giovedì 16 giugno 2022

La storia di Päivi. 27


 

L’olocausto della mosca

 

Dopo la dipartita della donna pregnante, che per due mesi era stata vita della mia vita, feci un giro per il paese scrutando i pochi passanti bianchi quanto le erme funerarie, mentre tutte le vie si abbuiavano nel crepuscolo freddo. Speravo di vedere e riconoscere la dolce e bella Helena, o almeno una che le somigliasse, magari con un bambino di due anni e mezzo, e senza quel Puntila padre.

Ma non la incontrai.

Quindi tornai nel collegio studentesco. Andai a salutare un’amica di Päivi, conosciuta e frequentata nel lungo, sitibondo e felice mese di Debrecen. Si chiamava Anneli: era bionda, carina, gentile. Mi accolse con simpatia, quale benevola Eumenide, e, dopo i saluti, riprendemmo un discorso sulla storia romana che a lei interessava. Mi faceva domande, mi ascoltava con attenzione, e replicava con intelligenza.

Ne ricavai la sensazione, angosciante, di avere più cose da dire con lei che con la donna incinta di me rimasta spesso silente e  inespressiva da quando mi aveva visto arrivare in Finlandia. , forse già inopportuno  e scaduto.

 

Verso le dieci tornai nel monolocale e scrissi una lettera ad Antonella, l’amica romana dell’ultima Debrecen, descrivendole la mia situazione  penosa, e chiedendole cosa dovevo fare, una volta tornato in Italia. La mia confusione era totale. Mi consiglierà di studiare il finlandese e di sposare Päivi che era la donna giusta per me. Quattro anni più tardi l’amica, forse ricreduta, mi ospitò per una notte d’amore con una supplente , mediterranea, mora, abbronzata, calda, vivace- durante una gita scolastica a Roma.

Avevamo affidato i nostri allievi a dei colleghi più seri di noi due, a vizio di lussuria tanto rotti da posporre ogni funzione alla libidine.

Quando ebbi concluso la lettera, affettai e mangiai del salame, non molto invero, ma bevvi un’altra birra non piccola, e bruciai sadicamente, completamente, una mosca che mi disturbava parecchio. Prima di andare a letto, feci gesti futili per impiegare il mio tempo inutile e vuoto con qualche parvenza di attività. L’abito letterario mi fece venire in mente “ ho misurato la mia vita a cucchiaini di caffè”[2].

Veramente già in questa occasione tragica, come poi la notte del pozzo di Vernicino, tra il 12 e il 13 giugno del 1981, pensai che dovevo scrivere una storia d’amore, anzi la storia delle mie  storie d’amore .

 “Vennero donne con proteso il cuore/ognuna dileguò, senza vestigio”[3], poteva esserne l’epigrafe.  Queste tre  storie ne hanno prefigurate diverse altre in Italia.

Ma nessuna sarebbe stata più bella di queste.

Con il passare del tempo  diverse donne, e donne diverse, mi avrebbero dato retta per un tempo determinato.

Poi mi avrebbero lasciato tutte quante, tranne quattro o cinque lasciate da me.

Con il volgere delle stagioni ho imparato a preferire la solitudine al tedio insopportabile che mi infligge una persona non buona. Uomo o donna che sia.

Chissà se loro pensavano, invece, che a dileguarmi invece ero stato sempre io?

Tornato in Italia, cercai di iniziare il racconto di queste tre storie esotiche, irripetibili, ma non avevo i mezzi, cioè le grandi letture necessarie per esprimere sentimenti pur forti in maniera interessante per chi non li aveva vissuti. Il mio pathos senza cultura era soggettivo, noioso, o ridicolo. Gli mancava la dimensione e la categoria dell’Universale necessaria per farsi leggere.

Me ne resi conto e rinunciai a scrivere, per studiare e imparare dalla mattina alla sera. L’amore per Päivi non mi lasciò desiderare altre femmine umane per alcuni mesi. Tanto meno dei maschi umani o bestiali, lettore, non equivocare!

Dovevo studiare per diventare degno di lei. La mia testa allora funzionava così.

 

 


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[2] Cfr. T. S. Eliot, The love song of J. Alfred Prufrock: “ I have measured out my life with coffee spoons”, v. 51

[3] Guido Gozzano, La signorina Felicita ovvero la Felicità, v. 259.


 Bologna 16 giugno 2022 ore 19, 39

giovanni ghiselli

p. s.

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