mercoledì 29 giugno 2022

Debrecen 1966. Terza parte. Il viaggio fino Graz.


 

 L’assopimento, le visioni oniriche e la sbandata perigliosa.

 “Sollèvati dal suolo, infelice-mi dicevo- alza da terra la testa desolata e drizza la schiena curva: non è la fine del mondo  questa e tu  devi smettere di essere il ragazzo arci infelice che sei divenuto finito il liceo. Dai Gianni, coraggio, puoi farcela. Devi arrivare a Debrecen presto e cercare l’amore e trovarlo. Questo viaggio è il simbolo, la metà della tessera, della tua stessa esistenza: sei solo, sei coperto di nebbia, sei disgraziato e gravido di lacrime, ma ce la farai, poiché non sei stupido, né falso, né ostile alla vita. Ricordati come eri bravo e primeggiavi in tutte le scuole di Pesaro. Con la bicicletta in salita eri sempre il più egregio di tutti i competitori. Alumnus optimus e pure ajgwnisthv" a[risto". Allora non hai trovato l’amore perché impiegavi ogni tua energia per essere il primo nell’agonismo scolastico e ciclistico. In salita a dieci anni battevi i ventenni. In seconda liceo hai vinto un viaggio premio assegnato ai trenta studenti migliori d’Italia.

O grandi vanti umiliati! Presto però ti rifarai! Nessuno deve riferire a te il lamento di Ofelia per Amleto: “ O, what a noble mind is here o’erthrown !”[1]. A Bologna finora hai dovuto cercare di adattarti a un mondo esterno sconosciuto e imprevedibile finché stavi in quel mortorio di Pesaro[2] e in un ambiente domestico gravido di pregiudizi, infelicità e frustrazioni. La fortuna è mutevole: cambierà ancora! Soffrire in questi ultimi anni è stato destino, ma vedrai che splendore avrà la vittoria!”

 

Sceso dai monti, a un tratto, sulla sinistra, vidi una luce.

Per un momento credetti e sperai che fosse il sole sbucato di nuovo dalle nuvole occidentali. Invece era un lampione giallognolo, acceso contro il buio precoce. Saranno state sì e no le sette: in quel tempo la provvida ora legale non c’era. Certamente dal sole, che ho sempre adorato come l’immagine visibile della mente divina e del Bene, avrei tratto un  conforto maggiore. Quel fioco bagliore non era un segno del tutto propizio. Nemmeno sinistramente ominoso era però. Era una luce triste, ma  pur sempre una luce.

“Avanti-mi dissi-avanti, ché ce la puoi fare. Non volgere la prua della tua navicella contro la corrente del destino!  Procedi con lei! Fatti portare sulla riva della rinascita! Devi armonizzare i movimenti del tuo cervello con le rivoluzioni del cielo, mentre prima hai dato di cozzo  nel fato che è il volere, la parola di Dio!”.

Verso le otto arrivai a Graz sotto un’acquazzone violento e il cielo più buio che mai.

Le lampade elettriche illuminavano l’asfalto bagnato della circonvallazione dove scura dai campi o dal camposanto cattolico colava la terra disciolta e trascinata dalla forza dell’acqua che si infangava e rendeva scivolosa la strada.  Mi sembrò di vedere trascinati nel fango anche scoiattoli spelacchiati, dalla coda mozza, e pesci debosciati, privi di guizzi. Infine intravvidi  un pesce salato del  Ponto appeso a un amo. Allora, nel dormiveglia compresi che si trattava di visioni oniriche pullulate da chissà dove. Difatti mi ero assopito.

Tanto che in una curva sbandai e finìi fuori strada, su un prato. E mi svegliai del tutto.

Passato il terrore, mi dissi:“Tutta la vita così”.

 Avevo assunto una posa e un’espressione da attore  tragico. La tragedia greca mi è sempre piaciuta assai. Mi ci immergevo, ne traevo modelli e contromodelli.

 “Sarà dura arrivare in fondo, quando dirò ‘non doveva finire così’ ”.

Giocavo anche un poco con la sfortuna e con il dolore.

Cercavo di reagire alla stanchezza e alla paura. Quindi ricorsi al modello epico e  mi sovvenni di Achille che, incalzato dallo Scamandro temeva di fare la stessa misera morte di un bambino porcaio travolto da un torrente in piena[3]. Poi invece se l’era cavata.

Anche io ce l’avrei fatta sebbene non fossi un bambino porcaio, ma proprio il porco. Dovevo spogliarmi di quel rivestimento sconcio, di quella carne troiesca, non mia.

Intanto dovevo trovare una camera dove passare la notte già cominciata.

Immerso nel buio  e nella solitudine profonda, guardavo le case lungo la strada, ma l’oscurità e la grande miopia mal corretta dagli occhiali appannati mi rendevano difficile la ricerca dell’asilo notturno. Ero ancora lontano dalle lenti a contatto che avrebbero contribuito a migliorare il mio aspetto. Mi ero allontanato da tutto ciò che poteva giovarmi. Tranne lo studio che non ho mai  abbandonato del tutto. L’ho sempre visto come la mia stella polare.

Gli animali e pure gli umani potevano pure schifarmi e io provare disgusto per coloro, ma gli auctores, i miei accrescitori non li ho traditi mai, nemmeno per dedicarmi del tutto a una donna amata e desiderosa di un figlio.

 

Bologna 29 giugno ore 18, 34

 giovanni ghiselli

p. s

Statistiche del blog

Sempre1263695

Oggi229

Ieri292

Questo mese7314

Il mese scorso12017

 



[1] Shakespeare, Amleto, III, 1, o quale nobile spirito è qui distrutto! Nel gennaio del 1965 avevo dato un esame di letteratura inglese ricevendo la lode. Ricordo con affetto il professor Carlo Izzo che mi elogiò non solo con la lode aggiunta al trenta. Era un bravo professore e un prezioso educatore. Uno dei pochi, davvero pochi. 

 

[2] Cfr. Catullo, Carmina 81, 3 moribunda ab sede Pisauri

 

[3] Cfr. Iliade, XXI, 281-282

Nessun commento:

Posta un commento

Ifigenia CLII. Una lettera supplichevole e una canzoncina irrisoria

  Martedì 7 agosto andai a lezione, poi a correre, quindi in piscina a leggere, nuotare, abbronzarmi, e mi recai anche a comprare un d...