giovedì 15 maggio 2025

Ifigenia CVII. L’oppressiva e l’oppresso.


 

Il 14 luglio andammo a Roma dove restammo qualche giorno. Giorni pesanti. La parte organizzativa era tutta sulle mie spalle. Ifigenia mi ostacolava con lamentele e con pianti. Se voleva bere, diceva: “ gianni, ho sete” magari mentre ero in fila per comprare i necessari biglietti. Parassitaria era colei, non collaborativa.

Cosa potevo rispondere, infilato com’ero nella coda davanti al bigliettaio?

“ Dunque vai a bere”. Quella allora si immusoniva. Poi ribatteva rincarando la dose: “Ma io ho tanta sete!”.

Voleva mettere alla prova il proprio potere sulla mia persona.

 “Vai subito a bere”, replicavo a mia volta.

In treno avevamo i posti prenotati ma Ifigenia voleva stare seduta sulle mie ginocchia e mettermi le mani sugli occhi  per impedirmi di leggere, osservare altre persone, pensare. Se la scostavo, prendeva l’atteggiamento della creatura offesa. Qualunque cosa cercassi di fare, se lei non ci entrava, si inseriva, mi interrompeva senza del resto avere nulla di interessante da dire. Sapeva solo rovesciarmi addosso una serie di moine ormai trite e stucchevoli. In generale provavo noia e stanchezza ma in certi momenti con abile mossa furtiva, segreta, la giovane donna riusciva a riattizzare il fuoco erotico ancora non spento del tutto.

 Passammo un bel quarto d’ora dopo la stazione di Arezzo in un minuscolo bagno dove ci chiudemmo e amoreggiammo appoggiati a una parete che traballava assecondando i nostri tripudi frenetici.

 Giunti all’altezza di Borgo Sansepolcro mi genuflessi devotamente e indirizzai un bacio verso il cimitero dove riposavano già i carissimi miei nonni materni Margherita marchigiana e Carlo toscano.

Siamo un misto di Italia centrale. La nonna era pesarese con mamma di Recanati. Sua zia aveva sposato Rodolfo Antici, nipote di Adelaide la mamma di Giacomo.

Quando lo dissi a Claudio l’amico mi toccò la schiena e domandò: sì, ma dove hai messo la gobba?”.

Risposi che non eravamo consanguinei:  c’era solo una parentela acquisita.

Tuttavia l’ho presa fin da bambino come un segno del cielo rendendola fratellanza spirituale.

 

Giunti a Roma, Stefano, il simpatico cugino paterno,  ci prestò il suo appartamento. La sera non  tardi ci sistemammo nell’alloggio generosamente offerto. Posati i bagagli,   Ifigenia si allungò nel letto matrimoniale. Io entrai nel bagno e ne uscìi poco dopo con il giornale che avevo appena sfogliato e volevo leggere . Lo faccio ogni giorno: c’è qualcosa di male? Nella casa di Pesaro i giornali non entravano: “roba da comunisti”, dicevano.

 Dovevo primeggiare nel liceo classico utilizzando soltanto i manuali. Ho voluto rifarmi di questo.

 Avevo indosso delle mutande bianche, leggere. Ifigenia mi aspettava seduta nuda nel letto e, come mi vide, si mise a piangere quasi fossi tornato tutto coperto di sangue.

“Stai poco bene?” le domandai. Rispose che quella casa la sconfortava.

Un altro vizio suo era quello di lamentarsi della sistemazione che trovavo quando si viaggiava insieme. Non c’era verso che gliene andasse bene una.

Alla pulizia io tengo, ma sono un imitatore di Santo Francesco, e non devo permettermi il grandhotel pentastellato. Oltretutto non mi piace.

Più tardi mi confessò che aveva pianto vedendomi entrare nella stanza da letto con le mutande indossate, e  il giornale in mano invece che nudo, bramoso e proteso verso la sua bellezza priva di ogni barriera . Era una fortuna per me la sua disponibilità ma io non ero in grado di capirlo. Le ero sembrato il tipico marito scimunito, magari pure depravato.

Più di una volta ho visto una bella donna stimolante diventare un fardello pesante, oppressivo. Oppure andarsene via dopo un mese o anche meno.

Per questo a 80 anni suonati non so nemmeno chi mi seppellirà.

Meglio da una parte: così non so nulla di cenoni né di mercanti in fiera e altri pessimi impieghi del poco tempo che abbiamo.

Ho sempre avuto fermo “il disiro” a quell’onesto Giovanni “che volle viver solo”. L’onesto Giovanni precursore e il poverello imitatore di Cristo.

 

Bologna 15 maggio 2025 ore 19, 13 giovanni ghiselli

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Sopravvivenze di latino e pure di greco nell’inglese di Joyce. XIII parte.

 Prima  parte  del settimo episodio:  Eolo il giornale (cfr. X canto dell’Odissea)

 

Hibernian metropolis 104. Hibernia è il nome latino dell’Irlanda, hiberna tellus= terra invernale.

 

Clanging ringing sono i tram che sferragliano e suonano. Clang latino clango, risuono; greco klagghv strepito.

 

loudly 104 rumorosamente- loud- rumoroso- latino clutus celebre greco klutov~,  kluvw ascolto.

 

Porter 105 portiere a gate keeper, latino porta.

 

Umbrella latino umbra.

 

Solemn latino solemnis latino sollus intero annus anno

 

Saviour salvatore to save latino salvare, sanare

 

Machines macchinari, latino machina, greco mhcanhv.

 

Rule  the world today 106 i macchinari oggi governano il mondo rule latino  rego, regula

 

 Stop 107  latino stuppa stoppa, greco stuvpph – stoppa per tappare-to stop

up

 

 work  lavoro, greco e[rgon, opera

 

various  latino varius, variegato.

 

Use uso, latino usus-us .

 

Bologna 15 maggio 2025 ore 18, 38  giovanni ghiselli

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Il Vicario.


 

Stare dalla parte dei vincitori, dei ricchi è facile. Non è una cosa bella né nobile ma è ovvia, come tutte le cose ordinarie.

E’ l’attitudine dei più.

Non mi è piaciuto il duetto tra il nuovo Pontefice e Sinner.

Il Papa  ha ricevuto il primo  tennista del mondo  chiamato addirittura “il tennista divino” nella prima pagina del quotidiano “la Repubblica” di oggi da Gabriele Romagnoli che chiama Prevost”il Papa tennista”. Una posizione subordinata dunque quella del Pontefice nella graduatoria di questo cronista.

Entrambi i tennisti compaiono in una fotografia con la racchetta in mano.

Il tennis è uno sport costoso e pretenzioso.

A parer mio  è un diporto anche snob siccome i più non possono permetterselo.

Chi non ha i soldi per curarsi, sicuramente non può giocare a tennis.

Sarebbe stato molto più consono al ruolo di vicario di Cristo, una parte che gli hanno assegnato i cardinali pochi giorni or sono, se, invece di ricevere Sinner, il Papa fosse andato a trovare e confortare i mutilati, gli orfani e le vedove dello sterminio di Gaza.

Vero è che sinner signìfica peccatore e Cristo ha detto: “non sono venuto a chiamare i giusti ma i peccatori” (N. T. Matteo, 9, 13)

Però poi disse al giovane ricco: “Se vuoi essere perfetto, va’ vendi quello che hai e dallo ai poveri” (19, 21). Non mi pare che l’attuale vicario di Cristo l’abbia detto.

Spero che questo mio commento di un fatto documentato non mi costi una punizione per la Parresia.

 

Bologna 15 maggio 2025 ore 17, 06

giovanni ghiselli

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I post  non usciti su facebook nelle ultime 48 ore si trovano nel blog.

 

mercoledì 14 maggio 2025

Ifigenia CVI . Un concubitus immondo.


 

Venerdì 13 luglio ci recammo di sera tardi sulla spiaggia che sembrava deserta.

Da via Nazario Sauro e dal viale Trieste di Pesaro, ancora animati, giungevano voci intermittenti di uomini, donne e bambini, luci sventagliate da fari di automobili, rumori catarrosi di motociclette, e dal moletto i suoni invadenti di un’orchestra disordinata e chiassosa.

 La luna non si vedeva punto, il mare era tutto buio.

Temevo che qualcuno venisse a darci fastidio o che ne provasse di noi per l’inverecondia pogettata: in fondo la riva del mare è un luogo pubblico anche di notte.  

Inoltre temevo la sabbia negli occhi, non metaforicamente ma proprio fisicamente: avevo le lenti a contatto e con queste basta un granello di polvere a produrre uno sfregamento seguito da lacrime copiose e da un dolore intenso, nervoso. Ma Ifigenia insisteva con ostinazione per fare l’amore subito e lì, sulla sabbia. Non mi sembrava che fosse il luogo né il momento opportuno, però non volevo litigare, sicché la seguivo verso la riva dove mi trascinava  implacabile.

Camminammo in mezzo ai resti della giornata balneare inciampando ogni tanto: a un tratto battei violentemente un ginocchio contro un ostacolo duro e mi lasciai cadere dolente e resurpino sull’umida rena.

Senza perdere tempo colei montò a cavalcioni sul mio ventre e cominciò ad agitarsi con nervosismo rabbioso, quasi volesse punirmi siccome avevo osato esitare: non era più la giovane, generosa collega che mi aveva offerto il suo amore in autunno e mi aveva deliziato parecchie volte: era un’erinni aggressiva, furente. Doveva credere che lì sulla sabbia, dove entrambi ci sentivamo a disagio, si decidesse una gara per il potere tra noi, un agone tutt’altro che olimpico, una competizione squallida tra due disgraziati .

La stavamo perdendo entrambi come succede in ogni conflitto violento.

La giovane megera sj muoveva dunque con furia sopra di me addolorato e sbigottito quando il suo volto frenetico venne illuminato da un faro. Allora tutta la testa prese un aspetto sinistro: gli occhi arrossati, le narici dilatate, le labbra arcuate, i capelli confusi e agitati come un nido di serpi nere, mi diedero l’impressione di essere sottoposto a un mostro della mitologia inferiore, una satanessa emersa dal pantano del caos primordiale.

Ne ebbi terrore. Dopo qualche minuto di quell’esercizio anti erotico, si sentirono parlare delle persone nei pressi. Volevo che la mia prevaricatrice si fermasse ma quella strega mi sovrastava, mi pesava sul ventre infelice, e non voleva smettere per nessuna ragione; anzi, a un tratto per farmi tacere mi diede uno schiaffo con una mano insabbiata e con l’altra mi compresse la bocca.

Qundi si mise a gridare: “perché indugi? Avanti, fa’ presto: tu mi fai perdere tempo!”

In tale frangente non potevo avere l’orgasmo, anzi dovevo pensare a situazioni diverse, soprattutto a un’amante qualunque che non fosse lei,  per non  cadere nella disperazione.

Una donna disse: “ i cani sono meno spudorati di quei due:canaglia è un complimento per certa feccia sfacciata!”

Aveva ragione: noi due stavamo infliggendo impudica violenza  a quanti  nella notte d’estate passeggiavano sulla riva del mare per respirare l’aria salmastra e magari osservare le stelle, forse anche pregare, non per vedere lo spettacolo osceno dato da un uomo e una donna in disaccordo sessuale e totale. Intanto la pessima orchestra del moletto diffondeva rumori che mi sembravano annunci di prossimi danni.

Il gruppo dei passeggiatori passò oltre, la musicaccia cessò e la spiaggia divenne silenziosa, deserta come d’inverno. Ifigenia era muta però si agitava come un gabbiano sollevando la rena che mi ricadeva addosso.

Per porre termine a quella tortura arrivando al coito preteso con prepotenza, cercai di anestetizzarmi da tutto il dolore che mi cadeva addosso, volsi la testa in modo da non vedere più quel rictus furioso che mi sovrastava da vicino e, guardando molto più in alto,  riuscii a osservare per qualche secondo le stelle. Così finalmente giunsi al compimento di quel concubitus orrendo.

L’amore stava finendo e queste convulsioni erano  tentativi di rettifica tanto malfatti che affrettavano l’exitus guastando anche la memoria di quanto c’era stato di buono e di bello tra noi.

 

Bologna  14  maggio 2025 ore 19, 20 giovanni ghiselli

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Sopravvivenze di latino e pure di greco nell’inglese di Joyce. XII parte. Ultima del sesto episodio: Ade il funerale.

Obese 102 latino obēsus  un topo che si ingozza di morti- ob+ edo mangio.

 

Cheese 102, formaggio latino caseus

 

 Milk latte latino mulgeo mungo, greco ajmevlgw.

 

Raw crudo latino crudus greco kreva~ krevato~ tov, carne

 

Poor 103 latino pauper-.

 

Warm caldo. Some compare warm with L. formus- a- um and qermov~, caldo.

 

Oyster 104 ostrica, latino ostrĕa, Greco o{streon-

 

Bologna 14 maggio 2025 giovanni ghiselli.

Ho tuttora facebook bloccato. Leggetemi su facebook e scrivetemi sulla posta elettronica se volete ghiselli.giovanni@gmail.com

 

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Ifigenia CV Contatto di epidermidi senza trasfusione delle anime. Allegoria e simbolo: Elena nell’estate del 1971.

 

Il 10 luglio amoreggiammo a qualche chilometro dalla spiaggia di Pesaro.

Eravamo stesi in un moscone che scintillava sull’acqua. C’era la grande luce del cielo sfavillante sopra di noi e moltiplicata in sorrisi innumerevoli dal tremolare dall’acqua marina, mentre i raggi santi del primo tra tutti gli dèi che accarezzavano e perfezionavano l’incarnato dei nostri corpi più sani e snelli che mai e due farfalle bianche ci svolazzavano intorno festose.

Ifigenia aveva un aspetto così bello che le mie parole scritte sarebbero meschine in confronto alle sue forme.

Ma l’amore era prossimo a terminare. Era quasi trascorso il tempo concesso dal fato. Dopo nove mesi non stava nascendo l’amore come intesa profonda, anzi la stessa passione dava già segni di decadenza.

Nessuno dei due aveva mai preso in considerazione l’altro quale persona intera.

Eravamo rimasti associati soltanto nel letto. Un Eros per giunta non privo di Eris.

 .

La ragazza insicura del proprio ruolo vedeva in me l’uomo che poteva aiutarla finché ce ne sarebbe stato bisogno; io ero interessato soltanto alla bellezza delle sue membra e al piacere che potevo trarne. Del resto non ammiravo il suo stile, piuttosto lo biasimavo spesso e nemmeno il suo sguardo mi piaceva del tutto. “Si nescis, oculi sunt in amore duces " [1]

 

Insomma non c’è mai stata tra noi la reciproca trasfusione delle anime che eleva il contatto delle epidermidi a  intesa profonda.

 

Oggi mi chiedo per quale ragione un mese di Elena mi ha dato più felicità che tutti gli anni passati con decine di altre. La storia di Elena vissuta quando le mie amanti non arrivavano a nemmeno a dieci, è stata la più bella  di sempre tutti i sensi. Ora so perché.

Una persona e, anche una cosa o un paesaggio,  si riempie di significati fino a diventare opera d’arte quando la sua visione diventa allegorica: a[llo ajgoreuvei, rivela altro al di là di se stessa.

 

  Elena non solo era bella ma incarnava l’umanesimo ancora vigente nel 1971. Quando la conobbi, le domandai che cosa significasse l’amore per lei, una domanda subdola da parte mia: volevo indagare la sua disponibilità a fare l’amore con me.

Ebbene  la bella donna rispose che il suo amore era umanistico e umano: amava tutta l’umanità e amava la vita.

Allora dentro di me ghignai di soddisfazione pensando che, se riuscivo a sembrarle umano, quella femmina della mia specie poteva diventare la decima amante della lista e  con il volgersi delle stagioni avrei potuto almeno quintuplicare quel numero come avevo giurato quando ero un ventenne  che scendeva sempre più in basso nella china della disgrazia.

  Quaranta anni dopo Elena, nel 2011,  tornai a Debrecen in bicicletta da Bologna e recatomi di notte sotto la finestra del collegio dove l’amabile donna  mi aspettava una sera di  quell’estate remota, compresi tutto il valore di quella persona che divenne un simbolo, suvmbolon cui potevo associare-sumbavllein- tutti i significati belli che nel frattempo avevo  molto cercato e poco trovato in altre conoscenze: bellezza, finezza d’animo, intelligenza, sincerità, schiettezza, luminosità e tutto quanto mi era piaciuto in quasi settanta anni di vita.

Oggi ne ho ottanta e sei mesi e non sono pentito di niente,

 

Bologna  14 maggio  2025 - ore 11, 43 giovanni ghiselli

 

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[1] Properzio, II, 15, 12.

Ifigenia CIV. Pensieri successivi. Non buoni.


 

Finita la storia con Ifigenia, sono tornato più di una volta a osservare il fatiscente edificio, collegio forse  di una razza estinta di mostri tristi, per poterlo descrivere con precisione; tuttavia non ho trovato il coraggio di oltrepassare l’ultimo dei tre gradini sbrecciati. Mi sono affacciato all’interno, ho rievocato e ruminato i ricordi rimanendo sulla soglia, poi sono tornato a Pesaro sabbiosa oppure a Bologna nella casa riempita dai libri.

Oggi penso che in quella occasione noi due dovevamo sentire un ineluttabile impulso erotico per avere il coraggio e lo stomaco di entrare tra quelle macerie, per stenderci nudi e inermi esponendoci a diversi rischi: dal soffitto malsicuro in bilico sulle nostre teste, al malvivente che poteva colpirci in tante parti del corpo sprotetto, alla perfida serpe sempre pronta a guizzare fuori dall’agguato per infilare  i propri denti letali nelle nostre carni esposte a molti modi di morte.

Allora in certi momenti sentivo per la giovane donna che mi si era affidata un’attrazione che mi dilatava l’anima verso la sua persona, e se non leggevo ma stavo con lei, se non pensavo ma facevo l’amore con lei, se non interrogavo il mare o gli alberi o il cielo ma guardavo vivere Ifigenia, non mi sembrava di perdere tempo: il desiderio che sentivo escludeva noia, rimpianti, rimorsi. Un desiderio contraccambiato e soddisfatto: ora guardo una fotografia di quei giorni e vedo la ragazza con le labbra tese dalla volontà di piacermi e dirmi parole invitanti, con gli occhi aperti che lanciavano bagliori di intesa, con le belle membra pronte a scattare verso la gioia che ci chiamava a celebrare i nostri tripudi festosi. Erano gli ultimi giorni di una felicità già vicina all’abisso.

La sera del 24 agosto, quando tornai dal mese di Debecen e la incontrai alla stazione di Padova, la sua bocca era sfatta quale un fico troppo maturo, gli occhi erano opachi e inespressivi,  le sue spalle cadenti si appoggiavano sulle mie come se un malvivente cui si era affidata le avesse spezzato il vincolo dell’armonia che tiene insieme le membra.

La ragazza che l’autunno precedente mi era apparsa talmente formosa da dare una forma bella anche a me, quella sera mi parve deforme.

Da quella sera lo stare con lei in qualsiasi modo non giustificò più il mio trascurare lo studio, siccome studiare era attività più emozionante che frequentare quella povera creatura avvizzita, noiosa, fuorviata  da se stessa, corrotta e incattivita da gente malvagia.

 

Bologna 14 maggio 2025 ore 11, 32  giovanni ghiselli

 

 

 

 

Omero Odissea XVIII parte. Conclusione del secondo canto.


 

Mentore dà altri suggerimenti a Telemaco il quale non indugia poiché aveva sentito la voce di un dio ("ejpei; qeou' e[kluen aujdhvn", v. 297). E' di nuovo l'immancabile componente divina dell'educazione.

"Nei canti seguenti, Atena, dalla quale,  secondo la credenza omerica, emana sempre l'ispirazione divina all'azione fortunata, si nasconde nella persona di un altro amico anziano, Mentore, che accompagna Telemaco nel suo viaggio a Pilo e a Sparta. Quest'invenzione deriva evidentemente dall'usanza di dare un precettore per compagno a giovani di gran casa, specialmente in viaggio. Mentore accompagna con occhio vigile ogni passo del suo protetto, assistendolo in ogni circostanza coi suoi precetti e consigli. Lo ammaestra nelle forme del buon contegno in società, dove il ragazzo si trova di fronte, con titubanza, a situazioni nuove e difficili. Gl'insegna come debba presentarsi agl'illustri e anziani Nestore e Menelao e come esporre loro la propria istanza, per ottenere buon successo. Il bell'atteggiamento di Telemaco verso Mentore-il cui nome dal Télémaque [1] di Fénelon in poi, è venuto a designare universalmente un amico anziano, educatore, guida e protettore-si fonda sullo sviluppo del motivo dell'educazione, che predomina del resto in tutta la Telemachia  e che dobbiamo ora considerare più ampiamente. Appare manifesto che il poeta non ha avuto il solo intento di fare una pittura d'ambiente aulico. Anima di questo racconto umanamente attraente è il problema, che il poeta si è posto consapevolmente, del come il figlio giovinetto di Odisseo divenga un uomo prudente, che agisce ponderatamente e cui arride il successo...Nella costruzione complessiva dell'Odissea  costituisce una bella invenzione l'avviare simultaneamente le due parti distinte-Odisseo, che dalla ninfa amorosa è trattenuto lontano nell'isola cinta dal mare, e suo figlio, che attende in patria, inerte e abbandonato, il ritorno del padre-per ricongiungerle dando luogo al ritorno dell'eroe"[2].


 

La comunione del pasto.

“Il banchetto sacro era in certo modo una comunione, un pasto comune che univa il dio e l’uomo in un vincolo, la cui santità inviolabile si afferma in ogni più antica forma di civiltà”[3].

 Telemaco dunque torna al palazzo dove i proci mangiano. Antinoo gli va incontro e lo invita al banchetto ma il giovane non accetta: in mezzo a voi prepotenti, dice, non è possibile banchettare in silenzio e godermela contento ("daivnusqaiv t ajkevonta kai; eujfraivnesqai e{khlon", v. 311). Senza tranquillità pace e contentezza non si può fare quella vera e propria comunione lieta e piacevole che è prendere il cibo insieme, tra persone che stanno bene in compagnia reciproca. Anche Odisseo non sarà disponibile a mangiare con Circe prima che ella gli abbia liberato i compagni (X, vv. 383 e sgg.). Per desinare insieme bisogna fidarsi e volersi bene a vicenda, quasi come per condividere il letto.

Il silenziio ajkhv è raccomandato nella fase del mangiare, mentre il parlare subentra quando si beve.

 Nella situazione di totale peccaminosità descritta da Lucrezio con riferimento alle guerre fratricide della fine della repubblica, quando gli uomini, credendo di sfuggire al terrore della morte, gonfiano gli averi col sangue civile, e ammassano avidi le ricchezze, accumulando strage su strage, godono crudeli dei tristi lutti fraterni "et consanguineum mensas odere timentque " (De rerum natura , III, 73) e odiano e temono le mense dei consanguinei. 

 "Il banchetto omerico in greco si chiama  daiv", il condividere[4]; banchettare è condividere e il modello di quella divisione è la carne sacrificata, poi divisa in parti attribuite ai commensali secondo le delicate regole del savoir-vivre . Perché la parte data a ciascuno indica la stima generale della comunità per quella persona, la stima particolare del padrone di casa e infine l'onore speciale che si vuol rendere all'ospite per quel tal giorno. Dosaggio sottile di gloria sociale e rapporti privati. Piacere del condividere, condivisione del piacere, tutto il banchetto è intessuto di queste due nozioni tevrpein   e daivein . Piacere e condivisione creano, fra i re che si saranno offerti reciprocamente una serie di banchetti, un legame fondato sulla circolazione dei doni (ciò che i sociologi definiscono il dono e il contro-dono). Omeria[5] non conosce altre forme di sociabilità fra uomini liberi se non quelle che passano per il banchetto"[6].


 

Telemaco non accetta la comunione con i proci e sottolinea il rifiuto strappando la sua mano da quella di Antinoo (v. 321). Uno strappo che significa la fine della remissività del ragazzo. Un distacco che viene accompagnato dalle successive canzonature e maledizioni della plebe dei proci anonimi. Ma Telemaco, senza rispondere, scese nella dispensa dall’alto soffitto[7] del padre (v. 337) dove stava Euriclea cui il ragazzo chiede di preparare vino e farina per il viaggio: andrà a Sparta e a Pilo sabbiosa a cercare notizie di Odisseo (vv. 359-360). Sono ripetute quasi le stesse parole dette a Eurimaco (vv. 214-215). In entrambi i casi Pilo è “sabbiosa”- hjmaqoventa.

"L'epiteto convenzionale è sbiadito nel suo significato, come abbiamo detto, ma ci conserva, incasellati in formule metricamente comode, arcaismi culturali storici geografici, oltre che linguistici. Pilo, Micene, Tirinto, Troia continuano a vivere nell'epica con gli epiteti che i primi aedi avevano voluto per loro scegliere come specifici e descrittivi. Pilo è sabbiosa (Puvlon hjmaqoventa), Micene ricca d'oro (polucruvsoio Mukhvnh"), Tirinto recinta d'alte mura (Tirunqav te teiciovessan), Troia dall'alta rocca ( [Ilio" aijpenhv), Tisbe dalle molte colombe (polutrhvrwnav te Qivsbhn)"[8].

“I tre quarti di Omero sono convenzione; e similmente è di tutti gli artisti greci, che non avevano nessun motivo di abbandonarsi alla moderna smania di originalità. Mancò ad essi ogni paura della convenzione; per mezzo di essa infatti comunicavano con il pubblico. Le convenzioni sono cioè i mezzi artistici conquistati per la comprensione degli ascoltatori, la lingua comune faticosamente appresa, con la quale l’artista può veramente comunicare. Specialmente se egli, come il poeta e il musico greco, vuole subito vincere (…) la prima condizione è che subito venga anche capito:  il che tuttavia è possibile soltanto con la convenzione (…) Che cosa indica dunque la moderna smania di originalità?”[9]

In Omero si può notare una quantità di formule ereditate e di leggi narrative epiche, dentro le quali egli dové danzare: ed egli stesso creò in aggiunta nuove convenzioni per quelli che sarebbero venuti dopo. Fu questa la scuola di educazione dei poeti greci: innanzitutto cioè lasciarsi imporre una molteplice costrizione dai poeti precedenti; poi inventare essi stessi una nuova costrizione, imporsela e vincerla con grazia: in modo che costrizione e vittoria venissero notate e ammirate[10].  

 

Euriclea cerca di dissuadere il ragazzo per paura del pericolo, ma Telemaco è irremovibile; del resto comprende questa apprensione donnesca poiché chiede alla nutrice di non dire niente alla madre affinché ella non sciupi il suo bel viso piangendo (v. 376).

E' l'eterno motivo della donna che si oppone al "volo d'Icaro" dell'uomo, marito o figlio che sia. Ma l'uomo per trovare la sua identità deve rischiare, e tanti che non hanno saputo dire no a questa pretesa delle donne non hanno messo alla prova le loro capacità.

 

Bologna 14 maggio 2025 ore 11, 11 giovanni ghiselli

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[1]Romanzo educativo del 1695. Il viaggio immaginario di Telemaco alla ricerca del padre Ulisse sotto la guida di Mentore vi crea l'occasione per divagazioni su vari argomenti, ispirate a una moderna idea di tolleranza e a concetti innovatori in campo pedagogico Ndr.

[2]Jaeger, Paideia  1, pp. 74 e 75.

[3] Nilsson, Religiosità greca,, p.15

[4]Odissea , III, v. 65. Daiv~ è il banchetto; daΐzw è “condivido” e daivomai “distribuisco”. Ndr.

[5]La Grecia omerica.

[6]F. Dupont, Omero e Dallas , pp. 14-15.

[7] “Nell’Odissea nasce la religione della casa…Il cuore della casa è la dispensa: una specie di luogo utopico dove si raccoglie il passato, il presente e il futuro della famiglia. Quando Euriclea vi entra, vediamo insieme a lei l’oro e il bronzo, le casse piene di vesti, l’olio odoroso, le giare di vino vecchio e dolcissimo. Tutto è chiuso, perché la famiglia è un luogo chiuso: i tesori sono difesi da porte, saldamente serrate, a doppio battente…E’ quasi l’unico luogo intatto della reggia: qui, nel cuore della casa, i Proci non sono mai penetrati” (P. Citati, La mente colorata, p. 95)

 

[8]Cantarella-Scarpat, op. cit., p. 155.

[9] Nietzsche, Umano troppo umano, Il viandante e la sua ombra, (122)

[10] Nietzsche, Op. cit., 140.

Sopravvivenze di latino e pure di greco nell’inglese di Joyce. XI parte.

Questo è il link per accedere all'incontro online del 19 maggio 2025 nella Biblioteca Ginzburg di Bologna. Presenterò l’Ulisse di Joyce confrontato con quello di Omero. Dalle 17 alle 18, 30

 

https://meet.google.com/sjy-euew-hxx?authuser=0&hs=122&ijlm=1744810639363

 

young  giovane latino iuvenis e iuvencus a young animal.

 

Pleasure piacere latino placeo- placēre

 

Stand  stare su latino sto- stare, stare in piedi.

 

Vale valle, latino vallis.

 

Tears lacrime greco davkru e davkruon lacrima

 

Power potere latino posse

 

Others altri legato a tevro~ il suffisso del comparativo greco

 

Mother madre, latino mater, greco mhvthr

 

Superstition, superstizione. In latino religio mentre

superstitio è sopravvivenza

 

Hell inferno. Secondo Lucrezio è infernale la vita degli stolti qui sulla terra: “Hic Acherusia fit stultorum denique vita” (De rerum natura, III, 123)

 

Cord 101 corda. Latino chorda budello e corda di strumento musicale. Greco cordhv budello e nota musicale.

 

Angels angeli, latino angelus; greco a[ggelo~, messaggero.

 

Ignoble ignobile latino ignobilis

 

Kitchen 102  cucina latino coquīna cucina, coquere. Apicio nell’età di Tiberio ha scritto De re coquinaria con 500 ricette.

 

Avvertenza

Ieri il mio facebook è stato sospeso, spero solo momentaneamente. Chi vuole leggermi trova comunque i miei scritti nel blog. Saluti gianni.

 

 

 

Bologna 14 maggio 2025 ore 10, 28 giovanni ghiselli

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