giovedì 29 giugno 2023

Percorso VIII, 5 . Un dilemma: Mens cuiusque is est quisque (Cicerone) oppure “Il corpo è l’uomo? (Leopardi)

   Percorso sull’amore VIII.   Quinta parte.

 


 

  Certamente Euripide aveva in mente il topos  del "non bello ma buono", quando nell'Oreste  (del 408) elabora la così detta "teoria della classe media" e, presentando con simpatia il piccolo proprietario terriero il quale lavora la terra da sé ed è uno di quelli che, soli, salvano la città, si sente quasi in dovere di precisare che era un uomo di aspetto non attraente ma coraggioso (" morfh'/ me;n oujk eujwpov", ajndrei'o" d  j ajnhvr", v.918).

Viceversa, ma sempre con un ricordo archilocheo, nella stessa tragedia viene ridicolizzato Menelao, lo spartano e marito di Elena odioso per avere provocato infiniti dolori ai figli di Agamennone.

 Il nipote Oreste lo sfida affermando che non lo teme e irridendolo:"venga avanti, pavoneggiandosi per i riccioli biondi sugli omeri" ( "ajll j i[tw xanqoi'" ejp j w[mwn bostruvcoi" gaurouvmeno"" v. 1532).

Cicerone riassume tale locus nel De finibus bonorum et malorum  :"animi enim liniamenta sunt pulchriora quam corporis " (III, 22, 75), infatti i lineamenti dell'anima sono più belli di quelli del corpo. Qui siamo nel campo dell'etica.

E ancora: “mens cuiusque is est quisque, non ea figura quae digito demonstrari potest ” (De repubblica, VI, 26), la mente di ciascuno è quel ciascuno, non quella figura che può essere indicata con un dito.  

Viceversa Leopardi nell' Ultimo canto di Saffo  (50-54), per esperienza propria, scrive:"Alle sembianze il Padre,/alle amene sembianze eterno regno/diè nelle genti; e per virili imprese,/per dotta lira o canto,/virtù non luce in disadorno ammanto".

Nel Dialogo di Tristano e di un amico, Tristano ricorda “che gli antichi valevano, per le forze del copo, ciascuno per quattro di noi. E il corpo è l’uomo; perché (lasciando il resto) la magnanimità, il coraggio, le passioni, la potenza di fare, la potenza di godere, tutto ciò che fa nobile e viva la vita, dipende dal vigore del corpo, e senza quello non ha luogo. Uno che sia debole di corpo, non è uomo, ma bambino, anzi peggio; perché la sua sorte è stare a vedere gli altri che vivono, ed esso al più chiacchierare, ma la vita non è per lui. E però anticamente ls debolezza del corpo fu ignominiosa, anche nei secoli più civili. Ma tra noi già da lunghissimo tempo l’educazione non si degna di pensare al corpo, cosa troppo bassa e abbietta: pensa allo spirito: e appunto volendo coltivare lo spirito, rovina il corpo: senza avvedersi che rovinando questo, rovina a vicenda anche lo spirito”.

Io non credo che il corpo sia tutto o che lo spirito sia tutto. Penso piuttosto che debbano essere coltivati entrambi con esercizi mentali e fisici e che devono procedere armonizzati

  Torniamo al campo militare: Svetonio nella Vita  di Giulio Cesare (65) ricorda che il conquistatore delle Gallie "Militem neque a moribus neque a forma probabat, sed tantum a viribus ", non giudicava i soldati con la misura dei costumi né con quella dell'aspetto fisico ma solo con il metro della forza.

Tolstoj in Guerra e pace  individua il militare bello e vano, un vero e proprio miles gloriosus  francese e napoleonico, in Gioacchino Murat :" un uomo d'alta statura dal cappello adorno di piume, i capelli inanellati che gli piovevano sulle spalle. Indossava un mantello scarlatto, e le lunghe gambe erano protese in avanti...in effetti costui era Murat, che ora aveva assunto la qualifica di re di Napoli...cosicché aveva un'aria più trionfante e imponente di quanto l'avesse prima...Alla vista del generale russo, con gesto regale e solenne, respinse indietro il capo con quei capelli a riccioli fluentisulle spalle...La faccia di Murat raggiava di stolida soddisfazione" (pp. 925-926).

 

Bologna 29 giugno 2023 ore 11, 48 giovanni ghiselli

p. s

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