NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

Ciclo di incontri alla biblioteca «Ginzburg». Protagonisti della storia antica

LE NUOVE DATE! Protagonisti della Storia Antica | Biblioteche Bologna   -  Tutte le date link per partecipare da casa:    meet.google.com/yj...

sabato 2 luglio 2022

Il mito VII parte. Nietzsche e il mito nella tragedia.

La nascita della tragedia (XXIII).

Il tramonto della tragedia fu nello stesso tempo il tramonto del mito.

Su Euripide grava una tradizione di critica malevola, e pure pettegola, che risale alla commedia antica e arriva a Nietzsche il quale in La nascita della tragedia accusa il drammaturgo di avere commesso un sacrilegio imborghesendo il mito, storpiandone i protagonisti e uccidendo, con lo spirito eroico, quello religioso, musicale e artistico, fiorito nell'età tragica dei Greci. Lo scadimento della tragedia del resto, secondo il filosofo tedesco, inizia già con Sofocle: Euripide porta avanti il processo degenerativo che troverà il suo compimento nella commedia nuova attica.

 

Con buona pace di Nietzsche, Socrate non è ascrivibile alla cultura antimitica.

Nel prologo del Fedro Socrate dice a Fedro che se non credesse al mito di Borea che rapì Orizia figlia del re Eretteo, come non ci credono oiJ sofoiv, non sarebbe l’uomo strano (a[topo~) che è (229c). Potrei dire, facendo il sapiente sofizovmeno~, che un colpo di vento di Borea gettò Orizia giù dalle rupi o dall’Areopago. È un’interpretazione ingegnosa, ma chi la fa, poi deve raddrizzare gli Ippocentauri, la Chimera, e Gorgoni e Pegasi e tutte le stranezze della natura. E per questo ci vuole molto tempo libero: ejmoi; de; pro;~ aujta; oujdamw`~ scolhv (229e).

Io non sono ancora in grado di conoscere me stesso secondo l’iscrizione delfica ouj duvnamai pw kata; to; delfiko;n gravmma gnw`nai ejmautovn  perciò mi sembra ridicolo geloi`on dhv moi faivnetai (229e) indagare cose che mi sono estranee - ta; ajllovtria skopei`n. Dunque dico addio a tali questioni, esamino me stesso skopw` ejmautovn, per vedere se per caso io non sia una bestia più intricata e più invasa da brame di Tifone, o se sono un essere vivente (zw`/on) più mite e semplice, partecipe per natura di una sorte divina e priva di superbia fumosa (Fedro, 230a)

 

Congiungendo al mito il presente, questo appariva sub specie aeterni, e nel fiume del senza tempo si tuffavano lo Stato e l’arte. “Un popolo come del resto  anche un uomo vale solo in quanto sa imprimere nelle sue vicende l’impronta dell’eterno” (La nascita della tragedia, 23).

 Il contrario avviene quando un popolo comincia concepirsi storicamente e ad abbattere il mito (cfr. il to; mh; muqw`de~ di Tucidide I, 22, 4).

“L’arte greca e principalmente la  tragedia greca ostacolarono soprattutto la distruzione del mito”.

Morta la tragedia, intervenne una febbrile ricerca che accumulò superstizioni e miti raccattati da ogni parte; in mezzo a questo il Greco si arrestò e mascherò quella febbre con serenità greca divenendo greculo, oppure si stordì in qualche cupa superstizione orientale.

In età moderna continua la stessa mostruosa mondanizzazione, un avido accalcarsi a tavole straniere, una frivola divinizzazione del presente tutto sub specie saeculi, sempre con la distruzione del mito. Trapiantare un mito straniero significa danneggiare l’albero. Lo spirito tedesco deve rigettare gli elementi trapiantati che consumano l’albero ammalato e intristito o snaturato in un morboso lussureggiare. La vittoria cruenta nell’ultima guerra può far pensare che abbiamo cominciato a espellere l’elemento neolatino.

 

Cfr. Scopenhauer sul francese: questo miserrimo gergo romanzo, questa pessima mutilazione di parole latine, con la peculiarità di un disgustoso suono nasale, come pure il singhiozzante accento così indicibilmente ripugnante sull’ultima sillaba. Invoco il biasimo dell’Europa tutta contro gli spudoratissimi fanfaroni che la definiscono langue classique (Parerga e Paralipomena. p. 723).

 

 

 

Nietzsche, La nascita della tragedia, capitolo XXIV (pp. 156-161)

Il contenuto del mito tragico è innanzitutto, un accadimento epico con la glorificazione dell’eroe che lotta. La sofferenza dell’eroe esemplifica la saggezza del Sileno che comprende il brutto e il disarmonico. Ma l’arte non è solo imitazione della realtà naturale, bensì è pure un supplemento metafisico della realtà di natura, postole accanto per superarla. Il mito tragico ha questa funzione trasfiguratrice che deve suscitare un piacere estetico prima che morale. Ebbene il mito tragico deve convincerci che perfino il brutto e il disarmonico sono parte di un gioco artistico che la volontà gioca con se stessa nell’eterna pienezza del suo godimento. La dissonanza musicale ci fa capire questo fenomeno originario dell’arte dionisiaca. Il fenomeno dionisiaco ci rivela che il gioco di costruzione e distribuzione del mondo individuale è l’efflusso di una forza primordiale, come si può capire anche dal frammento di Eraclito: “aijw;n pai`~ ejsti paivzwn, pesseuvwn, paidio;~ hJ basilhivh (D. 48), il tempo è un fanciullo che gioca su una scacchiera, è il regno di un fanciullo (aijwvn (cfr, ajeiv e lat. aevum, è il tempo, la vita, l’eternità).

 

  Dunque la forza formatrice del mondo “viene paragonata da Eraclito l’oscuro a un fanciullo che giocando disponga pietre qua e là, innalzi mucchi di sabbia e di nuovo li disperda”

 Musica e mito sono parenti. Quando decade uno si intristisce anche l’altra. L’ottimismo socratico comporta un’esistenza senza miti, un’arte abbassatasi a divertire, una vita guidata da concetti. Ma lo spirito tedesco che riposava in un inaccessibile abisso, intatto nella sua splendida salute, simile a un cavaliere dolcemente assopito, fa salire fino a noi il canto dionisiaco. Questo canto un giorno annienterà i nani maligni e desterà Brunilde.

La nascita della tragedia.  Capitolo XXV

Musica e mito tragico provengono da un dominio artistico che è al di là dell’apollineo, e giustificano l’esistenza del peggiore dei mondi.  Il dionisiaco suscita all’esistenza tutto il mondo dell’apparenza anche l’orrido, e quindi è necessario l’apollineo. La dissonanza se si facesse uomo che di fatto è dissonanza, ha bisogno per vivere di una magnifica illusione che lo copra con il velo della bellezza. Questo è il fine artistico di Apollo che illudendo con la bella apparenza rende la vita degna di essere vissuta.

Insomma la bellezza giustifica la vita e ribalta la sapienza silenica: allora vivere diventa il bene supremo, e Achille nell'Ade chiede a Odisseo di non volere consolarlo della morte ("mh; dh; moi qavnaton ge parauvda, Odissea , XI, 488).

Il Pelide nella Nevkuia dice al figlio di Laerte " non consolarmi della morte, splendido Odisseo./Io preferirei essendo un uomo che vive sulla terra servire un altro,/presso un uomo povero, che non avesse molti mezzi per vivere,/piuttosto che regnare su tutti i morti consunti"(Odissea , XI, 488-491).

E' il ribaltamento della sapienza silenica[1]:  essere vivi diventa il valore supremo. "Per esprimere con impressionante efficacia il suo rimpianto per la vita, il morto Achille dice a Odisseo che lo incontra nell'oltretomba: vorrei lavorare come un thes ( qhteuevmen[2], Od. XI, 489)"[3].

Già nel IX canto dell’Iliade Achille aveva detto che niente ha lo stesso valore della vita: “ouj ga; r ejmoi; yuch`~ ajntavxion (v. 401) non le ricchezze di Ilio prima della guerra, non quanto racchiude la soglia di pietra del tempio di Apollo, Puqoi` e[ni petrhevssh/.  (405)

Buoi e grassi montoni si possono rapire, i tripodi si possono comprare e pure bionde criniere di cavalli, ma la vita di un uomo (ajndro;~ de; yuchv) non la puoi rapire né afferrare (ou[q j eJlethv) perché torni indietro, quando ha superato la chiostra dei denti (405-408).

 

 

La bellezza giustifica la vita

-Cfr. Foscolo All’amica risanata (1802, Antonietta Fagnani Arese): “sorgon così tue dive/membra dall’egro talamo,/e in te beltà rivive,/l’aurea beltate ond’ebbero/ristoro unico a’ mali/le nate a vaneggiar menti mortali”.-

 

La forza di trasfigurazione apollinea abbellisce il sostrato dionisiaco del mondo. Le rigogliose espressioni di bellezza intervengono proprio dove le forze dionisiache si levano più impetuosamente

Se potessimo tornare nella Grecia più antica, vedendo uomini dall’incedere solenne, dai movimenti leggiadri, esclameremmo: “Beato popolo degli Elleni! Come deve essere stato grande tra voi Dioniso, se il dio di Delo ritiene necessari tali incantesimi per guarire la vostra follia ditirambica!” (p. 162)

Ma un vecchio ateniese guardando con il sublime occhio di Eschilo potrebbe replicare: aggiungi però questo, tu bizzarro straniero: quanto dovette soffrire questo popolo per diventare così bello!” (cfr. tw`/ pavqei mavqo~, Agamennone, 177).

 

Sulla sofferenza positiva Nietzsche si esprime in Di là dal bene e dal male[4]:"il grado gerarchico di un uomo è quasi determinato dal grado di profondità cui è capace di giungere la sofferenza degli uomini,-la sua raccapricciante certezza…di sapere di più grazie alle sue sofferenze"[5].

F. Dostoevskij in Ricordi del sottosuolo (del 1864) scrive:" io sono convinto che l’uomo non rinuncerà mai alla vera, autentica sofferenza, e cioè alla distruzione e al caos. Giacché la sofferenza è la vera origine della coscienza…  In realtà io continuo a pormi una domanda oziosa: che cos'è meglio, una felicità da quattro soldi o delle sublimi sofferenze? Dite su, che cos'è meglio?" (p. 234 e p. 320).

 

giovanni ghiselli bologna 2 luglio oe 18, 12

      

 



[1] Questa  considera primo bene non essere nati, poi, come secondo, morire appena nati.

 

[2]  infinito atematico con desinenza  -men (considerato un eolismo come vedremo) del verbo qhteuvw che   significa "lavoro come salariato, qhv""; ebbene, commenta M. Finley, "Un thes , non uno schiavo, era l'ultima creatura sulla terra che Achille potesse pensare. Il terribile per un thes  era il fatto di non avere legami, di non appartenere a nulla" (Il mondo di Odisseo , p. 39).

[3]F. Codino, Introduzione a Omero , p. 128.

[4] Del 1875

[5] Che cosa è aristocratico, 270

Nessun commento:

Posta un commento