Recita il prologo il contadino-autourgov"-, un personaggio positivo.
Questo marito in bianco di Elettra, reclusa con lui in una zona montuosa dell’Argolide al confine con la Laconia, ricorda quando Agamennone e[pleuse salpò nausi; cilivai" contro la Troade ( Elettra, vv. 2 e 3)
Il contadino racconta il successo di Agamennone a Troia-kakei' me;n eujtuvchsen- (Elettra, 8).
Ma l’eujtuciva il successo non è eujdaimoniva, felicità[1].
Agamennone dunque, se ebbe successo nella Troade, ejn de; dwvmasin-qnh/skei, muore ucciso nel palazzo per l’inganno di Clitennestra- pro;" Klutaimnhvstra" dovlw/ (9) e di Egisto, figlio di Tieste. Ammazzato il marito, i due amanti si sono sposati.
Partendo per Troia il re lasciò nel palazzo a[rsena t j jOrevsthn, qh'luv t jj Hlevktra" qavlo" (Elettra, 15) un maschio Oreste, e una femmina il germoglio di Elettra.
Il contadino prosegue con il racconto dell’antefatto
Il vecchio precettore geraio;" trofeuv" (Elettra, 16) salvò Oreste insidiato da Egisto mandandolo da Strofio, sovrano di Crisa nella Focide. Aveva sposato Anassibia, sorella di Agamennone e zia di Oreste.
Elettra rimase nella casa del padre ed ebbe molti pretendenti mnhsth're" prw'toi JEllavdo" che la chiedevano in sposa (h[/toun) quando la teneva il tempo fiorente della giovinezza-tauvthn ejpeidh; qalero;" ei\c jh{bh" crovno" (20)
Ma Egisto temeva che la ragazza avrebbe generato a uno di quei valorosi un figlio vendicatore di Agamennone-pai'd j jAgamevmnono" poinavtor j (22-23), sicché la teneva in casa ei\cen ejn dovmoi" e non la accordava a nessuno sposo oujd j h{rmoze numfivw/ tiniv (23-24)
Stare chiusa in casa era il destino normale della donna comune di Atene
Nella Lisistrata di Aristofane, Cleonice ribatte alla protagonista eponima che lamenta l’assenza delle donne calephv toi gunaikw'n e[xodo" (Lisistrata, 16) è difficile per noi donne uscire. Infatti, spiega, una di noi deve stare china sul marito, l'altra deve svegliare lo schiavo, l'altra mettere a letto il bambino, l’altra lavarlo, l'altra imboccarlo (vv. 17-20).
Poi Egisto voleva uccidere Elettra per paura che di nascosto-laqraivw" (Elettra, 26- generasse dei figli a un nobile. Ma la madre sebbene wjmovfrwn, crudele, comunque o{mw" (27) la salvò dalle mani di Egisto
Clitennestra aveva una scusa skh'yin ei\c j per lo sposo morto ammazzato (29) ma temeva che sarebbe stata odiata per l’assassinio dei figli.
La scusa è l’uccisione delle figlia Ifigenia
Allora Egisto, continua il contadino, promise dell’oro a chi avesse ucciso l’esule Oreste e diede Elettra in sposa a me, nobile discendente da Micenei, una famiglia di lamproiv , persone distinte, illustri, ma pevnhte" , e[nqen huJgevnei j ajpovllutai (Elettra, 38) da quando la nobiltà non conta nulla.
Egisto dunque dà la figliastra a uno privo di forza per prendersi una paura priva di forza (Elettra, 39).
Se l’avesse data in sposa a uno di alta condizione sociale- ajxivwm j e[cwn ajnhr (40) , avrebbe risvegliato il sangue versato di Agamennone, e la giustizia sarebbe arrivata su Egisto.
Io non l’ho mai violata nel letto, Cipride lo sa con me, mi è testimone. aijscuvnomai ga;r ujbrizein (45-46) mi vergogno infatti a eccedere prendendo figli di uomini ricchi- ouj katavxio" gegwv", non ne sono degno-46-
Quest’uomo dunque accetta le convenzioni sociali
Entra in scena Elettra la quale si rivolge alla nera notte nutrice di stelle d’oro-w\ nuvx mevlaina, crusevwn a[strwn trofev (Elettra, 54). Dice che scende alle sorgenti del fiume phga;" potamiva" metevrcomai (56) portando questa brocca tovd j a[ggo" fevrousa, posata sul capo jefedereu'on kavra/. Non lo fa perché ridotta a tal punto di indigenza, ma per la volontà di mostrare agli dèi l’ybris di Egisto (59).
Elettra poi biasima la madre, hJ panwvlh" Tundariv" (60), la scellerata Tindaride, mhvthr ejmhv, che ha cacciato di casa la figlia per fare un favore al suo sposo- cavrita tiqemevnh povsei (61).
Per giunta Clitennestra ha generato a Egisto altri figli (cfr. Elettra di Sofocle 589-590 con lui fai figli- paidopiei'"- e cacci quelli legittimi) e quelli avuti da Agamennone, lei e Oreste, sono accessori trascurabili per la casa pavrerg jjOrevsthn kajme; poiei'tai dovmwn (63)
Dove non c’è reciprocità c’è strumentalizzazione.
Il contadino (aujtourgov") premuroso domanda a Elettra perché lei eu\ teqrammevnh, cresciuta nella ricchezza si sobbarchi tante fatiche povnou" e[cousa (Elettra di Euripide, 65) e le suggerisce di riposarsi.
Elettra lo benedice chiamandolo caro amico pari agli dèi. E’ ancora Euripide che apprezza il coltivatore diretto
La principessa prosegue dicendo che è megavlh moi'ra-(vox media)-, una grande fortuna per i mortali trovare un sanatore della cattiva sorte- sumfora'" kakh'" ijatrovn-70), come io ho trovato in te un amico che allevia gli affanni con la bontà e la generosità. L’orfana di Agamennone dunque dice che vuole contraccambiarlo facendogli trovare la casa in ordine quando torna dal lavoro dei campi. C’è un buon rapporto tra i due segnato dalla reciprocità. Stima, affetto, rispetto reciproci.
La ragazza si sente in dovere, anche se non ne viene richiesta, di alleviare la fatica dei' dh; me movcqou jpikoufivzousan per quanto ce la faccio-eij" o{son sqevnw, perché tu la possa sopportare più facilmente wJ" rJa'/on fevrh/".
Per il lavoratore che torna a casa da fuori è piacevole trovare tutto in ordine-quvraqen hJdu; ta[ndon euJrivskein kalw'"- 76-
La reciprocità
La parola latina munus che significa “compito” e “dono” è appunto significativa della reciprocità.
Benveniste segnala il legame (attraverso la radice indoeuropea *mei-) con mutuus (reciproco): questi termini fanno parte di " una grande famiglia di parole indoeuropee che, con suffissi vari, marcano la nozione di reciprocità (…) La radice è l’indoeuropeo *mei- che denota lo scambio, che ha dato in indoiranico mitra, nome di un dio (…) Ma il senso di munus, particolarmente complesso, si sviluppa in due gruppi di termini che indicano da una parte ‘gratificazione’, dall’altra ‘incarico ufficiale’. Queste nozioni sono di carattere reciproco, perché implicano un favore ricevuto e l’obbligo della reciprocità "[2].
Dove non c’è reciprocità c’è l’uso della persona ridotta a strumento, a oggetto. Il capitalismo esclude la reciprocità nei rapporti di lavoro: “più l’operaio produce, meno ha da consumare; quanto più valore egli crea, tanto più diventa privo di valore e dignità; quanto meglio formato è il suo prodotto, tanto più l’operaio diventa deforme; quanto più raffinato è il suo oggetto, tanto più l’operaio diventa rozzo; quanto più potente è il lavoro, tanto più l’operaio diventa impotente (…) il lavoro produce bellezza, ma deformità per l’operaio (…) mangiare, bere, procreare ecc. sono senza dubbio anche funzioni schiettamente umane. Ma nell’astrazione che le isola dalla restante sfera dell’attività umana e le trasforma in scopi ultimi e unici sono funzioni bestiali”[3].
Marx ha sbagliato nel denunciare tale condizione come limitata all’operaio che anzi con il tempo avrebbe dovuto liberarsene: oggi, 174 anni dopo, tale situazione di sfruttamento, asservimento, abbrutimento fisico e mentale include anche la borghesia piccola piccola.
Pesaro 8 luglio 2022 ore 10, 27
giovanni ghiselli
[1] "Gianni Agnelli è stato un uomo fortunato, nel senso che gli dei gli procurarono, all'apparenza, tutto quanto si può desiderare nella vita. Ma non è stato un uomo felice" scrive Piero Ottone pochi giorni dopo la morte di questo personaggio molto noto, invidiato e corteggiato (in Il Venerdì di "la Repubblica" del 31 gennaio 2003, p. 19).
[2]E. Benveniste, op. cit., p. 141-142
[3] K. Marx, Manoscritti economico-filosofici del 1844, Il lavoro estraniato, pp. 57-59.
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