Il contadino lascia fare a Elettra la sua parte di fatica. Dividono i compiti: Elettra andrà a prendere l’acqua alle sorgenti non lontane da casa- kai; ga;r ouj provsw-phgai; melavqrwn (77-78), lui porterà i buoi sui campi e seminerà i solchi sperw' guva" (79-guvh"-ou- oJ).
Può essere una forma di compensazione del fatto che non semina la moglie
A questo proposito è interessante un excursus sull 'assimilazione della donna alla terra.
Nel Menesseno Platone scrive :"ouj ga;r gh' gunai'ka memivmhtai kuhvsei kai; gennhvsei(ajlla; gunh; gh'n",
non è la terra a imitare la donna, nella gravidanza e nel parto, ma la donna a imitare la terra-".
Del resto nel Menone , il filosofo ateniese afferma che tutta la natura è imparentata con se stessa(th'" fuvsew" aJpavsh" suggenou'" ou[sh", 81d)e, dunque, anche l'uomo è stretto parente della grande madre.
“At the Thesmophoria they tried to persuade the Earth to imitate them”[1], alle Tesmoforie le donne cercavano di persuadere la Terra a imitare loro
Mircea Eliade nel suo Trattato di storia delle religioni scrive:"L'assimilazione fra donna e solco arato, atto generatore e lavoro agricolo, è intuizione arcaica e molto diffusa" (p. 265). A sostegno di questa affermazione cita diversi testi, tra i quali l'Edipo re ( "pw'" poq j aiJ patrw'/aiv s j a[loke" fevrein, tavla", si'g j ejdunavqhsan ej" tosonde;", vv. 1211-1213, come mai i solchi paterni- ossia già seminati dal padre- poterono, infelice, sopportarti fino a tanto in silenzio?)
Oreste entra in scena con Pilade e gli espone i suoi piani: vuole dunque incontrare la sorella e dopo averla assunta come complice della vendetta di sangue-fovnou xunergavtin- 100, venire a sapere safw'" , 101, che cosa è avvenuto ei[sw teicevwn, all’interno delle mura.
Si tratta di sfoltire la nebbia e abbattere il muro che c’è tra la piazza e il palazzo per dirla con Guicciardini: " la corruttela italiana codificata e innalzata a regola di vita[2]: “spesso tra il palazzo e la piazza è una nebbia sì folta o uno muro sì grosso che, non vi penetrando l'occhio degli uomini, tanto sa el popolo di quello che fa chi governa o della ragione perché lo fa, quanto delle cose che fanno in India” (Ricordi, 141)
In questi ultimi anni la barriera tra la classe politica e il popolo è diventata più grossa e più alta.
Oreste vede arrivare una ragazza con una brocca sulla testa rasata (127-128) senza riconoscere la sorella.
Elettra entra in scena con una monodia esortando se stessa in metri lirici ad allungare il passo ché è già tempo. Intanto piange kataklaivousa 113, Si presenta come la figlia di Agamennone e di Clitennestra, l’odiosa-stugnav-figlia di Tindaro. L’odio per la madre è subito dichiarato. La ragazza si definisce ajqlivan infelice e così la chiamano i cittadini. Si lamenta per le sue pene dure ostinate che la possiedono feu' feu' scetlivwn povnwn (120) (cfr. e[cw-scei'n) e per la sua vita odiosa kai; stugera'" zova"-. L’odio per la madre odiosa le riempie la vita che le è diventata odiosa come la madre. La radice stug- è comune ai due aggettivi. Lo Stige è il fiume infernale dell’odio.
Nel dramma Il lutto si addice a Elettra Mourning becomes Electra di Eugene O’ Neill (1931) Orin dice a Lavinia “non sai fino a che punto sei diventata uguale alla mamma…intendo anche il cambiamento della tua anima…A poco a poco è diventata simile a quella della mamma…come se tu gliela rubassi…come se la sua morte ti avesse reso libera…di diventare lei”(Parte terza L’incubo, quadro secondo).
Il dramma è ambientato in una cittadina portuale della Nuova Inghilterra nelle estati del 1865 e del 1866.
Elettra dice a se stessa: avanti risveglia il lamento,- e[geire govon (125), a[nage poluvdakrun ajdonavn (126), dispiega il piacere dalle molte lacrime.
La poetica delle lacrime.
Ciò che stimola Euripide è spesso è il carattere patetico del soggetto: al drammaturgo ateniese, come a Virgilio, interessano le situazioni tragiche addolcite dal pianto. Piangere del resto non significa cedere,
L’ Elettra di Sofocle, che pure è una virago, dice ouj lhvxw qrhvnwn (Elettra, 104) non cesserò di piangere come l’usignolo (ajhdwvn, 107) che ha perduto i figli.
Cfr. l’ ouj lhvxw di Achille (Iliade, XIX, 423) cedere nescius[3] e il mito di Procne.
Quindi la ragazza invoca l’ jarav. La Maledizione e le Erinni, quelle del padre, perché ne vendichino l’eccidio. Inoltre chiede il ritorno del fratello.
La monodia di Elettra nella tragedia di Euripide si chiude con la condanna della luttuosa mutilazione e l’esecrazione della madre che si è tenuta un dovlion ajkoitan (166) un ingannevole compagno di letto.
Pesaro 8 luglio 2022 ore 11, 04
giovanni ghiselli
p. s
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