Primo Episodio 213-431. Prima pate 213-325
Il Coro mette in rilievo la colpa di Elena (aijtivan e[cei, 213) la sorella di tua madre. Alla fine di questa tragedia tuttavia Castore annuncia che Elena non è mai andata a Troia dove Zeus mandò un ei[dwlon
J Elevnh" secondo la palinodia di Stesicoro ripresa poi dalla tragedia Elena (del 412)
Elettra vede degli stranieri acquattati presso la casa (216)
Oreste si presenta a Elettra non riconosciuto e le dice che deve darle un messaggio da parte del fratello (v. 228)
Elettra indica la casa dove abita lontana da tutto –thloro;" naivw 25 th'le-o{ro". Ai confini del mondo. Con questo aggettivo la ragazza significa di nuovo la propria desolazione,
Oreste conferma: skafeuv" ti" h] bouforbo;" a[xio" dovmwn (252), uno zappatore (skavptw) o un bovaro (bou'" e fevrbw, nutro) sarebbe degno di tale casa.
Elettra ribatte che l’uomo suo coabitante è povero ma nobile e rispettoso verso di lei-pevnh" ajnh;r gennai`o" e[" t e[m j eujsebhv" ( 253)
Oreste domanda quale rispetto nei confronti di lei ha dimostrato il suo sposo
Non ha mai osato toccare il mio letto oujpwvpot eujnh'" th'" ejmh'" e[tlh qigei'n (255)
Oreste domanda se il marito abbia in mente una castità religiosa- a[gneum j e[cwn ti qei'on o disdegni la sposa-h[ s j aajpaxiw'n (256)
No, è un fatto di u{bri" evitata: non riteneva giusto uJbrivzein i miei genitori (257) risponde Elettra. E’ una forma di u{bri" classista
Egisto voleva che Elettra generasse figli deboli (ajsqenh') dandola a un uomo siffatto (268)
E’ il calcolo del re dei Medi Astiage nei confronti del nipote che sarà invece Ciro il Grande, Ciro il Vecchio.
Ciro venne indicato in maniera enigmatica a Creso dall’oracolo di Delfi come il mulo in quanto nato da padre e madre di razze diverse: la madre (Mandane) di lgnaggio più alto, il padre (Cambise), di molto inferiore:"h\n ga;r dh; oJ Ku'ro" ou|to" hJmivono": ejk ga;r duw'n oujk oJmoeqnevwn ejgegovnee, mhtro;" ajmeivnono", patro;" de; uJpodeestevrou"(Erodoto, I, 91, 5).
Questo accoppiamento incongruo fu deciso da Astiage, il padre di Mandane che temeva il figlio della figlia in seguito a due sogni fatti e a come vennero interpretati.
Nello stesso modo si comporta Riccardo III con la figlia di suo fratello, il duca di Clarence già fatto assassinare: “His daughter meanly have I match’d in marriage” ( Riccardo III, IV, 3), sua figlia l’ho accoppiata in matrimonio meschino.
Oreste domanda ancora se deve riferire queste parole al fratello assente e se le cose da lei dette sono bevbaia, solide, stabili.
Elettra risponde morirei mentre spargo il sangue di mia madre sgozzata. (qavnoimi mhtro;" ai|m j ejpisfavxas j ejmh'" 281). Viene tradotto di solito “pur di sgozzare” ma io preferisco mantenere l’ambiguità dell’espressione che ricorda il v. 438 delle Coefore dove Oreste in un Commo con il Coro e con Elettra dice che la madre dovrà scontare la pena a opera delle proprie mani e si augura e[peit j ejgw; nosfivsa" ojloivman, poi dopo averla privata della vita, che io possa morire.
La pietà si trova nei sofoiv, tuttavia in effetti non è indenne da pena il fatto che nei sofoiv ci sia un’intelligenza troppo sapiente – kai; ga;r oujd j ajzhvmion-gnwvmhn ejnei'nai toi'" sofoi'" livan sofhvn (296)
Insomma anche l’eccesso di sapere può essere un’ u{bri" se il sapere non è sapienza
Lo dicono le Menadi di Euripide nel I Stasimo "to; sofo;n d j ouj sofiva" (Baccanti , v. 395)
Insomma: la sapienza sa di vita. Il sapere che non comprende non ama, non aiuta la vita è morto
Sentiamo il piccolo grande uomo del film Il grande dittatore di Chaplin: “Our knowledge has made us cynical, our cleverness hard and unkind. We think to much and feel to little. More than machinery we need humanity. More than cleverness we need kindness and gentleness”, la nostra conoscenza ci ha resi cinici, la nostra intelligenza duri e scortesi. Noi pensiamo troppo e sentiamo troppo poco. Più che di macchinari abbiamo bisogno di umanità. Più che di intelligenza abbiamo bisogno di bontà gentilezza.
Elettra rinnova a Oreste non ancora riconosciuto la richiesta di riferire il racconto dei suoi mali al fratello.
Innanzittutto digli in quali vesti vivo (oi{oi" pevploi" aujlivzomai 304) e da quanta sporcizia (pivnw/) sono aggravata (bevbriqa), sotto quale tetto abito, fuori dal palazzo reale, io stessa preparando con fatica le vesti al telaio- ejmocqou'sa kerkivsin pevplou" 307, altrimenti avrò il corpo nudo e rimarrò spogliata, mentre io stessa trasporto le acque delle sorgenti (309)
Esclusa dalle feste sacre ajnevorto" –eJorthv- iJerw'n, 310) e privata delle danze-kai; corw'n thtwmevnh-thtavomai-
Cfr. Leopardi : “o Nerina, a radunanze, a feste-tu non ti acconci più, tu più non movi” Le ricordanze, 160-161
Inoltre continua Elettra, evito le donne sposate-ajnaivnomai gunai'ka" (311) dal momento che sono vergine, e mi vergogno davanti a Castore aijscuvnomai de; Kastor j (a) che prima di salire tra gli dèi chiedeva in sposa me che ero del suo gevno".
La madre mia intanto siede sul trono in mezzo al bottino di Troia, e vicino al suo seggio stanno le ancelle asiatiche, quelle che mio padre portò via nel saccheggio (e[pers j 316), avvolte in mantelli dell’Ida (favrh acc di relazione da favro"-ou"-) dalle febbie d’oro-crusevai" povrpaisin-povrph cfr. peivrw, trafiggo. Insomma le ancelle vengono trattate meglio della figlia.
Inoltre il sangue del padre nero è marcito ai|ma mevlan sevshpen-shvpw- (319) sotto il tetto, ma chi lo ha ucciso, salendo sullo stesso suo carro se ne va in giro, ed è fiero di impugnare con le mani lorde di sangue –miaifovnoisi cersi; gaurou'tai labwvn-322-lo scettro con il quale guidava l’esercito (il padre mio).
Elettra racconta a Oreste la propria desolazione, le umiliazioni e i dolori, tra i quali le tocca vedere la tomba di Agamennone disonorata- jAgamevmnono" de; tuvmbo" hjtimasmevno"-ajtimavzw- aj privativo e timhv onore (v. 323): infatti “non ha mai ricevuto libagioni né un ramoscello di mirto, e il tumulo sepolcrale è privo cevrso" di offerte funebri (vv. 324-325).
Non avevo capito del tutto il senso di “dishonoured in Sweeny among the nightingales di T. S. Eliot:
““Gli usignoli cantano vicino al convento del Sacro cuore
E cantarono nel bosco insanguinato
Quando Agamennone forte gridò
E lasciarono cadere le loro feci liquide
A macchiare il rigido disonorato sudario to stain the stiff dishonoured shroud” (vv. 36-40).
Sweeny tra gli usignoli in Poesie 1920)
Ho trovato la fonte che mi ha dato piena comprensione di questo verso inglese nell’Elettra di Euripide che preparai nel 2019 per presentare il dramma nel liceo Pirandello di Bivona. Ora lo rivedo, correggo e amplio per il corso del prossimo autunno alla Primo Levi di Bologna.
Le stesse cose ritornano e mi sento in dovere di lavorarci ancora, di migliorarle per non diventare un fuco privo di pungiglione.
Pesaro 9 luglio 2022 ore 10
giovanni ghiselli
p. s
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Nei mesi estivi i lettori calano. Rendo ringraziamenti e onore a quanti leggono pure nel tempo e nel luogo delle vacanze.
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