giovedì 9 giugno 2022

Edipo re, versi 1369-1383.

Edipo re, Ultima scena. Versi 1369-1530.

 

Edipo re, versi 1369-1383.

Sommario

Edipo non accetta l'ultima osservazione del coro; anzi sostiene di avere  fatto bene ad acciecarsi piuttosto che ammazzarsi siccome non avrebbe potuto guardare in faccia i genitori una volta giunto nell'Ade. Del resto il suo peccato era troppo grave per essere punito con il suicidio. Né avrebbe potuto usare la vista da vivo: come avrebbe osato guardare i figli o la città? Anzi, se fosse possibile, sbarrerebbe anche la fonte dell'udito per escludere  il corpo e il pensiero dalla percezione.

Traduzione

"Che questo non sia stato fatto così nella maniera migliore/non volere insegnarmi e non dare più consigli 1370

Io infatti non so con quali occhi, vedendo,

avrei potuto mai guardare in faccia mio padre una volta giunto all'Ade,

né d'altra parte l'infelice madre, poiché a questi due

sono state fatte da me azioni troppo gravi per l'impiccagione.

Ma davvero la vista dei figli avrebbe potuto essere desiderabile

 da vedere per me, nata com'è nata? 1375

non certo mai, almeno con i miei occhi

e neppure la città, né le mura turrite, né le sacre immagini

degli dei, di cui io infelicissimo

l'uomo cresciuto a Tebe nel modo più nobile1380

privai me stesso, io stesso ordinando

che tutti dovevamo respingere l'empio, quello che per volere degli dei

si è rivelato impuro e della stirpe di Laio 1383.

 

 

Commento

 

1369 a[rist  j (a): neutro plurale avverbiale.

 

-1370 mh; m j(e) ejkdivdaske: per un residuo di presunzione intellettuale (cfr.v.38:"oujd  j ejkdidacqeiv"") Edipo non vuole imparare e non accetta consigli.

Ci sono comunque momenti o fasi della vita quando pensiamo che nessuno possa insegnarci più niente siccome abbiamo sofferto  tutto quanto è accaduto e abbiamo già  presofferto anche  quanto accadrà.

Cfr. il Tiresia di T. S. Eliot: And I Tiresias have presoffred all (v. 243). Buona parte del mondo ora sta già soffrendo la fame e presoffrendo quella più grave che verrà causata dalla guerra, eppure i due contendenti e i loro sostenitori cantano vittoria.

 

 

 

1372 patevra=tribraco. il senso di colpa gli fa dire che non avrebbe potuto guardare in faccia i genitori nell'Ade; uno sguardo che Odisseo nella Nevkuia ha pur osato levare, e non senza parlare, sulla propria vittima Aiace dalla quale del resto non ottiene alcun contraccambio (cfr. Odissea, XI, vv.543-564). Nello stesso modo di Ulisse e del Telamonio si comportano Enea e Didone nel sesto canto dell'Eneide (vv.450 e sgg.).

 

1373-mhtevr. Secondo Di Benedetto (Sofocle, pp. 119-120) il v.1371 ricalca il 462 dell'Aiace :"kai; poi'on o[mma patri; dhlwvsw faneiv~ ;" e quale sguardo mostrerò al padre facendomi vedere?

Parla Aiace che cerca una via onorevole per uscire dalla bruttura nella quale si trova e arriva a pensare che l’unico scampo sia il suicidio:"ajll j h] kalw'" zh'n h] kalw'" teqnhkevnai-- to;n eujgenh' crhv" ma il nobile deve o vivere con stile, o con stile morire (Aiace 480-481).

 Di Benedetto dunque nota questa differenza tra i due personaggi tragici che vogliono punirsi: Edipo oltre il padre coinvolge anche la madre. "C'è quindi il superamento...di una concezione che privilegiava la linea padre-figlio mettendo ai margini la figura della madre. La cosa si spiega con il fatto che non c'è patrimonio ideologico che Edipo senta di avere ereditato dal padre”

Molto più semplicemente e realisticamente Edipo è un uomo legato alle donne e propenso a consideare gli uomini come altrettanti nemici (Creonte, Tiresia, i figli maschi, Laio e la sua scorta)

1374 kreivsson j (a) ajgcovnh": significa troppo gravi per espiarli con l'impiccagione, con probabile allusione al suicidio di Giocasta che invece ha punito i propri delitti, meno gravi, con un laccio appeso (1266).

 

 

.1376 o{pw" e[blaste: allude alla generazione impura dei figli che sono pertanto rampolli (blastav) nati dal marciume. Un'idea resa esplicita da kavllo" kakw'n u{poulon, bellezza ammalata di sventure, putrefatta dal male (v.1396). Del resto è fisiologico e naturale che dalla putrefazione rinasca la vita: cfr. Antifonte sofista che scrive:"kai; hJ shpedw;n...e[mbio" gevnoito", e la putredine diventi vitale.

 

-1377 ejmoi`sin ojfqalmoi`~. Analoga insistenza sui propri occhi si trova anche nella presentazione della Sibilla desiderosa di morire del Satyricon (48):"Nam Sibyllam quidem Cumis ego ipse oculis meis vidi in ampulla pendere...", infatti io stesso di certo con i miei occhi vidi la Sibilla a Cuma sospesa in un'ampolla".

 

-1378 puvrgo": è la forza della città, il bastione con il quale era stato identificato Edipo stesso(cfr. v. 1200).-

 

1379 ajgavlmaq=ajgavlmata iJerav: sono le statue degli dei e i luoghi sacri dei quali il re si era fatto credere proprietario (cfr. v.16:"bwmoi'si toi'" soi'""); ebbene anche questi, come la città e le mura turrite, dovranno sparire dalla sua vista per effetto dell'ordinanza da lui stessa emanata (cfr.v.241 e v.350).

 Al verso 1379 c'è un tribraco in seconda sede.

 

 

-1389kavllist j (a): neutro avverbiale. Edipo non manca di sottolineare gli aspetti migliori della sua vita e di rivendicare l'autonomia della sua rovina (ejmautovn, aujto;", 1381).

Queste sottolineature ricordano la fierezza di Aiace, sconfitto sì, ma sempre cosciente della propria magnanimità.

Questi eroi tragici, come le eroine (Medea, Antigone, Elettra, Polissena) anche nei momenti più cupi trovano il modo di darsi animo, di trovare qualche cosa di bello perfino nella catastrofe e nella morte  

 

 

 

1383 a[vnagnon: l'essere impuro e la consanguineità con Laio sono rivelazioni non degli uomini ma degli dei che hanno fatto del re di Tebe l'uomo più grande nella disgrazia dopo che è stato grandissimo nel beneficare la città .

 

Bologna 9 giugno 2022 ore 10, 36

giovanni ghiselli

 

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