale.
Correggio Danae 1532, Roma Galleria Borghese
Tiziamo Danae riceve la pioggia d’oro 1544 Wien, Kunsthistorisches Museum
Gustav Klimt Danae, 1907, Collezione privata
Picasso Danae, 1962; New York, Metropolitan Museum of Art.
Nasce Perseo.
Madre e figlio- Danae e Perseo- vengono chiusi in una cassa gettata nel mare
Il contenitore richiama il grembo della donna
I flutti portano la cassa a Serifo dove i due vengono salvati da Ditti, fratello di Polidette, re dell’isola, che si innamora di Danae
Perseo è contrario al matrimonio e Polidette lo odia.
E lo manda a prendere la testa della Gorgone che aveva suggerito quale regalo per le nozze di Ippodamia con Pelope
È il “patto senza rifiuto”, come quello di Idomeneo che aveva promesso per la salvezza di uccidere la prima persona appena sbarcato a Creta e dovette uccidere suo figlio.
La Gorgone figlia di Forco e di Ceto è un mostro con un brulichio di serpenti in testa e zanne di cinghiale.
XXVII Negli occhi della Gorgone 351
Il suo sguardo trasformava in pietra chi lo incrociava,
Spesso era rappresentata nel fondo della kuvlix, la coppa, in modo che per non incrociare il suo sguardo bisognava tenere la coppa sempre piena.
Perseo va dalle tre Forcidi, Enio, Pefredo e Dino.
Perseo sequestra l’occhio e il dente che hanno in tre e vuole sapere dove stanno le Ninfe per restituirli.
Le ninfe possiedono infatti i necessari oggetti magici: kivbisi~, hJ, la bisaccia per metterci la testa della Gorgone, la kunevh, (hJ) l’elmo di guerra fatto di pelle di cane, un elmo fatato che rendeva invisibile. Poi i calzari alati. C’è l’andamento della fiaba. Ermes gli diede una falce di diamante, tipo quella di Crono.
Lo scudo bronzeo di Perseo riflette e lo sguardo riflesso è attutito
Kavtoptron è lo specchio, katopteuvw, osservo attentamente e spio, katopthvr è la spia. Speculum, specchio. è parente di specula, sentinella.
Gli antichi usavano lastre di metallo levigato.
A Selinunte (Tempio del 510 a. C.) c’è il rilievo di una metopa che mostra Perseo mentre taglia la testa alla Gorgone in presenza di Atena.
Per osservare il sole durante le eclissi ci si serviva di bacinelle piene di olio che attutivano la forza dei raggi solari
Perseo dunque tratta la Gorgone come se fosse il sole, smorzandone la forza. Dal collo mozzato balza Pegaso. Lo usa anche Bellerofonte contro la Chimera e le Amazzoni.
Bologna 4 luglio 2022
giovanni ghiselli
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[1] E. Rohde, op. cit., p. 10
[2] W. Otto, Theophania, Roma, 1983, p. 70.
[3] P. H. Damon, “DantÈ s Ulysses and the Mythic Tradition”, in Medieval Secular Literature. Four Essays, a cura di W. Matthews, Berkeley-Los Angeles, 1965, pp. 25-45.
[4] G. Chiarini, Odisseo. Il Labirinto Marino, Roma, 1991, pp. 67-101.
[5] P. Boitani, L’ombra di Ulisse, pp. 25-26.
[6] P. Boitani, L’ombra di Ulisse, p. 35.
[7] Giuseppe in Egitto, p. 413.
[8] Op. cit., p. 422
[9] Op. cit., p. 474
[10] Op. cit., p. 507.
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