Secondo episodio (451-636) Il ritorno di Eracle
Megara entra chiedendosi dov’è il sacerdote iJereuv" empio, sfageuv", foneuv", strangolatore, assassino (sembra di leggere Lucrezio) che porrà fine alla vita delle vittime (ta; quvmata, 453) ossia lei stessa, i suoi figli e il loro nonno.
Figli allevati come oggetto di oltraggio (u{brisma) e motivo di gioia maligna kajpivcarma, e di strage per i nemici. Megara ricorda i progetti di Eracle per i tre figli rivolgendosi ai bambini: a te il padre morto assegnava Argo con il palazzo di Euristeo e la terra Pelasgia l’Argolide, dai bei frutti. Sul tuo capo metteva la veste di pelle del fiero leone stolhvn te qhro;" ajmfevballe sw'/ kavra-levonto" (465-6)/ con la quale lui stesso si armava.
Al secondo dice: tu dovevi essere Qhbw'n tw'n filarmavtwn a[nax (467) signore di Tebe che ama i carri (cfr. Pindaro, Istmica VIII, 20) erede delle pianure della terra di Megara, e nella destra ti metteva xuvlon (471), il legno, la clava ajlexhthvrion, daivdalon, uno strumento di difesa lavorato con arte , eppure yeudh' dovsin (471), dono fallace.
Al terzo sarebbe andata Ecalia (in Eubea) che Eracle aveva conquistato con gli archi lungi saettanti (eJkhbovloi" tovxoisi, 473).
Cfr Edipo re di Sofocle: nella parodo il coro invoca Atena, Artemide kai; Foi'bon ejkabovlon e Febo che scaglia lontano (bavllei eJkav"=lontano) perché tornino (e[lqete kai; nu'n, con ricordo di Saffo[1]) a mettere fuori luogo la fiamma della pena (ejktopivan flovga phvmato" (antistrofe, 158-167)
Tutti e tre dunque avrebbero avuto un regno. Megara aggiunge : io sceglievo per voi le prime ragazze della terra di Atene, Sparta, Tebe, perché aveste una vita felice wJ" e[coit j(e) bivon eujdaivmona (479) ormeggiati-ajnhmmevnoi-ajnavptw- con gomene di poppa.
Ma ora tau'ta frou'da (480), questo è dileguato (pro; oJdou'). Ora la tuvch metabalou'sa, la sorte mutata ha mandato come spose le Chere (nuvmfa" Kh'ra", 481, dèe della sventura, latrici di morte, malattie, vecchiaia cfr. Mimnermo) e invece dell’acqua lustrale per il bagno nuziale le lacrime della madre. Il nonno prepara il banchetto mentre il suocero penqerov" (484) è Ade, il padre delle Chere, kh'do" pikrovn, parentela amara.
Megara si paragona a una xouqovptero" mevlissa (488), un’ape dalle ali veloci che raccoglie il nettare: così lei deve raccogliere i gemiti dei figli e versarli tutti in un unico pianto (489).
La donna conclude invocando Eracle che le appaia anche solo come ombra kai; skia; favnhqiv moi (494). Infatti quelli che ammazzano i tuoi figli sono kakoiv, dei vigliacchi (496)
Anfitrione ricorda a Zeus che l’ha già invocato. Però mavthn ponw', mi affatico invano (501) e a quanto pare wJ" e[oike, qanei'n ajnagkaivw" e[cei (502) morire è necessario. La vita, dice ai vecchi del coro è smikrav (503) è piccina, perciò passatela o{pw" h{dista senza angosciarvii dal giorno alla notte. Poiché il tempo non sa conservare le speranze wJ" ejlpivda" me;n oJ crovno" oujk ejpivstatai-sw/zein, e mentre si affretta (spoudavsa") si è già dileguato (dievptato) (506-507).
Cfr. A Silvia di Leopardi: “O natura, o natura,
perché non rendi poi
quel che prometti allor? perché di tanto
Inganni i figli tuoi?
Tu pria che l’erbe inaridisse il verno
da chiuso morbo combattuta e vinta,
perivi, o tenerella (…)
Anche peria fra poco
La speranza mia dolce: agli anni miei
Anche negaro i fati
La giovanezza.
Cfr. Nella prima scena di Love’s Labour’ s lost[2], Ferdinando re di Navarra definisce il tempo “cormorant devouring Time” (I, 1), il cormorano che ci divora.
Io ero ammirato dai mortali per le mie opere, continua Anfitrione, e la sorte in un sol giorno mi ha portato via come una piuma nell’aria ( kaiv m j ajfeivleq j hJ tuvch- w{sper ptero;n pro;" aijqevr j hJmevra/ mia'/ (509-510). Né la prosperità né la grande fama sono garantite ad alcuno.
Orazio, Odi I, XI
Tu ne quaesieris, scire nefas, quem mihi, quem tibi
finem di dederint, Leuconoe, nec Babylonios
temptaris numeros. ut melius, quidquid erit, pati.
seu pluris hiemes seu tribuit Iuppiter ultimam,
quae nunc oppositis debilitat pumicibus mare
Tyrrhenum: sapias, vina liques, et spatio brevi
spem longam resĕces. dum loquimur, fugerit invida
aetas: carpe diem quam minimum credula postero.
Tu non chiedere (è un orrore saperlo) quale termine a me, quale
a te abbiano assegnato gli dèi, Leuconoe, e non provare
i calcoli astrologici. Com'è meglio prendere qualsiasi cosa verrà!
Sia che Giove ti abbia assegnato parecchi inverni, sia questo l'ultimo
che ora sulle opposte scogliere corrose stanca il mare
Tirreno, sii saggia, fai passare il vino, e, siccome lo spazio è breve,
dai un taglio alla speranza lunga. Mentre parliamo, sarà fuggito invidioso
il tempo della vita: cogli il dì presente e al futuro dai credito meno che puoi.
Diventeremo tutti cenere ombra e pettegolezzo prima o poi, ma entro cento anni di sicuro.
“Indulge genio, carpamus dulcia, nostrum est
quod vivis, cinis et manes et fabula fies (Persio, V, 151-152) asseconda il tuo spirito, cogliamo il piacevole, nostro è solo il tempo della vita, diventerai cenere e ombra e pettegolezzo.
Dunque smettiamo di odiare, di calunniare, di mentire fingendo di essere quello che non siamo.
Cerchiamo di lasciare alcune tracce buone del nostro passaggio sulla terra: siamo solo inquilini cives huius orbis.
Nell’Alcesti il personaggio Eracle anticipa il carpe diem oraziano :
"Tutti i mortali devono morire, 782
e non c'è nessuno degli uomini che sappia
se il giorno dopo sarà ancora in vita:
infatti non è chiaro verso dove procederà il cammino della sorte,
e non è possibile insegnarlo né si può apprendere con una tecnica (oujd j aJlivsketai tevcnh/).
"Dunque, avendo udito e imparato queste verità da me,
rallegrati, bevi, calcola come tua la vita
di ogni giornata, il resto invece della sorte- ta; d j a[lla th`" tuvch" (789)
Onora in particolare la più dolce delle dèe
per i mortali: Cipride, infatti è una dea benevola" eujmenh;~ ga;r hJ qeov~.791
Torniamo all’Eracle
Finalmente arriva Eracle e Megara lo indica al vecchio, quindi ai bambini come Zeus Salvatore.
Eracle è stupito non meno di chi lo accoglie, in quanto vede lacrime e ornamenti funebri.
Chiede ad Anfitrione in quale scompiglio sia arrivato (tivn j ej" taragmo;n h{komen, pater; 533)
Risponde Megara chiedendo scusa al suocero per avergli rubato la scena, ma la femmina è in qualche modo più lamentosa dei maschi (to; qh'lu gavr pw" ma'llon oijktro;n ajrsevnwn (536) e lei con i figli era vicina a morire.
Segue una sticomitia di 24 versi tra Eracle e la moglie.
La donna informa il marito della morte del padre Creonte e dei fratelli uccisi da Lico il nuovo padrone della terra malata per una guerra civile (stavsei, 543).
Cfr. Tucidide sulla stavsi", la più sconvolgente delle guerre (III, 82).
Megara lamenta la lontananza del pudore aijdwv" dalla violenza di Lico. E pure il fatto che all’uomo in disgrazia non rimangono amici
Eracle ricorda i benefici fatti ai Tebani quando sconfisse i Minii di Orcomeno liberando i Cadmei dal tributo che pagavano.
Megara ripete a[filon to; dustucev" (561, l’ultimo verso della sticomitia), la sfortuna è priva di amici.
Eracle incoraggia i suoi ad alzare lo sguardo verso la luce , caro compenso rispetto alla tenebra di sotterra - tou' kavtw skovtou -fivla" ajmoibav", 563-564). Egli taglierà la testa dell’empio e la getterà in pasto ai cani, inoltre punirà gli ingrati.
Userà la clava e le frecce riempiendo l’Ismeno di cadaveri e tingendo Dirce con il sangue.
Poi dice addio alle fatiche cairovntwn povnoi (575). E’ più importante difendere la famiglia.
Anfitrione consiglia cautela: mh; ejpeivgou livan (586), non affrettarti troppo. Eracle ne chiede il motivo e Anfitrione spiega che il pericolo viene dal sottoproletariato: il tiranno ha come alleati molti poveri che si danno l’aria di ricchi con le parole (588-589). Sono loro che hanno suscitato la guerra civile e rovinato la polis
E’ il Lumpenproletariat, i Lazzaroni cenciosi la plebaglia stracciona confusa, accozzaglia di elementi declassati, pronti a seguire il primo avventuriero reazionario disposto a blandirli o a pagarli.
Questi si erano impoveriti dissipando i propri averi nell’ozio e hanno cercato un compenso ejf j aJrpagai'si tw'n pevla" con le rapine della roba del prossimo (591)
Ma Eracle ha già preso delle precauzioni: poiché aveva visto un uccello in un luogo infausto (596), ha capito che c’erano dei guai in casa ed è entrato kruvfio" (598) di nascosto nel territorio.
Cfr. volatus avium dirigit deus.
Anfitrione dunque consiglia di aspettare in casa Lico che verrà per ammazzare la donna, il vecchio e i bambini. Povlin mh; taravxh/", non sconvolgere la città prima di avere sistemato bene questo aspetto 605.
Eracle dice che tornato dopo lungo tempo dagli abissi senza sole –crovnw/
d j ajnelqw;n ejx ajnhlivwn mucw'n di Ade e di Core non trascurerà gli dèi della casa. Poi aggiunge che ha sconfitto e portato via la belva a tre teste, qh'ra trivkranon (611), ed ebbe successo anche per avere visto i riti degli iniziati- ta; mustw'n d j o[rgi j eujtuvchs j ijdwvn (613)
Apollodoro scrive che Eracle potè assistere ai misteri solo dopo essere stato purificato da Eumolpo per l’omicidio dei Centauri-aJgnisqei;" uJpo; Eujmovlpou tovte ejmuvqh (II, 5, 122).
Il cane tricefalo è stato portato nella città di Ermione nel bosco sacro di Demetra Ctonia (615). Il luogo si trova nella punta meridionale dell’ Argolide, vicino a Trezene la patria di Teseo.
Il tempo della catabasi è stato lungo perché Eracle ha impiegato fatica per portare via Teseo dall’Ade- Qhvsea komivzwn ejcrovnis j ejx {Adou (619)
Quindi l’amico liberato è tornato ad Atene contento di essere sfuggito da sotterra nevrqen a[smeno" fugwvn (621).
In fine di episodio Eracle incoraggia i figli e la moglie che si sono attaccati alle sue vesti: non sono alato (pterwtov", 628) e non abbandonerò i miei cari. Una battuta che ha del comico per divertire i bambini i quali però continuano a stare aggrappati al padre.
Allora l’eroe utilizza la metafora frequente (a partire da Iliade X, 173) del procedere ejpi; xurou' sul filo del rasoio come è accaduto ai suoi cari. Assicura che li guiderà come una nave trae a rimorchio le scialuppe. Eracle ama i figli come del resto tutti gli umani che hanno questo sentimento in comune (pa'n filovteknon gevno", 636) mentre differiscono nel patrimonio (crhvmasin de; diavforoi).
Ma si pensi a Medea
Pesaro 26 luglio 2022 ore 11, 21
giovanni ghiselli
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