lunedì 26 giugno 2023

Percorso sull’amore VIII. Quarta parte. L'aspetto degli uomini e delle donne.


 

 

L'aspetto degli uomini e delle donne.

 Il valore e la forza, anche fuorviante, della bellezza fisica. La potenza politica, e seduttiva, della parola. La giustificazione estetica dell'esistenza umana.

 

 

 

L'aspetto degli uomini e delle donne. Il valore e la forza della bellezza esteriore. La potenza politica e seduttiva della parola.

 In effetti noi uomini ci inchiniamo davanti al  numen  della bellezza femminile e mentre la brutta che tradisce (cosa paradossalmente più probabile) è un'asina, una scrofa o o una cagna scostumata, degna per lo meno di lapidazione, sull'adultera bella nessuno scaglia la prima pietra poiché tutti vorrebbero fornicare con lei.

Isocrate prende spunto dal magnifico aspetto di Elena per elogiare la bellezza come "semnovtaton kai; timiwvtaton kai; qeiovtaton tw'n o[ntwn" (Elena, 54), la più nobile, la più preziosa e la più divina tra le cose esistenti.

Essa si incarna nelle persone belle verso le quali, appena le vediamo, siamo benevoli, e non ci stanchiamo di venerarle, come se fossero dèi, anzi preferiamo asservirci a  loro che comandare gli altri (Elena , 56-57). Zeus stesso, signore del tutto, non sdegna di farsi umile pur di accostarsi alla bellezza ("pro;" to; kavllo" tapeino;" genovmeno"", 59). Infatti prese diversi aspetti per unirsi a donne mortali.

   

 Leopardi  nello Zibaldone  nota un altro effetto della bellezza.

 L'osservazione parte da alcuni versi della Canzone  XIV di Petrarca Chiare fresche e dolci acque "Quante volte diss'io/allor pien di spavento:/Costei per fermo nacque in paradiso!"[1]

Seguono, in greco, i vv. 5-6 dell'ode di Saffo (fr. 2D) tradotta da Catullo (51), quelli nei quali la poetessa dichiara lo sconvolgimento del suo cuore alla vista dell'amata che amabilmente sorride.

 Poi viene il commento:" E' proprio dell'impressione che fa la bellezza...su quelli d'altro sesso che la veggono o l'ascoltano o l'avvicinano, lo spaventare, e questo si è quasi il principale e il più sensibile effetto ch'ella produce a prima giunta, o quello che più si distingue e si nota e risalta. E lo spavento viene da questo, che allo spettatore o spettatrice, in quel momento, pare impossibile di star mai più senza quel tale oggetto, e nel tempo stesso gli pare impossibile di possederlo com'ei vorrebbe"(pp. 3443-3444).

Parole che dderivano dall’inesperienza. Una relazione che finisce è un rapporto diventato noioso per uno dei due e odioso per l’altro: è bene che finisca.

 

Vediamo alcune parole del romanzo L'idiota di Dostoevskij sulla bellezza femminile, quella di Aglaja Ivanovna  :" Voi siete bella, Aglaja. Siete tanto bella che si ha paura a guardarvi (…)E' difficile giudicare la bellezza..La bellezza è un enigma (...). Sono parole del principe Myškin

“Una bellezza simile è una forza” rispose Adelaida con ardore. “Con una simile bellezza si può rovesciare il mondo"[2].

 

Sentiamo Tolstoj sulla potenza, spesso fuorviante, della bellezza. Chi parla è Pòzdnyshev il protagonista di La sonata a Kreutzer (1889) il quale racconta come è arrivato a uccidere per gelosia la moglie, una donna bella ma non adatta a lui:" E' cosa davvero sorprendente con quanta facilità siamo indotti a illuderci che bellezza e bontà siano insieme congiunte. Quando una bella donna dice delle sciocchezze, stai a sentirla volentieri, e per quante papere ella dica, ti sembra intelligente. Se si comporta e parla come una villana, ti appare avvenente e gentile. Quando poi ella non dice né sciocchezze né cose disdicevoli, ed è anche graziosa, allora credi sul serio ch'ella sia un miracolo d'intelligenza e moralità"[3].

 E più avanti:"l'amore più eletto e più poetico, come noi diciamo, non dipende per nulla dalle doti dello spirito, ma dalla fisica attrazione, da una pettinatura invece di un'altra, dal colore, dal taglio d'un abito…soltanto il corpo noi desideriamo, siamo pronti a perdonare ogni bruttura[4], ma non già la scelta d'un abito senza garbo né grazia, ma non già un tono di colore che strida. La civetta ha di tutto ciò perfetta conoscenza, ma anche l'innocente fanciulla lo sa per istinto, come gli animali. Ed ecco il motivo di quei maledetti jersey, di quegli abiti attillati, scollacciati, di quelle braccia nude, di quei seni mostrati. Le donne, specie quelle donne che hanno già esperienza di uomini, sanno bene che conversare su alti argomenti approda a ben poco, all'uomo non preme altro che il corpo, quanto può farlo risaltare, sia pure con mezzi artificiosi, e a ciò si adoperano le donne." (p. 325).

 

La donna attraente ha per dote una potenza che non la abbandona del tutto nemmeno nelle situazioni più miserevoli, almeno finchè le rimane la bellezza:"Anche la Màslova si era formata questa opinione nella sua vita e sul suo posto nel mondo. Era una prostituta, condannata alla galera, e ciò nonostante si era creata una concezione della vita per cui poteva approvare se stessa  e perfino vantarsi della sua condizione davanti alla gente. Ecco in che consisteva questa concezione: l'interesse principale di tutti gli uomini, di tutti senza eccezione, -vecchi, giovani, ginnasiali, generali, colti, ignoranti,-sta nei rapporti sessuali con le donne attraenti, e perciò tutti gli uomini, pur fingendo di occuparsi di altre cose, in fondo desiderano questa sola. Essa, che era una donna attraente, poteva soddisfare o non soddisfare codesto loro desiderio, ed era quindi una persona importante e necessaria. Tutta la sua vita precedente e attuale le confermava la giustezza di tale opinione"[5].

 

Tra i due grandi romanzieri russi, Dostoevskij è stato il visionario dell'anima e Tolstoj piuttosto il veggente del corpo; più precisamente "di quel lato della carne che è rivolto verso lo spirito e di quel lato dello spirito che è rivolto verso la carne: regione misteriosa ove si compie, nell'uomo, la lotta fra la Bestia e Dio"[6].  

 

La bellezza  viene definita dal Lord Henry  a Dorian Gray che ne è portatore:" Essa è una specie di genio-in verità più grande del genio, perché non ha bisogno di spiegazione. E' una delle cose grandi del mondo, come la luce solare, o la primavera, o il riflesso nell'acqua cupa di quella conchiglia d'argento che chiamiamo luna. Non è una cosa che si possa discutere. Ha un divino diritto alla regalità. Quelli che la possiedono sono principi"[7].

 

A favore del genio si può dire del resto che è meno effimero della bellezza la cui caducità infatti è deplorata  dallo stesso esteta di O. Wilde:" Sì, gli dèi furono benigni con voi, Gray. Ma gli dèi, dopo breve tempo rivogliono i loro doni. Avete soltanto pochi anni per vivere veramente. Quando la vostra gioventù se ne sarà andata, avrete perduto anche la vostra bellezza, e vi renderete conto d'un tratto che non ci sono più vittorie per voi...Perché la vostra gioventù durerà un tempo così breve-così breve! Gli umili fiori di prato avvizziscono, ma rifioriranno ancora. Quest'altro giugno l'acacia sarà d'oro, come è ora...Ma noi non torniamo mai alla nostra giovinezza. L'onda di gioia che pulsa in noi a vent'anni, si fa tarda. Le membra non ci ubbidiscono più, i sensi si consumano. Diventiamo ripugnanti fantocci, perseguitati dal ricordo delle passioni di cui abbiamo avuto timore e delle squisite tentazioni alle quali non avemmo il coraggio di cedere. Gioventù! Gioventù! Non c'è nulla al mondo che valga la giovinezza!"(p. 32).

 

O. Wilde, come Nietzsche, giustifica la vita solo come fenomeno estetico.

"E' cosa abbastanza strana, per quanto ben comprensibile, che la prima forma in cui lo spirito europeo si è ribellato all'età borghese sia stato l'estetismo. Non a caso ho nominato insieme Nietzsche e Wilde come ribelli, e propriamente ribelli in nome della bellezza"[8].

 

A proposito del rapporto tra bellezza e genio, Leopardi dà la precedenza alla prima nell'Ultimo canto di Saffo  dove afferma che il potere è dei belli:"Alle sembianze il Padre,/alle amene sembianze eterno regno/diè nelle genti; e per virili imprese,/per dotta lira o canto,/virtù non luce in disadorno ammanto," (vv. 50-54), mentre Tolstoj in Guerra e pace (1863-1869) sembra sganciare il fascino dall'intelligenza, almeno in una ragazza giovane: a Maria Bolkonski che ha domandato se Natascia sia intelligente, Pierre risponde:"Penso di no...non credo che si degni di essere intelligente...E' affascinante, nient'altro" (p. 825).

 

 Anche Pavese nega la forza erotica dell'ingegno:" Non c'è idea più sciocca che credere di conquistare una donna offrendole lo spettacolo del proprio ingegno. L'ingegno non corrisponde in questo alla bellezza, per la semplice ragione che non provoca eccitamento sensuale; la bellezza sì"[9]. Probabilmente Pavese non aveva abbastanza ingegno, non per capire le donne..

 

Comunque queste  affermazioni ci portano a riflettere su quella che si potrebbe definire la giustificazione estetica dell'esistenza umana.

 Solo la bellezza autorizza la vita. Questo afferma l'Aiace  di Sofocle prima di suicidarsi: :"ajll j hj] kalw'" zh'n h] kalw'" teqnhkevnai-- to;n eujgenh' crhv" ma il nobile deve o vivere con stile, o con stile morire. (vv.479-480). Quando si vive fuori dalla bellezza insomma la morte è una liberazione.

 

 Lo ricorda anche la principessa troiana Polissena alla madre Ecuba , nella tragedia di Euripide: per chi non è abituato a mali oltraggiosi è meglio morire:"to; ga;r zh'n mh; kalw'" mevga" povno""

( v. 378),  infatti vivere senza bellezza è una grande fatica.

 

 Questo culto della bellezza in generale, e umana- femminile in particolare, quale antidoto al dolore della vita viene ribadito da Foscolo nell'Ode All'amica risanata, splendidissima donna nella quale, dopo la malattia  "beltà rivive,/ l'aurea beltate ond'ebbero/ristoro unico a' mali/le nate a vaneggiar menti mortali" (vv. 9-12). 

 

  Di solito gli autori maschi non omosessuali invero sono  meno elogiativi o perfino poco indulgenti verso un bell'aspetto maschile che può diventare addirittura un disvalore.

 

Archiloco ha fama di avere inventato il tovpo" del miles gloriosus  con il frammento 60 D. :"non amo lo stratego grande né dall'incedere tronfio/né compiaciuto dei riccioli, né ben rasato;/ma per me sia pur piccolo, e storto di gambe/a vedersi, però che proceda con sicurezza sui piedi, e sia pieno di cuore/"[10].

 

 Qui la sostanza viene preposta all'apparenza: il poeta sgonfia il falso eroe facendone una caricatura che anticipa quella plautina.

 

Invero il guerriero non appariscente ma ardimentoso fa capolino già nel quinto canto dell'Iliade  quando Atena ricorda a Diomede il valore del padre Tideo che era piccolo di corpo ma pugnace ( "Tudeuv" toi mikro;" me;n e[hn devma", ajlla; machthv"", 801), e pure forte di animo ( auta;r oJ qumo;n e[cwn o}n karterovn", 806).

 

  Nel terzo canto Priamo chiede a Elena di identificare i capi dei guerrieri Achei visibili dalla torre presso le porte Scee;  uno gli parve "meivwn me;n kefalh'/  jAgamevmnono" jAtreïdao,/ eujruvtero" d j w[moisin ijde; stevrnoisin ijdevsqai" (vv. 193-194), più piccolo della testa di Agamennone Atride, ma più largo di spalle e di petto a vedersi. La maliarda rispose che quello era Odisseo esperto di ogni sorta di inganni e di accorti pensieri (v. 202).

Quindi Antenore aggiunge che egli l'aveva visto una volta a Troia, in ambasciata con Menelao, e quando i due erano seduti, era più maestoso Odisseo, ma quando stavano in piedi, Menelao lo sovrastava delle larghe spalle   ("stavntwn me;n Menevlao" uJpeivrecen eujreva" w{mou"", v. 210). Ulisse, in piedi sulle gambe corte, se stava zitto, sembrava un uomo ignorante o addirittura uno furente e pazzo, ma, quando parlava, dal petto mandava fuori parole simili a fiocchi di neve d'inverno (Iliade, III, v. 222), ossia manifestava la potenza della natura, e allora non si provava più meraviglia per l'aspetto.

 

Plinio il Giovane dà una spiegazione di questo stile oratorio affermando di preferire fra tutte  "illam orationem similem nivibus hibernis, id est, crebram et assiduam, sed et largam, postremo divinam et caelestem " (I, 20), quell'eloquenza simile alle nevi invernali, cioè densa e serrata, ma anche copiosa, dopo tutto divina e scesa dal cielo.

 

Alcinoo il padre di Nausicaa elogia Odisseo dicendogli che, al pari di un aedo, ossia di Demodoco-Omero, costruisce il discorso con arte e possiede  bellezza di parole, morfh; ejpevwn e saggi pensieri, frevne" ejsqlaiv  (Odissea, XI, 367).

Ulisse dunque non è bello ma è l'eroe e l'esteta della parola.

Sotto questo aspetto egli prefigura il capo della povli" democratica nella quale la forza verbale sarà decisiva per il successo dell'uomo politico. "Il sistema della polis  implica prima di tutto una straordinaria preminenza della parola su tutti gli altri strumenti del potere. Essa diventa lo strumento politico per eccellenza, la chiave di ogni autorità nello Stato, il mezzo di comando e di dominio su altri. Questa potenza del linguaggio-di cui i Greci fecero una divinità: Peitho , la forza di persuasione-ricorda l'efficacia delle parole e delle formule in certi rituali religiosi, o il valore attribuito ai "detti" del re quando egli pronuncia sovranamente la themis ; in realtà, tuttavia, si tratta di una cosa affatto diversa. Il linguaggio non è più la parola rituale, la formula giusta, ma il dibattito contraddittorio, la discussione, l'argomentazione. Presuppone un pubblico al quale esso si rivolge come a un giudice che decide in ultima istanza, per alzata di mano, tra i due partiti che gli sono presentati: è questa la scelta puramente umana che misura la forza di persuasione rispettiva dei due discorsi, assicurando la vittoria di uno degli oratori sul suo avversario...Tra la politica e il logos  c'è così un rapporto stretto, un legame reciproco. L'arte politica consiste essenzialmente nel maneggiare il linguaggio". Così J. P. Vernant[11].

Aggiungerei del resto che anche l'arte erotica e diverse altre consistono in buona parte nel maneggiare il linguaggio .

 Una qualità che Ovidio considera basilare per la seduzione :"non formosus erat, sed erat facundus Ulixes,/et tamen aequoreas torsit amore deas "[12], bello non era ma era bravo a parlare Ulisse, e in ogni caso fece contorcere d'amore le dee dell'acqua (Ars amatoria , II, 123-124). Si potrebbero commentare queste parole di apprezzamento dell'intelligenza di Odisseo che, come abbiamo visto, non era prestante, con una sentenza del discorso parenetico di Isocrate (o di un suo allievo) A Demonico :" mevgiston ga;r ejn ejlacivstw/ / nou'" ajgaqo;" ejn ajnqrwvpou swvmati" (40), una cosa grandissima in una piccolissima è infatti una mente valida in un corpo di uomo. 

 

 Il  terzo canto dell'Iliade  propone il contrasto tra apparenza e sostanza anche quando Ettore rinfaccia a Paride (v. 39) di essere un donnaiolo (gunaimanev") e seduttore (hjperopeutav) di aspetto splendido (ei'jdo" a[riste) ma senza valore né forza nel cuore (45), capace di portare via donne di uomini bellicosi ma non di affrontarli. Allora Paride gli risponde di non biasimarlo e non rinfacciargli i doni amabili dell'aurea Afrodite (mhv moi dw'r j ejrata; provfere crusevh"  jAfrodivth"", 64): nemmeno lui, Ettore, disprezza i magnifici doni degli dèi (qew'n ejrikudeva dw'ra, 65) che del resto nessuno può scegliersi.

 

Il donnaiolo effemminato.

 C'è da notare che il donnaiolo dipende da Afrodite, una divinità femminile, ed è anche effemminato, così è dichiaratamente Egisto, l'amante di Clitennestra: nello stesso tempo effemminato e donnaiolo:

 Nell'esodo dell'Agamennone  di Eschilo, che drammatizza il ritorno e l'uccisione del re, il coro di vecchi argivi  apostrofa Egisto chiamandolo donna (guvnai, v. 1625) e aggiungendo: tu che stavi in casa disonorando il letto dell'eroe, hai progettato questa morte contro l'eroe condottiero? Alla fine del dramma, le ultime parole del coro ribadiscono il vituperio verso l'assassino del re:"kovmpason qarsw'n, ajlevktwr-w{ste qhleiva" pevla"", (vv. 1672-1673), vantati arditamente, come un gallo presso la femmina.

"Nella coppia Egisto-Clitennestra, è Clitennestra l'uomo, è Egisto la donna[13]. Tutti i poeti tragici concordano nel dipingere Egisto come un effemminato, un vigliacco, un voluttuoso, un donnaiolo, che si fa strada per mezzo delle donne e non conosce, in materia di armi e di battaglie, altro che quelle di Aphrodite[14]. Clitennestra invece pretende di assumere le virtù e i rischi di una natura pienamente virile[15]. Riflessiva, autoritaria e audace, fatta per comandare, essa respinge con alterezza tutte le debolezze del suo sesso; si ritrova donna-ci vien fatto chiaramente capire-soltanto a letto"[16].

 

Come si concilia l'effeminatezza con l'attrazione per le donne? Secondo Otto Weininger "sono proprio soltanto gli uomini con qualità femminili quelli che corrono continuamente dietro a qualche sottana e trovano il loro maggior interesse negli amori e nei rapporti sessuali"[17]. E' una teoria non molto dissimile da quella che Platone attribuisce ad Aristofane nel Simposio : coloro che derivano dal taglio di un maschio tutto pieno , ossia gli omosessuali maschi, discendenti dal sole, sono i migliori tra i fanciulli e i giovani poiché sono i più virili per natura ("aJvte ajndreiovtatoi o[nte" fuvsei", 192). Essi si comportano così non per impudenza ma per l'indole forte, generosa e virile, siccome amanti di ciò che è loro simile ("to; o{moion aujtoi'" ajspazovmenoi"). Sono i soli capaci di vita politica.

Gli eterosessuali invece discendono dalla luna e provengono dal taglio di quello che allora si chiamava androgino,: "filoguvnaikev" te eijsi kai; oij polloi; tw'n moicw'n ejk touvtou tou' gevnou" gegovnasin, kai; o{sai au\ gunai'ke" fivlandroiv te kai; moiceuvtrai ejk touvtou tou' gevnou" givgnontai."(191d-e), essi sono amanti delle donne e la maggior parte degli adulteri sono derivati da questo genere, e quante invece sono donne, amano gli uomini e sono adultere e derivano da questa razza.

 

 Infine le donne provenienti dal taglio di una femmina integrale discendono dalla terra e diventano ejtairivstriai, lesbiche.

Inoltre, come aveva ben sottolineato Jung, l'anima femminile-anima- è presente nell'uomo in modo rimosso ed è proprio per questa ragione che molti uomini cercano e trovano la loro anima nelle donne amate; nello stesso modo, lo spirito maschile intraprendente, energico-animus- è presente nelle donne in modo rimosso ed è per questo che molte donne cercano e trovano il loro animus nei loro uomini"[18].

 

Bologna 26 giugno 2023 ore 19, 49 giovanni ghiselli

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[1]Rime , CXXVI, 53-55

 

[2]F. Dostoevskij, L'idiota  (del 1869), p. 96 e p. 101.

[3] La sonata a Kreutzer in Tolstoj Romanzi brevi, p. 323.

[4] Immagino di tipo morale

[5] L. Tolstoj, Resurrezione, p. 149.

 [6] D. Merezkovskij,  Tolstòj e Dostojevskij, p. 101.

[7] Il ritratto di Dorian Gray (del 1891) , in O. Wilde, Opere , p. 31.

[8] T. Mann, Nobiltà dello spirito, p. 838.

[9] Il mestiere di vivere, 31 agosto 1940.

[10]Questa alta valutazione del cuore e del sentimento si ritroverà, com'è noto, negli autori dello Sturm und drang  e del romanticismo: Goethe ne I dolori del giovane Werther  scrive(9 maggio 1772):"egli apprezza la mia intelligenza ed i miei talenti più del mio cuore, che è pure l'unica cosa della quale sono superbo, che è pure la fonte di tutto, di ogni forza, di ogni beatitudine e di ogni miseria. Ah, quello che io so, lo può sapere chiunque-ma il mio cuore lo possiedo io solo".

[11]Le origini del pensiero greco , pp. 47-48.

[12]Un distico citato da Kierkegaard nel Diario del seduttore , quel Giovanni esteta che infatti è un uomo dal fascino mentale, un seduttore intellettuale come Faust, non sensuale come il Don Giovanni  di Mozart.

[13]Si veda lo studio, rigoroso e fine, di R. P. Winninton-Ingram, Clytemnestra and the Vote of Athena , in "Journal of Hellenic Studies", 1948, pp. 130-47.

[14]Ecco, a titolo di indicazione, alcuni passi dei tre tragici greci che hanno trattato lo stesso tema: Eschilo, Agamennone  1224, 1259, 1625 sgg., 1635, 1665, 1671; Coefore  304; Sofocle, Elettra  299-302; Euripide, Elettra   930 sgg.

[15]Eschilo, Agamennone  10-11, 258, 1251, 1258, 1377 sgg. , cfr. anche l'ironia di 483 e 592 sgg.; Coefore , 664 sgg.; Sofocle, Elettra  650 sgg. , 1243; Euripide, Elettra   930 sgg.  

[16]J. P. Vernant, Mito e pensiero presso i Greci , p. 159.

[17]Sesso e carattere , p. 113.

[18] E. Morin, L'identità umana, p. 65.

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