Il
mito in generale
Il mito contiene le origini delle civiltà e pure quelle delle persone.
Studiare i miti significa prendere coscienza delle radici.
Il mito nell’epica e nella lirica
Nell’epica troviamo la fase eroica della civiltà occidentale e la dimensione eroica dell’individuo. Achille è l’eroe della guerra, Odisseo-Ulisse quello della conoscenza. L’eroe è la persona che non cede mai. Tali sono anche i personaggi di Sofocle che non si fermano davanti alla pressione della norma. Antigone è l’eroina della difesa del gevnoς
Il mito e il non mitico nella storia
Erodoto non esclude dai suoi racconti quanto riguarda il mito, mentre Tucidide vuole rimuoverlo. Eppure non può eliminare l’irrazionale dalla sua storia politica.
Il mito in Platone
Ricorderemo e analizzeremo i miti più noti e più belli tra quanti si trovano nell’opera di Platone: da quello della caverna, a quello di Er nella Repubblica, a quello raccontato da Aristofane personaggio del Simposio.
Il mito Nietzsche
La nascita della tragedia capitolo 23
C’è l’ascoltatore estetico e quello socratico-critico incapace di comprendere il mito “immagine concentrata del mondo che come abbreviazione dell’apparenza non può fare a meno del miracolo” (p. 151).
Senza mito ogni civiltà perde la sua sana e creativa forza di natura: solo un orizzonte circoscritto da miti può raccogliere in unità tutto un movimento di civiltà. Solo dal mito le forze della fantasia e del sogno apollineo vengono salvate dal loro vagare senza direzione. Il mito garantisce la sua connessione con la religione, il suo crescere da rappresentanze mitiche. Le immagini del mito devono essere i demonici custodi, inosservati e presenti, sotto la cui vigilanza cresce l’anima del giovane e neppure lo Stato conosce leggi non scritte che siano più potenti del fondamento mitico.
Il socratismo tende alla distruzione del mito e a questo annichilimento segue l’educazione astratta, il costume astratto, il diritto astratto, il vagare senza regole della fantasia artistica non frenata da alcun mito patrio, una cultura che non ha un fondamento ma è condannata a nutrirsi affannosamente di tutte le culture. L’uomo senza miti, eternamente affamato, cerca radici in mezzo a tutti i passati. L’enorme bisogno storico della cultura moderna, l’affastellarsi di innumerevoli culture, l’insoddisfazione perenne dipende dalla perdita del mito, della patria mitica, del mitico grembo materno
Ma questa cultura non mitica non ha nulla a che vedere con la nobile essenza del nostro popolo (p. 152)
Il mito è connotato dall’ambiguità. Questa è evidente in diversi personaggi : "Saturno è allo stesso tempo immagine archetipica del Vecchio Saggio (…) e anche del Vecchio Re, l'orco castrato e castrante"[1].
I personaggi del mito possono avere sottolineature diverse ed essere impiegati con significati vari, come una parola del vocabolario.
Aspetti di Eracle diversi tra loro
Eracle si presta a essere utilizzato nella poesia con funzioni differenti, a volta addirittura opposte. È un'idea che viene precisata in un saggio in inglese di G. B. Conte[2]. Ne riferisco alcuni concetti, tradotti in italiano e con l’aggiunta di qualche nota. Il professore della Normale di Pisa rileva che ogni mito (con le sue varianti) possiede una pluralità di significati che si aggregano intorno a una funzione tematica fondamentale. Ma quando un poeta utilizza un mito, o un carattere mitico, egli opera attraverso una selezione, riorientando la storia nella direzione del suo testo. Eracle è stato impiegato dai poeti come eroe civilizzatore, come maschio esuberante nelle faccende sessuali (fino al punto di diventare lo schiavo di Onfale[3]) ma è anche un un insaziabile mangiatore[4] e un intemperante bevitore di vino[5]; una figura tragica che impazzisce poi ammazza i figli e la moglie[6]; il mitico progenitore dei re spartani e così via. Lo studioso procede in quella che chiama enumeratio chaotica, poi chiede: vi sareste aspettato che il sofista Prodico (come Senofonte riferisce nei suoi Memorabili II. 1. 21-34) avrebbe un giorno inventato una favola[7] il cui protagonista era Eracle, ma questa volta come esempio di saggezza e autocontrollo, come paradigma di virtù morale?
Prodico evidentemente ha fatto una scelta tra i vari aspetti di Eracle.
Aggiungo qualche considerazione
Alessandro Magno, che si considerava suo discendente[8], recitava tutte queste parti dell’eroe dorico. Pure Antonio imitava Eracle e si spacciava per suo discendente.
Plutarco scrive che l’aspetto stesso di Antonio ricordava quello di Eracle quale appare nei dipinti e nelle statue. Aveva una bella barba, un’ampia fronte e un naso aquilino. Secondo una tradizione antica gli Antoni erano Eraclidi discendenti da Antone, figlio di Eracle e il triumviro si adoperava per confermare questa leggenda con l’atteggiamento e l’abbigliamento: portava al fianco una grande spada mavcaira megavlh e indossava un mantello ruvido savgo" perievkeito tw'n sterew'n (4, 1-4).
Antonio aveva due paradigmi mitici: diceva di essere parente di Eracle per la stirpe, e di Dioniso poiché ne imitava lo stile di vita, Si faceva chiamare Diovnuso" nevo" (Vita di Antonio, 60, 2-5).
I Romani non approvavano il suo amore per Cleopatra e il fatto che riconobbe i gemelli avuti da lei. Ma Antonio era abile nell’abbellire le brutture ajll j ajgaqo;" w]n ejgkallwpivsasqai toi'" aijscroi'" (Vita, 36, 6) diceva che la nobiltà di stirpe si propaga con molti figli. Così Eracle e il suo progenitore figlio di Eracle avevano dato libero corso alla natura mettendo al mondo tanti figli.
Plutarco fa notare un’altra analogia tra Eracle e Antonio: come Eracle fu schiavizzato da Onfale, la regina di Lidia che gli tolse la clava e la pelle leonina- to; rJovpalon kai; th;n leonth'n (Vita, 90, 3), così Cleopatra ammaliò, disarmò Antonio e lo persuase a rimanere ozioso divertendosi con lei sulle spiagge di Canòpo. Alla fine come Paride (Iliade, III 380 sgg ) fuggito dalla battaglia ejk th`" mavch" ajpodrav" (ajpodidravskw) affondava nei seni di lei eij" tou" ejkeivnh" kateduveto kovlpou" (90, 5)
Nell’Antonio e Cleopatra di Shakespeare si sente una musica in aria, o sotto terra, davanti al palazzo di Cleopatra e un soldato chiede: “It signs well, does it not?” E un altro “No”. Allora “What should this mean?”
E il pessimista: “’Tis the god Hercules, whom Antony loved, Now leaves him” ( 4, 3, 14-16).
Sentiamone un riuso fatto da T. S. Eliot: “the God Hercules/Had left him, that had loved him well” (Burbank with a Baedeker, Bleistein with a cigar (1920).
Nelle Argonautiche di Apollonio Rodio, Eracle non partecipa all’orgia bacchica e sessuale dell’isola di Lemno, e anzi richiama i compagni al dovere dell’impresa (I, 855 sgg.), ma poco più tardi (I, v. 1270 sgg) abbandona la spedizione per cercare il giovane Ila rapito da una ninfa: “Nell’opera di Apollonio Eracle impersona il codice di comportamento dell’epica arcaica: gli viene attribuito l’amore pederastico, tipico dell’etica aristocratica, che lo esclude da questo matrimonio collettivo”[9].
Non manca un Eracle perfino incestuoso e pedofilo.
Nella Storia dell'India Arriano (95-175) racconta che l'eroe giunse in quel paese lontano e gli Indiani lo chiamano ghgeneva (8, 4), figlio della terra.
Megastene[10] e gli stessi Indiani sostengono che il suo costume era simile a quello dell’Eracle tebano. Quindi gli nacquero molti figli maschi, da molte donne, e una sola figlia femmina: Pandea.
Eracle liberò mari e terre da bestie malefiche e nel mare scoprì un nuovo tipo di ornamento femminile ossia to;n margarivthn dh; to;n qalavssion (8, 9), la perla marina. L'eroe le raccolse dall’intero Oceano per adornare sua figlia. Le donne nel regno della figlia di Eracle si sposano a sette anni. C’è una leggenda per spiegare questo: Eracle, essendogli la figlia nata tardi, e non trovando un uomo degno di tanto padre cui darla in sposa, si unì a lei che aveva sette anni ("aujto;n migh'nai th'/ paidiv eJptaevtei ejouvsh/", 9, 3) lasciando una discendenza di re indiani.
Aspetti diversi di Dioniso
Possiamo notare pure che il Dioniso infantile dell’Iliade (Diwvnuso" de; fobhqeiv", 6, 135), o quello ridicolo delle Rane di Aristofane[11], è spaventato e tremante, mentre quello delle Baccanti di Euripide è sicuro di sé, impositivo (v. 34), e feroce[12].
Già nell’Odissea del resto Dioniso viene menzionato come il dio che con le sue accuse spinse Artemide a uccidere Arianna in Dia, mentre Teseo la portava da Creta al sacro colle di Atene (11, vv. 324-325). Qui anche la figlia di Minosse ha un ruolo diverso rispetto alla ragazza abbandonata dal perfido seduttore Teseo, quali li rappresenta Catullo nel carme 64.
Da questi due versi dell’Odissea sembra che sia stata Arianna ad abbandonare l’amante, probabilmente Dioniso.
Altri personaggi che assumono ruoli diversi nelle opere letterarie: Eteocle e Polinice in Eschilo ( Sette a Tebe ) e in Euripide (le Fenicie).
Arriano sostiene che c’è un Dioniso diverso da quello tebano, figlio di Semele; l’altro, nato da Zeus e da Core, è venerato dagli Ateniesi. L’inno bacchico dei misteri è cantato per questo Dioniso ateniese, non per quello tebano: “kai; oJ [Iakco~ oJ mustiko; ~ touvtw/ tw`/ Dionuvsw/, oujci; tw`/ Qhbaivw/ ejpav/detai”[13].
Niente di più lontano del prescrittivo, monoteistico, talora persino guerrafondaio: “Non avrai altro Dio all’infuori di me”. Ha detto bene Massimo Cacciari in un intervento televisivo: la democrazia è strutturalmente politeistica.
Bologna 30 giugno 2022 ore 9, 45
giovanni ghiselli
continua
p. s
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[1] J. Hillman, Puer aeternus, p. 80.
[2] Aristaeus, Orpheus, and the Georgics: Once Again, in Poets And Critics Read Vergil, Yale University Press. , p. 50 ss.
[3] Storia ricordata nelle Trachinie di Sofocle, dove Eracle è un donnaiolo e il marito assenteista e infedele della povera Deianira.
Per giunta nell’Hercules Oetaeus, di dubbia attribuzione senecana, Deianira descrive il marito come un antico don Giovanni: egli avrebbe compiuto i suoi agoni acerrimi per conquistare le ragazze: "virginum thalamos petit" (v. 420), cerca i letti delle vergini. A volte si accontenta delle mogli degli altri: "nuptas ruinis quaerit" (v. 422), cerca le spose con i suoi macelli. Comunque: “causa bellandi est amor” (v. 425), la causa della guerra è l'amore. L'amore dopo tutto sarà la somma fatica di Ercole: "amorque summus fiet Alcidae labor" (v. 475).
[4] Nella commedia Lino, Alessi (380-270 a. C., autore della commedia di mezzo, zio o maestro di Menandro) narra che il mitico citarista dava lezioni a Eracle e voleva spingerlo a leggere i poeti, ma lo scolaro, spinto dalla voracità prese dalla biblioteca L’arte di cucinare di un certo Simo (fr. 140 K. –A.).
[5] Funzione assunta nell'Alcesti di Euripide.
[6] Nell'Eracle di Euripide.
[7] Quella di Eracle al bivio.
[8] Plutarco racconta che è una tradizione cui tutti prestano fede quella secondo la quale Alessandro discendeva da Eracle attraverso Carano e Filippo, e da Eaco attraverso Neottolemo e Olimpiade (Vita, 2).
[9] Guido Paduano e Massimo Fusillo (a cura di) Apollonio Rodio Le Argonautiche, p. 185
[10] Ambasciatore inviato in India dal re Seleuco I Nicatore (355 ca. 280 a. C.) presso il re Sandracotto, scrisse Indikà in quattro libri dei quali ci sono giunti frammenti per via indiretta.
[11] Aristofane nelle Rane rappresenta Dioniso che, terrorizzato da Empusa, fugge tra le braccia del suo sacerdote (v. 297). Più avanti viene apostrofato dal servo Xantia in questo modo:
" w\ deilovtate qew'n su; kajnqrwvpwn (v. 486), oh tu, davvero il più vigliacco degli dèi e degli uomini! Il dio se l'era voluta, cacandosi addosso dalla paura (v. 479).
[12] Consiglio a questo proposito il commento di Fulvio Molinari: Euripide, Baccanti, Loffredo, 1998.
[13] Arriano, Anabasi di Alessandro, 2, 16, 3.
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