Emmanuel Levinas
La sofferenza e la morte p. 59
“Mentre nel dolore morale è possibile mantenere un atteggiamento di dignità e di compunzione e di conseguenza è già possibile liberarsi, la sofferenza fisica in tutte le sue gradazioni è un’impossibilità di dstaccarsi dall’istante dell’esistenza. Essa è l’irrevocabilità stessa dell’essere” (p. 60)
Posso ricordare la sofferenza fisica di Filottete nella tragedia di Sofocle
Parla con Neottolemo e dice: il male, kakovn, mi trapassa , mi trapassa , disgraziato me, infelice “dievrcetai, dievrcetai, duvsthno~, w\ tavla~ ejgwv” (742-744) . Poi continua a lamentarsi “ajpovlwla, tevknon, bruvkomai tevknon: papai`- ajpappapappai`, pappapappapappappapai`”(Filottete, 746-747), sono morto, figlio, vengo divorato, figlio.
Levinas associa la sofferenza fisica alla tragedia della solitudine. Infatti Filottete chiede pietà per sé: “a[ndra duvsthnon, movnon-e[rhmon w|de ka[filon” (227-228), uomo miserando, solo, desolato a tal punto e senza amici
“Il contenuto della sofferenza si identifica con l’impossibilità di staccarsi dalla sofferenza. E questo non significa definire la sofferenza con la sofferenza, ma insistere sull’implicazione sui generis che ne costituisce l’essenza. C’è nella sofferenza l’assenza di ogni rifugio”.
C’è nella sofferenza la prossimità della morte. “L’ignoto della morte significa che la relazione con la morte non può accadere nella luce” (p. 61).
Eppure il sole viene invocato dalle creature morenti come ultima immagine della vita terrena: Aiace mentre combatte nella nebbia, prega Zeus di rasserenare il cielo prima di farlo morire, in modo che la sua fine avvenga ejn favei, nrlla luce ( Iliade, XVII, 645-647).
L’Anonimo Sul sublime trova altamente poetica questa preghiera, ne fa un esempio di sublime poetico.
Anche Alcesti morendo cerca la luce:" blevyai pro;" aujga;" bouvletai ta;" hJlivou"(v. 206), vuole rivolgere lo sguardo ai raggi del sole.
Altrettanto i moribondi Foscolo ("perché gli occhi dell'uom cercan morendo/ il Sole", i Sepolcri , 121).
Anche Osvald di Ibsen chiede la luce del sole:"Mamma, il sole...dammelo, dammi il sole", chiede il giovane nell'ultimo atto degli Spettri e, chiudendo il dramma, ripete:'il sole, il sole".
“Questo modo caratteristico della morte di annunciarsi nella sofferenza , al di fuori di ogni possibilità di luce, è un’esperienza della passività del soggetto che fino ad allora era stato attivo, che continuava ad essere attivo quando veniva sopravanzato dalla sua stessa natura” (p. 62)
Nietzsche attribuisce tale passaggio dall'attività alla passività all'Edipo cieco e vagabondo dell'Edipo a Colono, l'ultimo dramma di Sofocle.
“L’eroe raggiunge la sua più alta attività con il comportamento passivo che si estende oltre la sua vita, mentre gli sforzi consapevoli nella fase precedente lo avevano condotto solo alla passività” (La nascita della tragedia, capitolo IX)
Dalla tomba di Edipo emaneranno aiuti e benefici per gli Ateniesi e malefici per i Tebani.
“Ho detto: un’esperienza della passività. Si fa per dire , poiché esperienza significa già sempre conoscenza, luce e iniziativa; poiché esperienza significa anche ritorno dell’oggetto verso il soggetto” (Il Tempo e l’Altro, p. 62).
Anche l’esperienza del dolore e perfino quella del male può essere educativa e suscitare energie morali
Didone quando è ancora una regina, invece di diffidare e fare del male a Enea l’uomo dalla pietas spietata che la spingerà al suicidio, dice :" non ignara mali miseris succurrere disco " (Eneide, I, 630), non ignara del male imparo a soccorrere gli sventurati.
Una humanitas questa che viene echeggiata dalle prime parole del Decameron di Giovanni Goccaccio:"Umana cosa è l'aver compassione degli afflitti"[1].
Leggiamo ora delle parole della postfazione di Francesca Nodari.
Torno al capitolo 4 L’importanza dell’Altro (pagine 124-128)
“è nel lavoro, nella pena, soprattutto nella sofferenza che “è un’impossibilità di staccarsi dall’istante dell’esistenza”[2] che si consuma “la tragedia della solitudine[3]. La bisognosità di primo grado, il primato del mangiare, non basta per spezzare le catene di questa irrevocabilità” (p. 124)
L’esperienza della morte è “sui generis, non comporta alcun Begreifen; qui il sé si trova dinanzi ciò al quale non può più potere , dinanzi a qualcosa di assolutamente in conoscibile; cioè estraneo ad ogni possibilità di luce[4]. Così il sé perde la sua sovranità di soggetto e nella solitudine spezzata dalla morte “si pone su un terreno in cui la relazione con l’altro diventa possibile”[5] ( p. 125)
Antigone prevede di trovare un contatto profondo con il fratello Polinice già morto dopo la propria morte "io amata, giacerò con lui, con l'amato,/dopo avere compiuto un'illegalità santa: poiché è più lungo il tempo/nel quale bisogna che piaccia a quelli di sotto che a questi qua sopra" (Sofocle, Antigone, vv. 73-75)
Antigone si prende cura del cadavere di Polinice che il fratello della loro madre, Creonte, vorrebbe lasciare in pasto ai cani e agli uccelli perché ha combattuto contro la patria. Il fratello di Antigone dunque è l’ultimo, l’ultimo dei morti addirittura,
“Altri in quanto ‘altri’ non è solo un alter ego. Esso è ciò che io non sono: è il debole mentre io sono il forte; è il povero, ‘la vedova e l’orfano’ ”[6]
La principessa dei Feaci, Nausicaa annuncia il dovere religioso e morale di prendersi cura di chi ne ha bisogno
La figlia del re Alcinoo vuole aiutare Ulisse giunto naufrago nell’isola di Scheria e dice queste parole alle ancelle in fuga spaventate dall’aspetto miserabile e orribile di Odisseo : “ to;n nu`n crh; komevein: pro;~ ga;r Dio;~ eijsin a[pante~-xei`noiv te ptwcoiv te, dovsi~ d j ojlivgh te fivlh te” (Odissea, VI, 207-208) dobbiamo prenderci cura di questo: da Zeus infatti vengono tutti gli stranieri e i poveri, e un dono pur piccolo è caro.
Le stesse parole (Odissea, XIV, 57-59) dice Eumeo il guardiano dei porci di Itaca quando Ulisse gli si presenta travestito da mendicante irriconoscibile e il porcaio lo accoglie ospitalmente spiegandogli che non è suo costume maltrattare lo straniero (xei`non ajtimh`sai), nemmeno quando ne arriva uno kakivwn più malconcio di lui.
In definitiva –ribadisce Levinas in Il Tempo e l’Altro “la socialità in Heidegger si ritrova all’interno del soggetto solo ed è in termini di solitudine che viene condotta l’analisi del Dasein, nella sua forma autentica[7]” (Nodari, p. 126)
“Di contro, per Levinas, l’intersoggettività viene da eros tanto da potare il filosofo ebreo lituano a scrivere nei Carnets: “Eros come momento centrale”, Eros alla base del sociale” (Nodari postfazione. P. 128)ù
Presento questa citazione per la seconda volta perché davvero omnia vincit Amor, et nos cedamus amori " (Virgilio, Ecloga X, v. 69
Pesaro 22 luglio 2022 ore 10, 15
giovanni ghiselli
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