Prima parte 1307-1312
Traduzione
Edipo
Ahi ahi,
me infelice
dove mi trascino sulla terra, disgraziato? Per dove la mia
voce vola disperdendosi rapidamente?
Oh destino, dove sei precipitato!
Coro
In una sciagura terribile, intollerabile a udirsi e vedersi!
Commento
1309 poi' ga'"= latino quo terrarum . Edipo, cieco da poco, ha perduto l'orientamento: non sa da quale parte andare né dove vadano a finire le sue parole divenute volatili (1310 diapwta'tai) poiché dopo il fallimento non hanno più alcun valore e si disperdono portate via (1310 foravdhn) come il disgraziato che le pronuncia (1309 fevromai). Cfr. i vv. 481-482, dove i vaticini di Delfi invece, sempre vivi, volano intorno:"ta; d j aijei; zw'nta peripota'tai".
I vaticini delfici dunque sono sempre presenti e vivi, mentre le parole dello scetticismo e della miscredenza vengono disperse.
Edipo nel dolore lo ha capito.
1311-ejxhvlou: aoristo da ejxavllomai. Torna l'immagine del salto fatale (cfr. v.1300), questa volta è un salto da –ejx- con la precisazione del precipitare.
-1312 Il coro risponde alla domanda di Edipo (dove -i{n j(a)-) che è caduto nel baratro tremendo eppure anche umano pur troppo umano
Cfr. Eneide, VI, 743:"quisque suos patimur manes ", ciascuno soffre il proprio destino.
Commo. Il commo è un lamento comune cantato (a voci alterne) dal coro e dalla scena: kommo;~ de; qrh'no~ koino;~ corou' kai; ajpo; skhnh'~ (Aristotele, Poetica, 1452b 24). Il lamento alternato da una voce solista e dal coro
Prima Strofe. Versi 1313-1320.
Sommario
Edipo rievoca la catena dei mali che gli hanno inceppato il cammino riducendolo a vivere in un carcere cieco, assillato da ricordi opprimenti. Il coro non si meraviglia dell'enormità del dolore, tanto smisurate sono le disgrazie.
Traduzione
Edipo
Ahi mia nube
di tenebra, che è abominevole, sopraggiunta indicibile
invincibile e spinta da un vento favorevole alla sventura
ahimé
ahimé ancora una volta: quale penetrò in me, insieme
l'assillo di questi pungoli e la memoria dei mali!
Coro
E nessuna meraviglia che in mezzo a disgrazie tanto grandi
tu soffra il doppio e doppi mali sopporti".-
-1314 nevfo~ è nube (cfr. latino nubes, tedesco Nebel , nebbia” ) dalla quale si sente avvolta la persona depressa dall’insuccesso.
ajpovtropon: qualche cosa che si vorrebbe respingere, da cui ci si vorrebbe ritirare (ajpotrevpesqai), ma è sopraggiunta addosso (ejpiplovmenon è participio aoristo sincopato da ejpipevlomai) ed è troppo avvolgente, una nube che avvolge la persona di Edipo (nevfo" ejmovn) indomabile (ajdavmatovn te- cfr. damavw) e spinta da un vento (ou\ro") infausto. E' una tenebra già connaturata al cieco che del resto solo da lei può cercare di trarre una nuova luce: cfr.Aiace, v.394:" ijwv, skovto", ejmo;n favo"", oh tenebra, luce mia.
In tali situazioni la persona dotata di intelligenza, volontà e amor proprio reagisce cercando la luce che lo aveva illuminato e ritrovandola.
Mi permetto un ricordo personale che risale al luglio del 1966, quando ero immerso nella nebbia. Chi non ne è interessato può saltarlo
“Sollevati dal suolo, infelice-mi dicevo- alza da terra la testa desolata e drizza la schiena curva: non è più Pesaro questa[1] e tu devi smettere di essere l’arcidisgraziato ragazzo. Dai Gianni coraggio, devi farcela. Devi arrivare a Debrecen presto e trovare l’amore. Questo viaggio è il simbolo, la metà della tessera, della tua stessa esistenza: sei solo, sei coperto di nebbia, sei infelice e gravido di lacrime, ma ce la farai, poiché non sei stupido, né falso, né ostile alla vita. Ricordati come eri bravo e primeggiavi al liceo Mamiani di Pesaro. Allora non hai trovato l’amore perché impiegavi tutte le tue forze per essere il primo nell’agonismo scolastico e ciclistico. In salita a dieci anni battevi i ventenni. In seconda liceo hai vinto un viaggio premio assegnato ai trenta studenti migliori d’Italia. O grandi vanti umiliati! Presto però ti rifarai! Nessuno deve ripetere per me il lamento di Ofelia per Amleto: “ O, what a noble mind is here o’erthrown !”[2]. Voglio dire che Sofocle ha davvero scritto la storia di Edipo per ogni uomo.
1316 eijsevdu(aoristo terzo di eijsduvw. Regge l'accusativo m j(e).
La pena talora penetra nella persona come una puntura dolorosa, velenosa che sconcia il corpo e l’anima; l'immagine dell'assillo (1318 oi[strhma) dai pungoli (kevntra) dolorosi ricorda la vicenda della fanciulla Iò trasformata in giovenca e tormentata dal tafano nel Prometeo Incatenato (vv. 640 sgg.) dove si tratta di sofferenza mandata appunto da fuori ("qeovssuton ceimw'na",v.643) tempesta spinta da dio); qui, nell’Edipo re, il dolore viene dall’intereno
1319 qau'ma: regge se penqei'n.
Edipo è diventato esemplare dei rischi insiti nella condizione mortale: ora è un cumulo di sofferenze e non suscita meraviglia come quando conseguiva successi più che umani. Egli ha svelato la debolezza e la precarietà che ognuno sente in se stesso, anche quando si trova sul culmine della vita.
Nelle società umanamente malate ci si abitua a vedere il male e il dolore che non fanno meravigliare. mentre ci si stupisce davanti alla generosità, perfino alla cordialità.
1320 dipla': è iterato in anafora, ma il primo è avverbio, il secondo aggettivo. I mali di Edipo sono raddoppiati dall'altezza della caduta e dal rovesciamento del rango reale precipitato nella miseria estrema del farmakov~.
Bologna 3 giugno 2022 ore 18, 05
giovanni ghiselli
p. s.
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