venerdì 23 giugno 2023

Percorso sull’amore VIII. Terza parte.



L'amicitia amorosa per Catullo e Ovidio.

Rompere la fede non porta bene. Teseo ne paga il fio. Anche Arianna però non è schietta. L'inaffidabilità riguarda tanto gli uomini quanto le donne. Sofocle, Callimaco e Ariosto.

 Ovidio è più comprensivo con i tradimenti femminili.

 

L'amicitia amorosa.     

Nel carme 1O9 Catullo, ricordando a Lesbia la promessa fatta da lei di un amor non solo felice (iucundus) ma anche eterno (perpetuus), nel verso conclusivo (6) utilizza la parola amicitia  che "aveva per i Romani un significato più specifico che per noi, e indicava l'esistenza fra due persone di un legame di alleanza politica, basato sulla lealtà (fides ), che comportava sincerità e aiuto reciproci. Trasportati all'interno di una relazione sentimentale, questi principi ne fanno ben altro che un'avventura irregolare."[1].

Qui il poeta chiede agli dei "ut liceat nobis tota perducere vita/aeternum hoc sanctae foedus amicitiae " (vv. 5-6), che a noi- a lui e a Lesbia- sia concesso di portare avanti per tutta la vita questo patto eterno di  amicizia santa. Essa è tale quando è disinteressata, ossia non basata sulla considerazione dell'utile. Altrimenti  non è amicizia, bensì negotiatio, un commercio.

 Ovidio invece consiglia di usare l'amicitia come il cavallo di Troia adatto a inoculare l'amore:"Nec semper Veneris spes est profitenda roganti;/intret amicitiae nomine tectus amor./Hoc aditu vidi tetricae data verba puellae;/qui fuerat cultor, factus amator erat" (Ars Amatoria, I, 717-720), non sempre la speranza d'amore deve essere dichiarata da  chi chiede; l'amore entri coperto dal nome di amicizia. Con questo tipo di ingresso ho visto raggirare una ragazza accigliata; quello che era stato l'amico era diventato l'amante

  

 Rompere la fede non porta bene.

Teseo nel carme 64  di Catullo paga il fio della sua slealtà.

Arianna abbandonata glielo augura e lo prevede:"sed quali solam Thĕseus me mente reliquit,/tali mente, deae, funestet seque suosque " (vv. 200-201), con quale animo Teseo mi lasciò sola, con tale, o dee, getti nel lutto se stesso e i suoi.

 In effetti Giove ascolta la preghiera la nemesi si compie:"annuit invicto caelestum numine rector " (v. 204), il re degli dèi annuì con il suo assenso invincibile. "Il motivo della fides è in particolare centrale nella vicenda di Arianna abbandonata, ancora nel carme 64. La fides  violata incorre qui nella punizione divina: Arianna, credendosi ormai destinata alla morte, aveva invocato su Teseo la maledizione degli dèi, e la sua preghiera non era rimasta inascoltata. Teseo è immemor  tanto delle promesse ad Arianna (il matrimonio) quanto di quelle al padre (issare le vele bianche) e questo suo carattere costante è quello che lo porta tanto a tradire la donna che lo ama quanto a provocare la morte del proprio padre"[2].

Sono proprio le false promesse di matrimonio che Arianna rimprovera  all'eroe in fuga: e l'intero episodio a tratti assume l'aspetto di un exemplum  mitico dell'inattendibilità dei giuramenti d'amore maschili (vv. 139-148). Arianna arriva a dire che si sarebbe accontentata della condizione servile, pur di rimanere legata a Teseo ( quae tibi iucundo famularer serva labore, 161): la sua completa impotenza viene sintetizzata nell'impossibilità di fare ricorso da una parte al sostegno familiare- an patris auxiluim sperem? 180) dall'altra a quello coniugale ( coniugis an fido consoler memet amore? 182).  Parole simili a queste aveva detto la Medea di Euripide abbandonata da Giasone.

 

Che la slealtà verso chi si fidava rende infelici prima di tutti gli stessi sleali lo afferma già Isocrate nel Nicocle (del 368 ca) :" j Aqliwtavtou" hJgei'sqe kai; dustucestavtou" o{soi peri; tou;" pisteuvonta" a[pistoi gegovnasin" (58), reputate molto infelici e disgraziati quanti sono stati sleali nei confronti di chi credeva in loro; infatti, continua il re di Salamina di Cipro che pronuncia il discorso, è necessario che tali uomini passino il resto della vita con la paura di tutto e senza più fidarsi di nessuno. 

In Pene d’amore perdute di Shakespeare leggiamo: “Thus pour the stars down plagues for perjury” (V, 2),  così le stelle versano guai sullo spergiuro.

Del resto  Arianna, come Medea appunto, ha tradito il padre e ha fatto morire il fratellastro, il Minotauro, per favorire l'uomo del quale era innamorata:" Eripui, et potius germanum amittere crevi,/quam tibi fallaci supremo in tempore deessem " (vv. 150-151), ti salvai e decisi di perdere il fratello piuttosto che non esserti vicina, traditore, nel pericolo estremo. 

 Il rimprovero della perfidia è comunque parte costante del lamento o della rabbia delle donne abbandonate nella letteratura antica, con un'eco precisa nell'Orlando furioso  quando l'Ariosto dà voce alla disperazione di Olimpia abbandonata da Bireno:" donne, alcuna di voi mai più non sia,/ch'a parole d'amante abbia a dar fede./L'amante, per aver quel che desia,/senza guardar che Dio tutto ode e vede,/aviluppa promesse e giuramenti,/che tutti spargon poi per l'aria i venti". (X, 5).

I giuramenti d'amore dunque non sono credibili.

 

 L'inaffidabilità riguarda tanto gli uomini quanto le donne.  

Lo afferma pure Sofocle in un  frammento (811 Pearson):" o{rkon d j ejgw; gunaiko;" eij" u{dwr gravfw", giuramento di donna io lo scrivo sull'acqua. E se tali solenni promesse penetrano da qualche parte, certo non dentro gli orecchi degli immortali, sostiene Callimaco in un epigramma:" ajlla; levgousin ajlhqeva, tou;" ejn e[rwti-o{rkou" mh; duvnein ou[at j ej" ajqanavtwn" (A. P.  V 6), ma dicono il vero che i giuramenti in amore non entrano negli orecchi degli immortali. 

 Ovidio echeggia questo motivo, sia per quanto riguarda Arianna tradita e la scarsa tenuta della parola dei maschi, sia per la non credibilità della femmina umana che è una creatura varia e sempre mutevole,"varium et mutabile semper/femina ", come  aveva già detto Virgilio [3].

L'Arianna dei Fasti[4] toglie fiducia a tutti gli uomini:"dicebam, memini, " periure et perfide Theseu" :/ille abiit; eadem crimina Bacchus habet : /nunc quoque "nullo viro" clamabo " femina credat " (Fasti , III, 475-477, dicevo, ricordo, "Teseo spergiuro e traditore": / quello è andato via; Bacco commette lo stesso delitto:/ anche ora esclamerò:"nessuna donna si fidi più di un uomo". Bacco invece non la tradirà.

Per quanto riguarda l'instabilità e l'inaffidabilità delle giovani donne, il poeta  di Sulmona negli Amores è più comprensivo: il tradimento infatti non sciupa la bellezza e perfino gli dèi lo concedono:" Esse deos credamne? Fidem iurata fefellit,/et facies illi quae fuit ante manet(...) Longa decensque fuit: longa decensque manet./Argutos habuit: radiant ut sidus ocelli,/per quos mentita est perfida saepe mihi./Scilicet aeterni falsum iurare puellis/di quoque concedunt, formaque numen habet " (Amores , III, 3, 1-2 e 8-12), devo credere che ci sono gli dèi? Ha tradito la parola data,/eppure le rimane l'aspetto che aveva prima (...) Era alta e ben fatta; alta e ben fatta rimane./Aveva gli occhi espressivi: brillano come stelle gli occhi,/con i quali spesso la perfida mi ha ingannato./Certo anche gli dèi eterni permettono alle ragazze/di giurare il falso, e la bellezza ha una potenza divina.

 Ovidio conclude dicendo che dio è un nome senza sostanza, oppure, se esiste, ama le belle fanciulle e certamente ordina che solo loro abbiano tutto il potere:"si quis deus est, teneras amat ille puellas:/nimirum solas omnia posse iubet " (Amores , III, 3, 25-26).


Bologna 23 giugno 2023 ore 9, 53 giovanni ghiselli

p. s.

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[1]G. B. Conte, Scriptorium Classicum 2, p. 89.

[2]Conte, Scriptorium Classicum 2, p. 89

[3]Eneide , IV, 569-570.

[4] Un calendario in distici composto fra il tre e l'otto d. C. quando fu interrotto, dall'esilio, al sesto libro di dodici che dovevano essere. Dovevano illustrare  gli antichi miti e costumi latini.

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